OPERA/
Il trionfo di Rusalka a Roma
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sabato 29 novembre 2014
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®C.M.Falsini-Teatro dell'Opera di Roma
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NEWS Musica
La
sera del 27 novembre 2014 potrebbe entrare negli annali del Teatro dell’Opera,
come quella della rinascita di un teatro che si temeva stesse per finire in
stato di dissesto. Venti minuti di applausi al calar del sipario di ‘Rusalka’
di Antonin Dvorák, opera poco nota al grande pubblico e presentata in un
allestimento volutamente povero (costo totale di scene, costumi e luci 50.000
euro), facilmente trasportabile in altri teatri.
Una
recensione del capolavoro di Dvorák per il teatro in musica necessita una
duplice premessa: la scarsa fortuna delle opere fantastiche nell’Italia
dell’Ottocento e del Novecento e il ruolo del compositore nello sviluppo
dell’opera nella Cèchia.
Agli
italiani, si potrebbe dire, non piacciono le favole. Tendenzialmente scettici e
disillusi, abbiamo poca dimestichezza con il fiabesco nella letteratura in
generale. Probabilmente l’unico apporto alla letteratura mondiale nel genere è
“L’Orlando Furioso” dell’Ariosto. Nella narrativa possiamo vantare unicamente
una favola per bambini: “Pinocchio” di Collodi che, ricordiamolo, non nacque
come favola ma divenne tale a grande richiesta dei lettori . Nel teatro, le
stupende favole di Carlo Gozzi vennero offuscate dalle commedie borghesi di
Carlo Goldoni. Nel teatro in musica, la favolistica finì con il Barocco. I
tentativi di Mascagni, Malipiero e pochi altri di riprendere il genere che,
all’inizio del Novecento aveva grande fortuna in Germania, Francia e
nell’Europa centrale ed orientale, fallirono miseramente: anche quando
suscitarono reazioni positive dalla critica, il pubblico voltò loro le spalle.
E’
vero che la pucciniana “Turandot” viene situata nella Cina “dei tempi delle
favole”, ma né il libretto né la musica hanno un vero elemento magico:
l’accento è sul dramma in un quadro, per certi aspetti, autobiografico.
Eppure
proprio “la musa bizzarra ed altera”, l’opera lirica, nata in Italia e che in
Italia ha avuto la sua più lunga e più importante stagione come spettacolo
commerciale per il grande pubblico di tutti i ceti sociali, si presta
meravigliosamente al fiabesco per la fusione di azione scenica, canto, danza ed
orchestra. E come tale nasce a Firenze. Nel nostro Paese il fantastico sparisce
alla fine del Settecento: la stessa “Armida” di Rossini, pur ispirata al
fiabesco dell’Ariosto, diventa innanzitutto un’opera erotico-sensuale. Il
melodramma del romanticismo italiano quasi rigetta il fiabesco, centrale invece
all’opera tedesca (si pensi a Marschner, Weber, allo stesso Wagner) dello
stesso periodo, nonché a quella del Novecento (si pensi a Strauss). Nella
Francia della Terza Repubblica il fiabesco viene utilizzato per dilatare nel
mito i temi della società borghese nel periodo dell’industrializzazione
trionfante (si pensi a “Cendrillon”, “Chérubin” e “Le Joungleur de Nôtre Dame-”
di Massenet). In Europa centrale ed orientale, le favole antiche (unitamente
alla storia nazionale) alimentano la nascita di forme di teatro in musica che
prendono nettamente le distanze da quelle assunte in Europa occidentale.
Dvorák
ha, nel corso della sua vita, costantemente avuto l’ambizione di diventare un
grande autore di teatro in musica: sette delle otto opera precedenti “Rusalka”
traevano ispirazione o da truculenti drammi storici o da commedie, pure essere
storiche o semi-storiche (l’obiettivo era dar vita ad una scuola operistica
nazionale boema) Si avvicino al fiabesco in “Il Diavolo e Caterina”, lavoro in
cui all’orchestra viene dato un peso sinfonico e nel canto ci si avvicina al
declamato.
Grazie al direttore del Teatro Nazionale, Frantisek Subert, il
compositore conobbe un lavoro del giovane scrittore Jaroslav Kvapil, in seguito
una figura importante del teatro boemo. Trovò congeniale il libretto, che era
stato in precedenza offerto senza successo ad altri musicisti. Anche “Rusalka”
era nell’alveo del racconto fiabesco, nel mondo della natura incantata particolarmente
caro alla sensibilità del compositore Dvorák, che vi si era ispirato per vari
altri lavori, e in particolare per il gruppo di poemi sinfonici tratti dalle
ballate popolari di Erben (1896), tra cui ve n’è uno intitolato appunto
“Spirito delle acque”. In “Rusalka” il fiabesco è di carattere sentimentale e
simbolico, anziché comico e fantastico come nell’opera immediatamente
precedente, “Il diavolo e Caterina”. Kvapil si ispirò al tema della creatura
acquatica che prende natura umana per amore pagandone le conseguenze: un antico
motivo della letteratura nordica ripreso con ampiezza dal romanticismo, di cui
sono esempi ben noti la novella “Undine” dell’ugonotto tedesco Friedrich de La
Motte-Fouqué e la “Sirenetta” di Hans Christian Andersen; il poeta vi aggiunse
inoltre altri elementi eterogenei, in particolare legati al folklore popolare
boemo. L’opera è diventata col tempo, assieme alla “Sposa venduta” di
Smetana, il maggiore classico del teatro boemo.
