Consigli utili per
uscire dalla crisi europea
14 - 11 - 2014Giuseppe Pennisi
Si cominciano a delineare proposte nuove per uscire
dalla crisi che l’Italia potrebbe presentare ai tavoli europei prima del
termine di un “semestre”, i cui esiti, sino ad ora, sono stati tutt’altro che
esaltanti. Mentre ieri la Bce nel suo bollettino ha tagliato le stime di
crescita dell’Eurozona: nel 2014 più 0,8%, invece di più 1%.
In questo quadro, assume grande rilievo il percorso
tracciato il pomeriggio del 12 novembre ad un seminario di presentazione dello
studio In Search of a New Equilibrium: Economic Imbalances in the Eurozone,
commissionato dall’Istituto Affari Internazionali, con il supporto della
Compagnia di San Paolo, alla Luiss School of European Political Economy. Il
documento, ancora in bozza – il seminario aveva lo scopo di raccogliere
commenti prima della stesura definitiva – sarà disponibile entro la fine del
mese e potrebbe essere un elemento importante della strategia da presentare
prima del Consiglio Europeo del 18-19 dicembre oppure al Consiglio medesimo.
La bozza dell’Executive Summary del documento è stata
illustrata dal Direttore della Luiss School of European Political Economy, Marcello
Messori. Discussant Veronica De Romanis, Paolo Guerrieri, Beniamino
Quintieri e Fabrizio Saccomanni, oltre ad alcuni interventi dalla
sala.
A questo stadio sarebbe poco utile, oltre che poco
corretto, discutere in dettaglio di un documento ancora non finalizzato, pur se
giunto ad uno stadio molto avanzato di redazione. Appare più significativo,
recepire i punti essenziali del documento (quale presentato) ed i commenti
formulati il 12 novembre e vedere quale potrebbe essere la strategia. Occorre
premettere che l’analisi del documento integra, con stime econometriche, quella
che fu l’intuizione centrale dell’ultimo lavoro di Luigi Spaventa: ossia che
gli squilibri delle partite correnti all’interno di un’unione monetaria
“contano” e, soprattutto, “rilevano” più di quanto non sembri ad un esame superficiale.
Il documento, quindi, apporta un contributo scientifico di indubbio valore. Ciò
non vuole dire che si è necessariamente d’accordo con tutte le implicazioni di
strategia economica che il documento, nell’attuale stesura, trae dall’analisi.
In molti aspetti le osservazioni al seminario hanno utilmente integrato il
documento.
Veniamo le tre principali componenti di quella che
potrebbe essere la strategia:
In primo luogo,
far comprendere a tutti i partner europei che gli squilibri non si risolvono
con politiche che implicano “svalutazioni interne” (ossia riduzioni dei salari,
dei poteri d’acquisto ed ora anche dei prezzi) dei soci del club in disavanzo
strutturale delle loro partite correnti. Ciò può richiedere espansioniste da
parte dei soci in surplus strutturale; a riguardo, però, occorre ricordare che
solo un terzo del surplus commerciale della Repubblica Federale Tedesca è con
il resto dell’eurozona. Berlino ha già iniziato una politica più espansionista
ma è difficile (per ragioni storico-culturali) convincere il Governo e
l’opinione pubblica tedesca che il pareggio di bilancio non è la virtù
principale di ciascuna generazione nei confronti di figli e nipoti.
In secondo luogo,
rilanciare il Growth Pact o l’Industrial Compact. Ciò comporta un forte aumento
dell’investimento pubblico in infrastrutture che agisca sulla più piena
utilizzazione dei fattori produttivi nel breve periodo e sull’aumento della
produttività nel medio. In attesa che si materializzi il programma Juncker di
investimenti addizionali di 300 miliardi di euro (peraltro, un programma sempre
più evanescente), il documento propone un meccanismo macchinoso di interventi
dell’European Stability Mechanism per facilitare emissioni di project bonds per
investimenti a beneficio di Paesi che concludano contractual arrangements per
il loro riassetto strutturale. Probabilmente si può trovare un sistema più
semplice facendo perno sulla Banca Europea per gli Investimenti (BEI).
Tuttavia, occorre sollevare il nodo di fondo: ci sono progetti “pronti” nel
senso di immediatamente canteriabili? Dopo anni di recessione, le imprese hanno
combattuto per sopravvivere più che per ampliarsi e modernizzarsi. In materia
di infrastrutture, vale la pena ricordare che il “fondo per la progettazione” è
stato utilizzato molto poco.
In terzo luogo,
le misure dal lato della domanda avranno poco effetto se non accompagnate da
stimoli alla produttività dal lato dell’offerta: ciò implica liberalizzazioni e
privatizzazioni (soprattutto a livello locale). Riuscirà un Governo in cui gli
ex-amministratori locali hanno una forte rappresentanza ed un peso
considerevole a proporre misure specifiche in questo campo?
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