Lettera a Bruxelles: ecco le nostre riforme
Padoan va alla battaglia sulla manovra. Mostra i
muscoli e contesta i conti
Pier Carlo Padoan prende carta e penna e a un paio di
giorni dalla pubblicazione della 'pagella' europea sulla Legge di Stabilità invita
Bruxelles a non sottovalutare il progetto di riforme del governo Renzi. In una
lettera inviata al Commissario Pierre Moscovici e al vicepresidente Valdis
Dombrovskis – pubblicata in serata sul sito del Tesoro – il ministro
dell’Economia elenca le misure a cui sta lavorando il governo, a partire da
Jobs Act, riforma della pubblica amministrazione e riforma della giustizia
civile e si dice «fiducioso in un chiaro appoggio » da parte della Commissione.
Padoan sottolinea gli effetti che le riforme potranno avere su una ripresa che
ancora appare «timida e fragile» e afferma che grazie alle riforme delle
pensioni fatte il nostro debito sia tra i più «sostenibili » d’Europa. Un modo
per fare pressione, dopo avere criticato duramente, giovedì, la metodologia europea
per calcolare il bilancio strutturale degli Stati. Soprattutto con riferimento
al parametro cruciale dell’output gap, e cioè il divario sul potenziale di
crescita e il Pil effettivamente raggiunto, che è essenziale per calcolare il
bilancio strutturale e può giustificare, se superiore al 4%, il mancato
raggiungimento degli obiettivi da parte di uno stato euro. Padoan in
un’intervista rilasciata al Financial Times ha definito «traballante» ('shaky')
la metodologia usata da Bruxelles. «La metodologia per calcolare l’output gap –
ha risposto ieri il capo portavoce della Commissione Margaritis Schinas – è
stata concordata in comune accordo tra tutti gli Stati membri».
GIUSEPPE PENNISI
Su cosa verte la differenza di punti di vista tra
Italia ed Unione Europa sulle circostanze eccezionali del Fiscal Compact
che consentirebbero una deviazione dalle regole sull’indebitamento netto delle
pubbliche amministrazioni (ossia il deficit), oltre al rinvio del pareggio di
bilancio? Il nodo del problema è quello che in lessico economico viene chiamato
l’output gap (letteralmente 'divario produttivo'), ossia il
differenziale tra Pil potenziale e Pil effettivo. Prima della crisi, nel 2008,
la Commissione Europea, il Fondo monetario, e l’Ocse stimavano attorno all’1,3%
la crescita potenziale del Prodotto interno lordo dell’Italia. Per avere un
paragone, i 'piani triennali' dell’inizio degli Anni Ottanta la ponevano sul
22,5%, spiegando che è quello che già allora ci si poteva aspettare da un paese
con una popolazione anziana, un apparato produttivo non modernizzato eccetto
che in certe nicchie specifiche, ed un’amministrazione pubblica tutt’altro che
efficiente. Le stime econome- triche che giungevano ad un potenziale di
crescita dell’1,3% tenevano conto dell’evoluzione avvenuta negli ultimi
trent’anni (non positiva né sotto l’aspetto demografico né sotto quello
dell’apparato produttivo), nonché dal peso del debito che incide comunque sulla
crescita.
Nel 2010 il servizio studi della Banca d’Italia ha
pubblicato uno studio che esaminava il periodo 1999-2005 (ossia gli anni che
hanno preceduto la crisi) e poneva l’output gap del nostro paese tra lo
0,5% e lo 0,7% del Pil. Se la crescita potenziale è lo 1,3%, quella effettiva
si poneva quindi attorno tra lo 0,8% e lo 0,6%. Mentre di recente, l’Ocse ha
stimato l’output gap dell’Italia a -5 punti percentuali del Pil. Una
chiara giustificazione di 'circostanze eccezionali'.
La Banca centrale europea ha reso pubblico sul suo
sito da meno di una settimana uno studio firmato da un gruppo di economisti.
Non sono stati pubblicati lavori della Commissione Europea, ma si intende che
le stime di Bruxelles coincidono con quelle di Francoforte.
Il lavoro analizza gli effetti della crisi economica
sui tassi di crescita potenziali, utilizzando una vasta gamma di modelli
econometrici, e confronta l’eurozona con gli Stati Uniti ed il Giappone. Per
l’Italia il Prodotto interno lordo potenziale sarebbe attorno al livello zero
per l’anno 2013, proprio in quanto non sono state fatte le riforme sulle strutture
dell’economia (essenzialmente miglioramento delle infrastrutture e delle reti,
liberalizzazioni in tutti i settori, dalle professioni, alle banche ed
assicurazioni, ai servizi pubblici locali, ai taxi, e via discorrendo) e in
campo di privatizzazioni siamo riusciti a portare a casa solo quella dell’ente
degli ufficiali in congedo. Quindi, non si possono invocare circostanze
eccezionali . Non siamo , però, condannati alla 'crescita zero'. A pagina 118
di quello studio, infatti, si dice chiaramente che tutto dipende dalle riforme
strutturali, e cioè quelle sulla struttura economica del sistema nazionale, che
non coincidono – lo ricordiamo – con quelle istituzionali.
A questo punto Palazzo Chigi e Via Venti Settembre
farebbero bene a mostrare le loro carte.
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Il ministro alla Commissione: le
misure su cui il governo sta lavorando spingeranno la crescita, siamo
«fiduciosi» nel vostro appoggio
Pier Carlo Padoan
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