domenica 30 novembre 2014
venerdì 28 novembre 2014
Il trionfo di Rusalka a Roma in Il Sussidiario 29 Novembre
OPERA/
Il trionfo di Rusalka a Roma
Pubblicazione:
sabato 29 novembre 2014
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®C.M.Falsini-Teatro dell'Opera di Roma
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NEWS Musica
La
sera del 27 novembre 2014 potrebbe entrare negli annali del Teatro dell’Opera,
come quella della rinascita di un teatro che si temeva stesse per finire in
stato di dissesto. Venti minuti di applausi al calar del sipario di ‘Rusalka’
di Antonin Dvorák, opera poco nota al grande pubblico e presentata in un
allestimento volutamente povero (costo totale di scene, costumi e luci 50.000
euro), facilmente trasportabile in altri teatri.
Una
recensione del capolavoro di Dvorák per il teatro in musica necessita una
duplice premessa: la scarsa fortuna delle opere fantastiche nell’Italia
dell’Ottocento e del Novecento e il ruolo del compositore nello sviluppo
dell’opera nella Cèchia.
Agli
italiani, si potrebbe dire, non piacciono le favole. Tendenzialmente scettici e
disillusi, abbiamo poca dimestichezza con il fiabesco nella letteratura in
generale. Probabilmente l’unico apporto alla letteratura mondiale nel genere è
“L’Orlando Furioso” dell’Ariosto. Nella narrativa possiamo vantare unicamente
una favola per bambini: “Pinocchio” di Collodi che, ricordiamolo, non nacque
come favola ma divenne tale a grande richiesta dei lettori . Nel teatro, le
stupende favole di Carlo Gozzi vennero offuscate dalle commedie borghesi di
Carlo Goldoni. Nel teatro in musica, la favolistica finì con il Barocco. I
tentativi di Mascagni, Malipiero e pochi altri di riprendere il genere che,
all’inizio del Novecento aveva grande fortuna in Germania, Francia e
nell’Europa centrale ed orientale, fallirono miseramente: anche quando
suscitarono reazioni positive dalla critica, il pubblico voltò loro le spalle.
E’
vero che la pucciniana “Turandot” viene situata nella Cina “dei tempi delle
favole”, ma né il libretto né la musica hanno un vero elemento magico:
l’accento è sul dramma in un quadro, per certi aspetti, autobiografico.
Eppure
proprio “la musa bizzarra ed altera”, l’opera lirica, nata in Italia e che in
Italia ha avuto la sua più lunga e più importante stagione come spettacolo
commerciale per il grande pubblico di tutti i ceti sociali, si presta
meravigliosamente al fiabesco per la fusione di azione scenica, canto, danza ed
orchestra. E come tale nasce a Firenze. Nel nostro Paese il fantastico sparisce
alla fine del Settecento: la stessa “Armida” di Rossini, pur ispirata al
fiabesco dell’Ariosto, diventa innanzitutto un’opera erotico-sensuale. Il
melodramma del romanticismo italiano quasi rigetta il fiabesco, centrale invece
all’opera tedesca (si pensi a Marschner, Weber, allo stesso Wagner) dello
stesso periodo, nonché a quella del Novecento (si pensi a Strauss). Nella
Francia della Terza Repubblica il fiabesco viene utilizzato per dilatare nel
mito i temi della società borghese nel periodo dell’industrializzazione
trionfante (si pensi a “Cendrillon”, “Chérubin” e “Le Joungleur de Nôtre Dame-”
di Massenet). In Europa centrale ed orientale, le favole antiche (unitamente
alla storia nazionale) alimentano la nascita di forme di teatro in musica che
prendono nettamente le distanze da quelle assunte in Europa occidentale.
Dvorák
ha, nel corso della sua vita, costantemente avuto l’ambizione di diventare un
grande autore di teatro in musica: sette delle otto opera precedenti “Rusalka”
traevano ispirazione o da truculenti drammi storici o da commedie, pure essere
storiche o semi-storiche (l’obiettivo era dar vita ad una scuola operistica
nazionale boema) Si avvicino al fiabesco in “Il Diavolo e Caterina”, lavoro in
cui all’orchestra viene dato un peso sinfonico e nel canto ci si avvicina al
declamato.
Grazie al direttore del Teatro Nazionale, Frantisek Subert, il
compositore conobbe un lavoro del giovane scrittore Jaroslav Kvapil, in seguito
una figura importante del teatro boemo. Trovò congeniale il libretto, che era
stato in precedenza offerto senza successo ad altri musicisti. Anche “Rusalka”
era nell’alveo del racconto fiabesco, nel mondo della natura incantata particolarmente
caro alla sensibilità del compositore Dvorák, che vi si era ispirato per vari
altri lavori, e in particolare per il gruppo di poemi sinfonici tratti dalle
ballate popolari di Erben (1896), tra cui ve n’è uno intitolato appunto
“Spirito delle acque”. In “Rusalka” il fiabesco è di carattere sentimentale e
simbolico, anziché comico e fantastico come nell’opera immediatamente
precedente, “Il diavolo e Caterina”. Kvapil si ispirò al tema della creatura
acquatica che prende natura umana per amore pagandone le conseguenze: un antico
motivo della letteratura nordica ripreso con ampiezza dal romanticismo, di cui
sono esempi ben noti la novella “Undine” dell’ugonotto tedesco Friedrich de La
Motte-Fouqué e la “Sirenetta” di Hans Christian Andersen; il poeta vi aggiunse
inoltre altri elementi eterogenei, in particolare legati al folklore popolare
boemo. L’opera è diventata col tempo, assieme alla “Sposa venduta” di
Smetana, il maggiore classico del teatro boemo.
