Il bazooka di Draghi rischia di restare
scarico
Il consiglio della Bce che si riunisce oggi non
dovrà solo decidere se lasciare il tasso d’interesse di riferimento allo 0,05%
l’anno (come appare scontato), ma anche se e in che modo verranno adottate le
'misure non convenzionali' (principalmente gli Abs, in quanto gli Omt appaiono
accantonati, mentre una seconda asta per gli T-ltro è in calendario a fine
anno). In effetti, Draghi spera di avere creato, con pazienza e perseveranza,
il consenso perché nel 'bazooka' monetario, come lui stesso lo ha chiamato,
venga messa polvere da sparo e – soprattutto – ne venga autorizzato l’uso. In
una recente conversazione a Roma, Fabrizio Saccomanni, che ha lavorato a lungo
su questi temi sia come direttore generale della Banca d’Italia sia come
ministro dell’Economia e delle Finanze, ha sostenuto che la Germania e altri
Paesi non consentiranno mai e poi mai al presidente della Bce di acquistare le
munizioni e ancor meno di sparare. Quindi il 'bazooka' è scarico e potrebbe
restare tale.
Ma riuscirebbe una manovra monetaria 'non
convenzionale' a rivitalizzare un’economia europea stagnante (più in Italia che
altrove) e travagliata da uno spread di malessere sociale uguale (se non
peggiore) rispetto a quello monetario dell’estate-autunno 2011?
Il recente stress test al sistema bancario ha
documentato casi di cattiva gestione (e di carente vigilanza da parte delle
autorità nazionali), ma non di mancanza di liquidità. Che a fare difetto sia la
domanda di impieghi lo confermano conversazioni con alti dirigenti e
amministratori anche di banche stressate: vorrebbero aumentare gli impieghi
alla grande (è la loro ragion d’essere), ma trovano solo piccoli e medi
clienti. La ribadiscono studi recenti: un lavoro (inedito) di Cinzia Balzan e
Francesco Zen (ambedue dell’ateneo di Padova) e di Enrico Geretto (università
di Udine) propone un modello del sistema bancario italiano basato
sull’'appetito di rischio'. La conclusione è che le banche italiane sono
sottoesposte, ossia hanno poco 'appetito di rischio' anche in quanto dopo sette
anni di crisi, le imprese hanno ragionevolmente dato la priorità al
sopravvivere e non alla progettazione di nuovi investimenti. In parallelo, un
lavoro (anch’esso inedito) dell’Università di Leicester studia 141 banche
dell’Unione europea nel 2004-2010 e conclude che la crisi finanziaria
internazionale ha reso gli istituti meno efficienti e, quindi, meno pronti ad
aiutare clienti nell’allestimento di piani finanziari. Infine, c’è lo spettro
del 'contagio' che rende tutti più prudenti, come confermano studi del Cepr.
Come si spiegano allora i successi della
politica monetaria americana? Gli Stati Uniti non hanno solo la freccia
monetaria nel loro arco, ma utilizzano pure il bilancio e il cambio.
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