FINANZA/ Le
"bacchettate" a Renzi che spiegano la recessione italiana
Pubblicazione: lunedì 17 novembre 2014
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Non prendiamoci in giro. Ce lo dice a tutto tondo Joel
Slemrod, uno dei maggiori economisti americani (Università del Michigan) che ha
scritto un libro sui paesi e i governi che “si prendono in giro da soli”.
Non piace a nessuno essere l’ultimo della classe, nonostante dagli antipodi e
in abbigliamento extra-sportivo, il Presidente del Consiglio dica sorridendo “ce
lo aspettavamo”.
Le stime flash dell’Istat, che verosimilmente
verranno corroborate quando martedì 18 novembre verranno pubblicate le analisi
dettagliate, affermano, in estrema sintesi, che in un’Europa che sta pur
faticosamente uscendo dalla recessione Italia e Cipro sono gli unici paesi ad
avere registrato nel terzo trimestre 2014 un andamento recessivo. Il calo è
stato “soltanto” dello 0,1% - dello 0,4% tendenziale sul 2013. In effetti, siamo
tornati al Pil del 2000, dopo 13 trimestri di recessione consecutiva.
Lo dimostra a chi se lo aspettava, lo “spread”
sociale che sta infiammando le periferie e che, per molti aspetti, è molto
più insidioso di quello finanziario nell’estate-autunno 2011 perché non si cura
con un cambio di Governo e lascia ferite durature nel corpo della società.
Futile dire: noi siamo arrivati da nove mesi e presto le nostre cure avranno
i loro effetti. Ci vorrebbe un umile esame di coscienza su questi punti:
- Avere dato la priorità a riforme istituzionali (che
rallentano sempre il ciclo economico), invece di rispondere al vero e
proprio grido di dolore da tutti i settori dell’economia dalle grandi
imprese in difficoltà alle piccole spesso in chiusura senza neanche il tempo
per l’olio santo, dai giovani alla ricerca di un impiego, dai cinquantenni che
perdevano il lavoro, dalle famiglie che non riuscivano a soddisfare le esigenze
essenziali.
- Essersi illusi che una flessibilità europea sarebbe
stata, se concessa, la chiave di soluzione. Paul Samuelson - di cui spero a
Palazzo Chigi si conosca almeno il nome e il Nobel - nella premessa del suo
libro più venduto, 30 milioni di copie (Economics: an introductory analysis)
pone una battuta del Julius Caesar di Shakespeare: Il futuro non
è nelle nostre stelle ma in noi stessi. Tanto più che mentre limitavamo
all’investimento le nostre richieste di flessibilità, giungevano a
Bruxelles dati scoraggianti che ci auguriamo siano noti anche a Palazzo Chigi.
Da un lato, in sette anni di recessione, le imprese (grandi e piccole) hanno
tentato di sopravvivere e non hanno, quindi, fatto piani di ammodernamento o di
espansione, come dimostrato dall’asta Tltro della Banca centrale europea. Da un
altro, le pubbliche amministrazioni (grandi e piccole) non hanno una platea di
progetti infrastrutturali: l’apposito fondo per la progettazione del ministero
dell’Economia e delle Finanze non ha “clienti” da anni.
Avere millantato sgravi fiscali (quelli sull’Irap per
i nuovi assunti sono in gran misura illusori) mentre la pressione tributaria e
contributiva aumentava (anche ragione degli incrementi a imposte indirette,
accise e tributi locali). In aggiunta, come ci è stato ricordato al G-20, ci
siamo dotati di uno dei sistemi tributari più complicati al mondo, con la gioia
di elusori ed evasori (da maglie complesse è più facile scappare che da
meccanismi semplici e trasparenti), affidando la tassazione sull’edilizia
residenziale a coloro che avevano escogitato quella Dit (Dual Income Tax)
di funesta e funerea memoria. Con i risultati sotto gli occhi di tutti.
- Avere aggravato il futuro dei giovani con una
tassazione dei fondi pensione e degli accantonamenti previdenziali (quali il
Trattamento di fine rapporto) che non ha eguali in nessun Paese al mondo (altra
notazione fatta a Brisbane, non da canguri, ma da esperti tributari).
- Avere bloccato i programmi di privatizzazione (che,
secondo l’Osservatorio internazionale Cardinal Van Thuân sulla Dottrina Sociale
della Chiesa, dovrebbe iniziare da quella della Rai) e di liberalizzazioni
iniziati dai Governi precedenti.
Che augurarsi? Che Matteo Renzi abbia avuto il tempo e
il modo di andare a un servizio religioso alla Cattedrale di Saint Stephen a
Brisbane e chiesto consiglio a uno dei Padri in servizio in una delle Chiese e
dei centri culturali più importanti del Bacino del Pacifico.
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