La vicenda è molto semplice. La ninfa Rusalka è innamorata del
Principe. Per incontrarlo, è disposta ad assumere sembianze umane, pur al
prezzo di perdere la parola. Il giovane si innamora ma non troppo: nel giorno
delle nozze segue senza farsi troppi problemi una rabbiosa e passionale
principessa straniera cattura le sue attenzioni. Rusalka ritorna al lago,
avviata a un destino di tristezza eterna. Il principe non riesce però a
liberarsi dell'ossessione-Rusalka. Morirà chiedendo perdono tra le sue braccia.
Il fiabesco (siamo all’inizio del Novecento) si coniuga, quindi, con il
simbolismo: il desiderio di diventare donna dell’essere semi-sovrumano e la
passione-maledizione.
Siamo, però, lontani anni luce dal
contemporaneo Debussy oppure da Janácek, i cui capolavori sarebbero
stati composti, nel teatro cèco, soltanto qualche lustro più tardi. Dvorák ,
sotto molto aspetti, è il nesso tra Smetana e Janácek, rivolto però
all’Ottocento mentre il moravo era lanciato verso un Novecento la cui portata
innovativa venne compresa da pochi dei suoi contemporanei. Il temperamento di
Dvorák è lirico e melodico, per se utilizza un grande organico ed i lietmotive
wagneriani (ossia non mnemonici ma legati a personaggi ed a situazioni) :
l’attenzione è più sul contesto e sui singoli personaggi che sull’azione
drammatica. Inoltre, il sinfonismo non può non permeare l’intera partitura.
Mentre nella scrittura vocale, il declamato wagneriano si trasforma in leider
anche a più voci (come nel duetto finale) e le voci fanno da contrappunto
all’orchestra (come nel quadro iniziale delle ninfe).
La scarsa fortuna di “Rusalka” in Italia deve attribuirsi in gran
misura alla poca attenzione di critici e pubblico nei confronti del fiabesco,
nonché alle difficoltà di realizzazione scenica. Tuttavia, qualcosa sta
mutando: l’opera che mancava dalla scene romane dalla stagione 1992-93 (quando
ebbe la sua “prima” nella capitale in un allestimento, molto discutibile,
importato dalla Gran Bretagna in cui la vicenda era trasportata in un ospedale
ai giorni d’oggi) ha avuto un grande successo a Torino alcuni fa. Si è vista
anche alla Scala alcuni anni fa. Inoltre, il fiabesco sta tornando in scena:
Cagliari ha inaugurato la stagione 2008 con una delle opere più fiabesche di
Rimski-Korsakov : “La leggenda della città invisibile di Kitez”. Sempre nel
2008 “Rusalka” è tornata a Roma : l’allestimento veniva dal Teatro Dvorák
(una sala di circa 600 posti) di Ostrava (una città di 300.000 abitanti nel
Nord Est della Repubblica Chéchia- quindi ai confini con la Polonia e con la
Slovacchia) ed era davvero essenziali, ma le voci erano buone.
Del ‘mini-miracolo’ che , con un budget di 50.000 euro, Denis
Krief( autore di scene, costumi e luci, ora espatriato a Berlino dopo trenta
anni di lavoro in Italia) parliamo altrove. Ci soffermiamo invece sugli aspetti
musicali.
In primo luogo, coro ed orchestra che hanno dato una magnifica
prova, nonostante la preparazione sia avvenuta in una fase di grande tensione.
Ciò si deve alla grande professionalità dei professori d’orchestra e dei
coristi (diretti da Roberto Gabbiano) e soprattutto alla maestria del giovane
direttore d’orchestra norvegese Eivin Gullberg Jensen (classe 1972) già da un
decennio noto come delle migliori bacchette in Europa e Nord America.
Entra negli anfratti più complessi di una partitura in cui una base
tardo-romantica si fonde con elementi wagneriani e motivi tratti da musica
popolare slava. Esemplare il trattamento dei fiati. Importante come notare come
abbia gentilmente abbassato la sonorità dell’orchestra nel primo atto quando
cantava Maksim Aksenov che, uso a lavorare in teatri di dimensioni inferiori a
quelle dell’Opera di Roma, conservava il volume per l’impervio terzo atto.
I due protagonisti Svetla Vassileva e Maksim Aksenov hanno le
phisique du rôle in quanto dall’aspetto giovane e bello; hanno
cantato più volte le relative parti e sanno essere davvero commoventi nel loro
amore impossibile. Sufficientemente ‘volgarotta’, e sensuale (come vuole la
parte) Michelle Breedt nel ruolo della principessa straniera. Ottimi sia nel
canto sia nella recitazione Larissa Diadkova (la strega) e Steven Humes (lo
Spirito dell’acqua). Di livello gli altri.
Da augurarsi che altri teatri circuirono questo straordinario
spettacolo.
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