Con “Fidelio” l’arrivederci di Barenboim alla Scala
22 - 11 - 2014Giuseppe Pennisi
Fidelio di Ludwig van Beethoven
che inaugura la stagione 2014/2015 del Teatro alla Scala di Milano verrà
presentato in Università Cattolica di Milano martedì 25 novembre in Aula Magna
alle ore 18. Il maestro Daniel Barenboim terrà una conversazione con Enrico
Girardi aperta agli studenti dell’Ateneo e alla città di Milano.
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Unica presentazione della Prima,
l’evento è curato dalla professoressa Paola Fandella e promosso in
collaborazione con il Teatro alla Scala di Milano. L’iniziativa rientra anche
nel cartellone de “La Prima diffusa” e apre il palinsesto “Fidelio in
città” del Comune di Milano.
Con il Fidelio di Ludwig
van Beethoven che va in scena il 7 dicembre 2014 per la regia di Deborah
Warner Daniel Barenboim apre la Stagione di Opera e Balletto 2014/2015 del
Teatro alla Scala e conclude un percorso scaligero di 9 anni (ma il primo
concerto di Barenboim alla Scala è del 1970) iniziato proprio con Beethoven
– la Sinfonia n° 9 – il 23 dicembre 2005. Alla Nona hanno fatto seguito nel
corso degli anni le integrali delle Sinfonie, dei Concerti per pianoforte,
delle Sonate: al termine della sua esperienza come Direttore Musicale del
Teatro alla Scala il M° Barenboim completa ora con Fidelio un percorso
interpretativo che resterà come occasione per il pubblico milanese di tornare
ancora una volta a confrontarsi con un corpus musicale che è tra i fondamenti
della cultura occidentale, e come prezioso patrimonio di esperienza e sapere
per i complessi del Teatro. Risulta assai significativo in questo contesto che
nel finale di Fidelio risuonino i versi di Schiller “Chi ha
conquistato una cara sposa si unisca al nostro giubilo” (“Wer ein holdes
Weib errungen / Mische seinen Jubel ein!”) tratti dall’Inno alla Gioia
che sarà musicato nella Nona sinfonia.
Lo spettacolo è firmato dalla
regista britannica Deborah Warner, che dopo essersi imposta nella prosa
grazie alla sua collaborazione con la Royal Shakespeare Company si è dedicata
con sempre maggiore assiduità all’opera realizzando tra l’altro una produzione
di Death in Venice di Britten, che aveva conquistato il pubblico del Piermarini
nel 2011. Scene e costumi sono di Chloe Obolensky, allieva di Lila De
Nobili e storica collaboratrice di Peter Brook, le luci di Jan
Kalman.
Il cast, capitanato da Anja
Kampe (Leonore) e Klaus Florian Vogt (Florestan), comprende Falk
Struckmann (Don Pizarro), Kwangchoul Youn (Rocco), Peter Mattei
(Don Fernando), Mojca Erdmann (Marzelline) e Florian Hoffmann
(Jaquino).
Fidelio, di cui quest’anno si
festeggia il bicentenario della terza versione, si inserisce nel palinsesto
“Milano Cuore d’Europa” promosso dal Comune di Milano: l’intreccio di umanità,
affetti e aspirazione alla libertà espresso da Beethoven è davvero al centro
del patrimonio culturale e civile del nostro continente.
QUALE FIDELIO?
Fidelio ha gestazione tormentata e tre
edizioni principali (vedi oltre): quella che andrà in scena alla Scala sarà in
massima parte l’ultima del 1814 con i dialoghi di Treitschke, ma con uno
sguardo rivolto alle versioni precedenti sia nella scelta dell’Ouverture (che
sarà Leonore n° 2, scritta da Beethoven per la prima del 1805
utilizzando temi dell’opera e che verrà trasformata l’anno seguente nella grande
Leonore n° 3) sia nella collocazione dei primi due brani, che seguirà
l’edizione del 1806, di cui Beethoven era evidentemente soddisfatto se
ne fece stampare nel 1810 la versione per canto e pianoforte.
