venerdì 28 novembre 2014

Il mistero della vita nella “Rusalka” low cost al Teatro dell’Opera 28 -Movembre



Il mistero della vita nella “Rusalka” low cost al Teatro dell’Opera
28 - 11 - 2014Giuseppe Pennisi Il mistero della vita nella "Rusalka" low cost al Teatro dell'Opera
Dopo tante tensioni e polemiche, il Teatro dell’Opera di Roma ha inaugurato la sera del 27 novembre la stagione 2014-2015 con un lavoro di Antonin Dvo ák “Rusalka”, raramente rappresentato in Italia (la prima esecuzione scenica risale al 1992-93 e da allora se ne conta solamente altre tre al Regio di Torino ed alla Scala , rispettivamente nel 2001e nel 2009 ed una riproposta a Roma nel febbraio 2008 in un nuovo allestimento di repertorio (proveniente dal teatro di Ostrava, una città di 300.000 abitanti nel Nord della Repubblica Ceca).
®C.M.Falsini-Teatro dell'Opera di Roma

®Yasuko Kageyama-Teatro dell'Opera di Roma
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L’allestimento (Denis Krief è autore di regia, scene, costumi e luci) è costato appena 50.000 euro, segno che si può fare opera di grande qualità senza mandare in dissesto i teatri. Dopo trenta anni di lavoro in Italia, Krief si è auto-esiliato a Berlino proprio a ragioni di sprechi ed inadempienze di certe fondazioni liriche.
“Rusalka” è una favola in musica, genere poco frequente nei palcoscenici italiani, dell’inizio del Novecento (la prima è del marzo 1901). Un’altra favola in musica (“Le leggenda dell’invisibile città di Kitez e della fanciulla Feronia” di Nikolaj Rimskij Korsakov) ha inaugurato il 24 aprile 2008, in occasione delle Festa di Sant Efisio, la stagione lirica cagliaritana tramite una co-produzione tra il Teatro Lirico dell’isola ed il Bolhoi di Mosca. Auspico una nuova edizione di “La fanciulle di neve” di Nikolaj Rimskij Korsakov (del 1882, ma già impregnata di canoni novecenteschi), assente dai nostri teatri da circa 50 anni. Mi incantò quando ero adolescente.
Due anni fa c’è stato il ritorno, ed alla grande, sulle scene italiane a Milano ed a Firenze –negli ultimi trenta anni si è visto solo l’allestimento minimalista di Jean-Pierre Ponelle sempre solamente a Milano ed a Firenze- de “La donna senz’ombra” di Hugo von Hofmansthal e Richard Strauss che, nel 1919 (la prima ebbe luogo il 10 ottobre), lanciava, con una complicatissima favola in cui l’etica cristiana si incrociava con la letteratura orientale, un inno di speranza all’Europa devastata dal primo conflitto mondiale (“la grande guerra” per antonomasia).
In altra sede, mi sono recentemente chiesto perché gli italiani siano parsi refrattari alle favole in musica, nonostante l’opera lirica italiana (Peri, Monteverdi, Cavalli) – tanto quella di corte quanto commerciale- abbia origini nella rappresentazione scenica di fiabe e miti. Dall’inizio dell’Ottocento, con il melodramma verdiano prima e con il verismo, poi, siamo stati lontani da un filone che nel Novecento è stato centrale non solamente all’opera slava e tedesca, ma anche a quella francese ed alla rinascita di quella britannica. E che adesso è di grande successo negli Stati Uniti ed in Canada e nelle opere ‘occidentali’ di nuova composizione e produzione in Cina.
Chiediamoci perché scettici e disillusi nei confronti delle favole in musica, vi ci stiamo adesso riaccostando. Sarebbe banale individuarne la determinante nell’esigenza di evasione di fonte ad un Paese in declino ed in cui, specialmente dopo l’esperienza della XV legislatura, gli italiani si sentono tanto sconfortati da rifugiarsi nelle fiabe. C’è forse qualcosa di più profondo. Lo mostra la relativamente poca attenzione che ha avuto nel 2007 il Quattrocentenario di una delle più importanti favole in musica italiane (“L’Orfeo”) di Claudio Monteverdi ed l’interesse invece per “Rusalka”, gli altri titoli citati e lavori ad essi affini. Soprattutto, i 400 anni da la prima de “L’Orfeo” non sono stati l’occasione per riproporre opere quasi coeve come “La Calisto” di Giovanni Cavalli – di frequente sui palcoscenici europei ed americani dalla metà degli Anni Novanta – in cui lo splendore della musica riveste un intreccio erotico ai limiti del libidinoso e del lascivo.
“Rusalka” e le altre (specialmente “La donna senz’ombra”) hanno, nonostante le differenze di scrittura orchestrale e vocale, di lingua, di fonti letterarie un nesso comune: l’esaltazione del legame di coppia, del matrimonio, della maternità e della paternità. Questi temi esplodono nel grandioso lavoro di von Hofmansthal e Strauss che termina con la doppia ricongiunzione di due coppie e con il “coro dei bambini mai nati” (con cui si è chiuso il primo atto) che nel terzo diventa il “il coro dei bambini sul punto di nascere” con il quale da fuori scena si accompagna un doppio smagliante duetto. Rusalka, Feronia, l’Imperatrice (de “La donna senz’ombra”) Sneguro ka (la fanciulla di neve) rinunciano a caratteristiche sovrannanutarali che le renderebbero immortali pur di potere essere mogli e madri. Il tema, pur in guisa di favola, si collega a quello del grande mistero della vita. Attuale nel dibattito etico e culturale, oltre che politico, come non mai in questo inizio di XXI Secolo.
Una ipotesi errata è che le ‘favole in musica’ richiedono costose messe in scena. Ciò avviene, ad esempio, ne ‘L’amour di trois oranges’ di Sergej Prokofiev di recente visto a Firenze, anche se l’allestimento dello stesso lavoro nella produzione che si replica da dieci anni a Berlino smentisce questo assunto.
Una smentita ancora più forte viene dalla “Rusalka” romana. Una scena unica, costumi moderni (il lavoro ha un messaggio universale) . Un minimo di attrezzeria, in gran parte risultante dai magazzini del teatro, e le varie ambientazioni sono rappresentate in maniera stilizzata ma efficace: dai boschi lacustri, alla abitazione della strega , alla foresta, ai saloni di un castello principesco, e via discorrendo. L’intero impianto scenica è in una grande scatola di legno dal color di ciliegio e dalla torre scenica giungono elementi che danno luogo ai vari ambienti, strizzando l’occhio alla pittura della “secessione austriaca” (Klimt e soci) dell’epoca in cui il lavoro venne scritto e composto. L’allestimento richiede una grande recitazione e due protagonisti che siano giovani e di bello aspetto (il tenore deve essere quasi wagneriano).
Altrove tratto la parte musicale. In breve tre ore e mezzo (intervalli compresi) salutati da venti minuti di ovazioni. Il segno –speriamo – sia l’inizio del rilancio del Teatro dell’Opera della capitale.

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