Le cento repliche
de La Traviata nella produzione Carsen a “La Fenice”
Come ormai tradizione, anche quest’anno la “stagione”
La Fenice ha avuto una doppia inaugurazione: il 22 novembre alle 18 è stata
presentata una nuova affascinante e commovente edizione di Simon Boccanegra
(di cui riferisco altrove) ed il 23 novembre alle 17 la centesima replica di
Traviata nella produzione di Robert Carsen.
La doppia inaugurazione ha un significato perché una
parte del pubblico è straniera e non affronta un viaggio sino alla laguna per
una unica serata. Sia Traviata (nel 1853) sia Simon (nel 1857) debuttarono a La
Fenice; per il centenario del debutto della prima delle due opere venne
allestito, nel 1953, un magnifico allestimento di Nicola Benois (che
ancora circola in ‘teatri di tradizione’) con Maria Callas come protagonista.
Alla riapertura del teatro, dopo l’incendio e la ricostruzione, nel 2004
Traviata venne scelta come titolo inaugurale in un nuovo, ed allora
controverso, allestimento di Robert Carsen (con scene e costumi di
Patrick Kinmoth). Fu un enorme successo, nonostante le polemiche di qualche
critico ultra-tradizionalista. Da allora la produzione viene replicata dieci
volte l’anno; la sera del 23 novembre, con una cena nella Sale Apollinee del
teatro con tanto di torta e candela, se ne è celebrata la centesima replica; ben
35 repliche sono previste nella stagione 2014-2015 in quanto lo spettacolo è
molto richiesto dal pubblico che verrà a Venezia nel corso del viaggio nel Nord
Italia per l’Expo. La biglietteria è già attivissima.
La serata, a cui ero presente, va trattato su due
piani differenti. In primo luogo, l’allestimento e la recita (alla prova dei
dieci anni dal debutto). In secondo, i vantaggi del “repertorio” rispetto a
“stagioni” costruite come se ognuna fosse un festival.
Innanzitutto, l’allestimento di Traviata firmato da
Carsen pone la vicenda ai nostri giorni in un mondo (si era pre-crisi ) dove
impera il denaro; le stesse foglie, che svolazzano nel bosco del primo quadro
del secondo atto, sono banconote. In questo mondo, Violetta è una escort che
vuole però lasciare la professione. ll bosco (presente non solo nel secondo ma
anche nel terzo atto) simbolizza la ricerca di un’esistenza fresca e pura a cui
anela e che non le viene concessa. Alfredo è un “bamboccione” che matura tardi,
solo quasi di fronte alla fine della donna che ama. Suo padre è dominato da una
tradizione perbenista e conservatrice del milieu; anche lui solo alla fine
acquista consapevolezza del danno commesso separando i due giovani. Chi li
contorna sono “viveurs” dell’Europa “da bere” all’inizio del ventunesimo
secolo.
La produzione richiede dettagli molto precisi ed una
recitazione di classe. I due protagonisti, poi, devono essere giovani ove non
giovanissimi. L’allestimento regge bene gli anni e promette di restare in scena
per almeno un altro lustro ove non due. Un cast giovane era alla centesima
replica. In buca, Diego Matteuz (classe 1984) ha concertato con calore
dando l’accento sulle tinte melanconiche. La protagonista era Francesca
Dotto (classe 1987) alle prese con un ruolo impervio che richiederebbe, a
rigor di logica, due soprani: uno lirico di coloratura sino alla metà del
secondo atto (Amami Alfredo!) ed uno drammatico, con vocalità di maggior
spessore, nel resto dell’opera. Francesca Dotto è cresciuta nel corso dello
spettacolo, regalando un perfetto terzo atto. Renato Coltelazzi (classe
1980) ha dato buone prove in fondazioni liriche e teatri di tradizioni, ma la
sera del 23 novembre, è parso in difficoltà con il registro acuto. Perfetti
tutti gli altri nei rispettivi ruoli, che hanno sovente cantato le relative
parti a La Fenice.
A questo punto il discorso diventa più ampio.
Un’inchiesta pubblicato dal mensile Classic Voice ha mostrato, dati alla
mano, che la fondazione veneziana è la meglio gestita d’Italia se per gestione
si intende un alto numero di recite, una buona diversificazioni dei titoli (con
attenzione alla lirica contemporanea), bilanci in ordine, nonostante
sovvenzioni notevolmente inferiori di cui di cui fruiscono enti meno virtuosi.
I dati puntuali possono essere letti su Classic Voice. L’alto numero
delle recite comporta “repertorio” ossia allestimenti che possono durare
diversi anni e che possono essere alternati con altre opere (la cui messa in
scena non richiede complesse attrezzature scenografiche) in modo da offrire una
scelta ai 27 milioni di turisti l’anno in una città di 55.000 residenti.
Ma ciò non riguarda solamente Venezia. La Scala ed il
nuovo Sovrintendente del Teatro dell’Opera di Roma stanno andando verso il
semi-repetorio . E’ un tracciato che dovrebbe essere seguito da altri teatri,
soprattutto da Firenze che, al pari di Venezia, se non attira un elevato numero
di turismi non potrà alimentare il nuovo Teatro (e gli altri).
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