Con Leonore n° 2, spiega il M°
Barenboim, Beethoven supera la tradizione settecentesca delle ouverture
i cui temi non hanno relazione con l’opera (pensiamo a Mozart: Le nozze di
Figaro, così fan tutte) per creare una vera introduzione al clima del
dramma, come avverrà nel teatro musicale successivo: “tutta la vicenda vi è
già contenuta, l’opera la riprende e racconta i dettagli”. Leonore n° 2 non
ha però le dimensioni imponenti, da movimento di sinfonia, che caratterizzano
Leonore n° 3: il M° Barenboim ricorda le parole di Furtwängler: “Se
si fa la n° 3 non è più necessario eseguire il resto dell’opera”. Tra le
modifiche apportate nel 1806 c’è anche il cambio dell’ordine dei primi due
brani (l’aria di Marzelline viene eseguita prima del duetto Marzelline –
Jaquino), che il Maestro ritiene preferibile per ragioni sia
drammaturgiche sia musicali: dal punto di vista tonale si osserva che
l’ouverture termina in do maggiore, l’aria di Marzelline è in do minore,
mentre il duetto è in la maggiore. Nella versione del 1814 l’ouverture sarà in
mi maggiore. Dal punto di vista drammaturgico l’aria all’inizio contrasta meno
del duetto scherzoso con la grandiosità dell’ouverture e soprattutto garantisce
un maggior spessore al personaggio di Marzelline che ha così la
possibilità di presentarsi.
Lo sguardo di Daniel Barenboim
e Deborah Warner verso la versione del 1806 (che Beethoven volle
intitolare “Leonore, o il trionfo dell’amor coniugale”) nasce però
soprattutto dalla volontà di approfondire l’aspetto umano e affettivo del
dramma. “Le due opere più famose del repertorio tedesco – spiega Barenboim
– sono oggetto di malintesi interpretativi: di Tristano si parla come di
un’opera sull’amore mentre in realtà è un’opera sulla morte. L’amore in Wagner
è piuttosto nel primo atto di Walkiria. Fidelio invece è spesso letto
esclusivamente come dramma politico, mentre è la storia di una donna pronta a
tutto per salvare l’uomo che ama”. Aggiunge Deborah Warner: “La
ricerca della verità nel buio di una prigione, la scoperta dell’ingiustizia
alla luce del sole e il potere dell’amore di vincere tutto: Fidelio è fatto di
questo. Non credo che al centro ci sia l’idea della libertà, credo che ci sia
assolutamente l’idea dell’amore”. A parte la grande ouverture, ricorda Barenboim,
l’orchestra di Fidelio è mozartiana. Uno dei problemi esecutivi risiede
nel fatto che storicamente la parte di Leonore sia stata sostenuta da cantanti
wagneriani, dalla vocalità troppo pesante per la scrittura. La Warner ha
lavorato con particolare intensità sul rapporto tra parti cantate e parti
parlate: “i dialoghi sono comici e scialbi se trattati con superficialità,
umani e toccanti se resi con cura”.
LE VERSIONI DI FIDELIO
LE VERSIONI DI FIDELIO
Per la sua unica opera (che non
fu tuttavia il suo unico progetto teatrale: da ricordare il balletto Die
Geschöpfe des Prometheus del 1800/1801, le numerose musiche di scena tra le
quali spicca Egmont del 1809/10 e il progetto per l’opera Vestas Feuer, Il
fuoco di Vesta, su libretto di Schikaneder) Beethoven sceglie la
forma del Singspiel: una struttura di teatro musicale che alterna brani cantati
e parlati e in area tedesca include titoli mozartiani tra cui Die Zauberflöte,
ma che all’epoca di Beethoven tornava in auge soprattutto grazie alla
voga dell’opéra comique che attraversava l’Europa. Il compositore sceglie
infatti un testo francese, Léonore ou l’amour conjugal, scritto da Jean-Nicolas
Bouilly nel 1794, poco dopo la caduta di Robespierre, inserendosi nella
moda delle pièces à sauvetage (in tedesco Rettungsoper) che mettevano in scena
personaggi salvati all’ultimo istante da gravi pericoli. La composizione,
iniziata mentre l’autore attendeva alla Terza Sinfonia (1804), è alquanto
travagliata e comprende tre differenti versioni:
1. Fidelio
oder Die eheliche Liebe, opera in tre atti: prima rappresentazione 20
novembre 1805, Theater an der Wien. Libretto di Joseph Ferdinand
Sonnleithner. L’ouverture eseguita è quella oggi conosciuta come Leonora n°
2. La prima, a una settimana dall’entrata dei francesi a Vienna, è un disastro:
il pubblico, formato soprattutto da ufficiali occupanti, capisce assai poco.
Dopo due repliche a teatro vuoto l’opera viene ritirata. Gli amici di Beethoven,
in una riunione a casa del principe Lichnovsky, gli consigliano una
radicale revisione.
2.
