Il
Canto della Terra oggi
19 - 11 - 2014Giuseppe Pennisi
Perché è oggi d’attualità il libro Gustav Mahler Il Canto
della Terra – All’Ombra degli Alberi della musicologa Adele Boghetich
(Zecchini Editore 2014 pp.120 , € 15)? E’ un volume smilzo che è bene non sia
usciti nel 2010-2011 quando le librerie sono state invase da testi sul
direttore d’orchestra, organizzatore musicale e soprattutto compositore boemo
in occasione dei centocinquanta anni dalla nascita e dai cento anni della
morte, al termine di una breve e tormentata avventura umana.
Allora si sarebbe perso o sarebbe stato schiacciato dalle circa
mille pagine della raccolta di saggi ‘Gustav Mahler- Il Mio Tempo
Verrà’ curata da Gastón Fournier-Facio. Mi sono accostato un paio di
volte a Mahler non con recensioni, ma con brevi saggi su bimestrali; nel 2004
su Ideazione e nel 2011 su Charta-minuta. Sto
pensando di tornare sull’argomento una terza vola su La Nuova Antologia.
La prima volta l’occasione era l’integrale di Mahler all’Accademia di Santa
Cecilia. La seconda volta era la commemorazione del cento cinquantenario e del
centenario. Ora l’attualità di Mahler era il presentimento del declino
dell’Europa all’approssimarsi della Prima Guerra Mondiale. Un presentimento
ancora più forte dei moniti venuti in questi ultimi mesi da Fondo Monetario,
Banca Mondiale e OCSE e in questi giorni dal G20 tenuto a Brisbane. Adele
Boghetich è al quarto saggio su Mahler . Pure i due precedenti sono stati
dedicati alieder.
“Il canto della terra”, la cui prima esecuzione tuttavia avvenne
il 20 Novembre 1911, pochi mesi dopo la morte del compositore che non era
riuscito a completare la decima sinfonia, era considerato il suo addio
alla vita. Nell’immaginario del pubblico meno accorto, Mahler condivide, con
Wagner, una leggenda: quella di essere stato un compositore fluviale, con
partiture di lunghezza smisurata e organici orchestrali straripanti. Al pari di
Wagner, Mahler compose relativamente poche ore di musica. Wagner rivoluzionò il
teatro in musica, ove non la musica occidentale in tutti i suoi canoni,
con 13 drammi (e pochissime composizioni orchestrali).
Mahler ci ha lasciato appena dieci sinfonie (di cui l’ultima
incompiuta) e 43 lieder (uno di meno di quelli contenuti nel solo ciclo del
“libro dei lieder spagnoli” di Hugo Wolf) un numero comunque modesto rispetto a
quelli di Schubert, Schumann e Brahms). Mahler, tuttavia, rivoluzionò la
sinfonia togliendola da quelle strutture formali che erano rimaste
sostanzialmente immutata da Haydn a Beethoven, aggiungendovi voci e cori e
fondendola con il lied (si pensi al quarto tempo della seconda, della terza e
della quarta sinfonia, nonché al quinto della terza). Nella specifica forma del
lied, poi, innovò la struttura giustapponendo la voce non ad un pianoforte od
ad un piccolo organico ma al grande (anzi enorme) organico orchestrale
post-wagneriane tipico delle sue sinfonie. C’è un’altra dimensione: nei leider
mahleriani è presente quella “musica a programma” (i “poemi sinfonici” nel
lessico italiano) tipici della musica tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del
Novecento che in molte polemiche accademiche e giornalistiche, Mahler affermava
di respingere in toto.
Questi aspetti che potrebbero sembrare tecnici sottoindentono una
dimensione spesso trascurata: i lieder sono, ancor più delle sinfonie,
espressione della crisi della cultura europea in generale, e di quella
Mittleuropea in particolare, in una fase a cavallo tra i due secoli. Nei
lieder- dal giovanile “canto del lamento” all’estremo “canto della terra”-
Mahler ricorre alla fiaba (medioevale, rinascimentale, cinese) per meditare su
come egli stesso percepisce un cambiamento che avverte essere epocale ma del
cui futuro non afferra i contorni (per avendo piena consapevolezza di quelli
del passato e del presente). Forse proprio a ragione di questo aspetto, i
lieder di Mahler sono stati relativamente poco “popolari” (almeno in Italia)
per decenni, mentre adesso (in una nuova fase di transizione tra due secoli)
attirano vasto pubblico, soprattutto di giovani.
Negli ultimi anni a Roma, si sono potuti ascoltare, fianco a
fianco, il “canto del viandante” (o, in traduzione letterale, di “uno che va”)
nella stagione dei concerti dell’Accademia di Santa Cecilia e “il canto della
terra” (in quelle sia dell’Accademia di Santa Cecilia sia dell’Orchestra di
Roma e del Lazio, l’Orl, sia dell’Orchestra sinfonica di Roma). Il “canto del
viandante” è il risultato di un’infelice passione del compositore per una
cantante. E’ un lavoro nato di getto quando il compositore era tra i
24 ed i 25 anni e si stava appena accostando alle grandi cattedrali sinfoniche.
I lieder, messi in musica da Mahler su propri testi, non sono il ritrattato di
un pallido innamorato schubertiano; in essi si avverte un effetto di
straniamento doloroso, “fin de siècle” invece che byroniano. I colori sono già
quasi quelli dell’espressionismo, più che quelli del tardo romanticismo.
.Il più conosciuto “canto della terra” è uno struggente commiato
dal mondo, in chiave di trovata serenità Zen, opera di cui poco prima di morire
il grande direttore d’orchestra Jascha Horenstein disse “una delle cose più
tristi di lasciare il mondo è il non potere più ascoltare il Das
Lied von der Erde”.
Das Lied von der Erde non richiede presentazione . Ed il libro di Adele Boghetich
è un’utilissima preparazione all’ascolto. Non entra in considerazioni
geopolitiche o tecnico-musicali ma scava con accuratezza non solo le fonti
(dal Werther di Goethe ai canti di Neitzsche ) ma anche
i ‘colori’ della commozione: sono – dimostra- quelli dell’autunno pieni di
passaggi onirici e surreali. E’ l’autunno della vita quale percepito
dall’autore che sapeva di essere gravemente malato? O l’autunno del mondo
tardo-romantico a cavallo tra fine ottocento ed inizio novecento? Oppure
l’autunno dell’Europa che inizio con la Grande Guerra e precedette il lungo
inverno del declino del continente vecchio di cui non si vede una luce alla
fine del tunnel.
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