Simon Boccanegra cupo ma possente
di Giuseppe Pennisi
La stagione scaligera termina con Simon Boccanegra di
Verdi, le cui repliche si estendono fino al 19 novembre. Nell'allestimento,
coprodotto con Berlino, Federico Tiezzi propone un'opera cupa e scarna con un
vero colpo di scena nel finale: un grande specchio che si innalza su
palcoscenico e sala. Stefano Ranzani non ha i chiaroscuri orchestrali del Simon
di Abbado ma è molto più prossimo di tanti altri alle intenzioni di Verdi. Leo Nucci a 73 anni debutta nel ruolo alla Scala (dove l'ha cantato una
sera sola in versione da concerto) riesce a tenere bene la difficile parte,
specialmente nell'impervio secondo quadro del primo atto. Sorprende nei
passaggio dal tenero (il duetto con la figlia) al possente e la sua vocalità è
ancora agile e con un volume di buon livello. Carmen Giannattasio è la vera
perla vocale dello spettacolo: la sua è un Amelia/Maria di grande spessore
drammatico, in grado di passare dai due duetti dolci nella prima parte del
primo atto all'imperioso Pace nella seconda parte del medesimo atto. Di Ramòn
Vargas meglio ricordare il passato di tenore lirico di coloratura, e anche di
bari-tenore mozartiano. Nel ruolo di Gabriele Adorno è apparso, alla prima del 31
ottobre, fuori parte sia scenicamente sia vocalmente. Il timbro ha perso
smalto, gli acuti sono stati scansati e nel secondo atto ha preso anche un paio
di stecche. Di tutto rispetto il Paolo Albiani di Vitaliy Bilyy e lo Jacopo
Fiesco di Alexander Tsymbalyuk. (riproduzione riservata)
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