Leonore oder Der Triumph der ehelichen Liebe, opera in due atti; prima
rappresentazione 29 marzo 1806, Theater an der Wien. Il titolo annunciato,
nonostante il volere di Beethoven, è sempre Fidelio, per timore
di un conflitto di diritti con il compositore Paër che aveva presentato la sua
Leonore nel 1804 (la dizione Leonore sarà però ripristinata nell’edizione per
canto e pianoforte della versione 1806 realizzata da Carl Czerny e pubblicata
nel 1810 da Breitkopf & Härtel). Il libretto di Sonnleithner è rimaneggiato
da Stephan von Brauning e l’aria di Marzelline collocata prima
del duetto Marzelline – Jaquino. L’ouverture eseguita è la Leonore n° 3
e la rappresentazione è un successo. Un litigio di Beethoven con il
barone Braun, direttore del Teatro, porta a una nuova interruzione delle
recite. Una ripresa dell’opera viene progettata a Praga nel 1807: è
probabilmente questo il contesto in cui Beethoven compone una nuova
ouverture, più agile delle precedenti. Il progetto resta però incompiuto, e
l’ouverture viene pubblicata postuma nel 1838 come Leonore n° 1 op. 138: la
numerazione dipende dal fatto che la si è considerata una prima versione della
n° 2, opinione oggi abbandonata dalla maggior parte dei commentatori.
3. Fidelio,
opera in due atti; prima rappresentazione 23.5.1814, Kärtnertortheater.
Libretto rivisto da Georg Friedrich Treitschke: il finale non si svolge
più nel carcere ma all’aria aperta, dopo il definitivo salvataggio dei due
coniugi, accentuando insieme ai nuovi, ottimistici finali delle arie di Leonore
(per la quale viene composto anche il nuovo recitativo accompagnato “Abscheulicher!”)
e Florestan, gli aspetti simbolici di una liberazione “universale”.
Si esegue l’ouverture Fidelio in mi maggiore (Beethoven però non
la finisce in tempo per la prima, ove si esegue l’ouverture “Le rovine di
Atene”), che a differenza delle precedenti non contiene citazioni dirette
dell’opera tornando così alla tradizione settecentesca, e si taglia il terzetto
del I atto “Ein Mann ist bald genommen”. Il nuovo cambio di scena prima
del finale è probabilmente all’origine dell’uso ottocentesco, consolidato da Gustav
Mahler e proseguito fino ad anni recenti, di interpolare l’imponente
Leonore n° 3 (circa 14 minuti di musica) come anticipazione sinfonica
dell’epilogo.
FIDELIO ALLA SCALA
Fidelio, titolo sconosciuto all’Italia
ottocentesca (in tutto il secolo si contano solo una rappresentazione a Bologna
e una a Milano) è opera di costante se non frequente rappresentazione alla
Scala ed è, per tradizione e per necessità, appannaggio dei più grandi Maestri.
Il debutto avviene solo nel primo centenario della morte di Beethoven,
nel 1927, auspice Arturo Toscanini e con Francesco Merli e Elisabetta
Ohms Pasetti. Nel 1939 Wilhelm Sieben dirige Iva Pacetti e Giovanni
Voyer in uno spettacolo di Mario Frigerio, scene di Nicola Benois;
l’opera torna per l’ultima volta in italiano dieci anni più tardi con Jonel
Perlea sul podio, scene e costumi di Felice Casorati e un cast di
lusso: Maria Rigal e Mirto Picchi sono affiancati da Boris
Christoff, Giuseppe Taddei e Hilde Güden. Nel 1952 Herbert
von Karajan è direttore e regista della prima produzione scaligera in
tedesco, che schiera Martha Mödl e Wolfgang Windgassen nelle
parti principali; ancora Karajan nel 1960 si avvale della regia di Paul
Hager con Birgit Nilsson e Jon Vickers in palcoscenico. Il
titolo torna per l’inaugurazione della stagione 1974/75: dirige Karl Böhm,
la regia è di Günther Rennert, cantano Leonie Rysanek e James
King. Nel 1977 la Scala accoglie i complessi della Wiener Staatsoper
che, guidati da Leonard Bernstein, presentano lo spettacolo di Otto
Schenk con Gundula Janowitz e René Kollo protagonisti.
Fidelio resta assente dalla Scala fino al 1990, quando Lorin Maazel
dirige Jeanine Altmeier e Thomas Moser nello spettacolo di Giorgio
Strehler; ancora Thomas Moser, accanto a Waltraud Meier, è
protagonista nove anni più tardi dell’inaugurazione di stagione diretta da Riccardo
Muti con la regia di Werner Herzog. L’ultima apparizione del titolo
nella sala del Piermarini è un’esecuzione in forma di concerto realizzata dai
complessi della Wiener Staatsoper diretti da Franz Welser-Möst il 9
settembre 2011 con Nina Stemme e Peter Seiffert.
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