La vicenda è molto semplice. La ninfa Rusalka è innamorata del
Principe. Per incontrarlo, è disposta ad assumere sembianze umane, pur al
prezzo di perdere la parola. Il giovane si innamora ma non troppo: nel giorno
delle nozze segue senza farsi troppi problemi una rabbiosa e passionale
principessa straniera cattura le sue attenzioni. Rusalka ritorna al lago,
avviata a un destino di tristezza eterna. Il principe non riesce però a
liberarsi dell'ossessione-Rusalka. Morirà chiedendo perdono tra le sue braccia.
Il fiabesco (siamo all’inizio del Novecento) si coniuga, quindi, con il
simbolismo: il desiderio di diventare donna dell’essere semi-sovrumano e la
passione-maledizione.
Siamo, però, lontani anni luce dal
contemporaneo Debussy oppure da Janácek, i cui capolavori sarebbero
stati composti, nel teatro cèco, soltanto qualche lustro più tardi. Dvorák ,
sotto molto aspetti, è il nesso tra Smetana e Janácek, rivolto però
all’Ottocento mentre il moravo era lanciato verso un Novecento la cui portata
innovativa venne compresa da pochi dei suoi contemporanei. Il temperamento di
Dvorák è lirico e melodico, per se utilizza un grande organico ed i lietmotive
wagneriani (ossia non mnemonici ma legati a personaggi ed a situazioni) :
l’attenzione è più sul contesto e sui singoli personaggi che sull’azione
drammatica. Inoltre, il sinfonismo non può non permeare l’intera partitura.
Mentre nella scrittura vocale, il declamato wagneriano si trasforma in leider
anche a più voci (come nel duetto finale) e le voci fanno da contrappunto
all’orchestra (come nel quadro iniziale delle ninfe).
La scarsa fortuna di “Rusalka” in Italia deve attribuirsi in gran
misura alla poca attenzione di critici e pubblico nei confronti del fiabesco,
nonché alle difficoltà di realizzazione scenica. Tuttavia, qualcosa sta
mutando: l’opera che mancava dalla scene romane dalla stagione 1992-93 (quando
ebbe la sua “prima” nella capitale in un allestimento, molto discutibile,
importato dalla Gran Bretagna in cui la vicenda era trasportata in un ospedale
ai giorni d’oggi) ha avuto un grande successo a Torino alcuni fa. Si è vista
anche alla Scala alcuni anni fa. Inoltre, il fiabesco sta tornando in scena:
Cagliari ha inaugurato la stagione 2008 con una delle opere più fiabesche di
Rimski-Korsakov : “La leggenda della città invisibile di Kitez”. Sempre nel
2008 “Rusalka” è tornata a Roma : l’allestimento veniva dal Teatro Dvorák
(una sala di circa 600 posti) di Ostrava (una città di 300.000 abitanti nel
Nord Est della Repubblica Chéchia- quindi ai confini con la Polonia e con la
Slovacchia) ed era davvero essenziali, ma le voci erano buone.
Del ‘mini-miracolo’ che , con un budget di 50.000 euro, Denis
Krief( autore di scene, costumi e luci, ora espatriato a Berlino dopo trenta
anni di lavoro in Italia) parliamo altrove. Ci soffermiamo invece sugli aspetti
musicali.
In primo luogo, coro ed orchestra che hanno dato una magnifica
prova, nonostante la preparazione sia avvenuta in una fase di grande tensione.
Ciò si deve alla grande professionalità dei professori d’orchestra e dei
coristi (diretti da Roberto Gabbiano) e soprattutto alla maestria del giovane
direttore d’orchestra norvegese Eivin Gullberg Jensen (classe 1972) già da un
decennio noto come delle migliori bacchette in Europa e Nord America.
Entra negli anfratti più complessi di una partitura in cui una base
tardo-romantica si fonde con elementi wagneriani e motivi tratti da musica
popolare slava. Esemplare il trattamento dei fiati. Importante come notare come
abbia gentilmente abbassato la sonorità dell’orchestra nel primo atto quando
cantava Maksim Aksenov che, uso a lavorare in teatri di dimensioni inferiori a
quelle dell’Opera di Roma, conservava il volume per l’impervio terzo atto.
I due protagonisti Svetla Vassileva e Maksim Aksenov hanno le
phisique du rôle in quanto dall’aspetto giovane e bello; hanno
cantato più volte le relative parti e sanno essere davvero commoventi nel loro
amore impossibile. Sufficientemente ‘volgarotta’, e sensuale (come vuole la
parte) Michelle Breedt nel ruolo della principessa straniera. Ottimi sia nel
canto sia nella recitazione Larissa Diadkova (la strega) e Steven Humes (lo
Spirito dell’acqua). Di livello gli altri.
Da augurarsi che altri teatri circuirono questo straordinario
spettacolo.
© Riproduzione Riservata.
Simon Boccanegra torna a casa, a Venezia in Milano Finanza 29 novembre
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di Giuseppe PennisiIl mistero della vita nella “Rusalka” low cost al Teatro dell’Opera 28 -Movembre
Il
mistero della vita nella “Rusalka” low cost al Teatro dell’Opera
28 - 11 - 2014Giuseppe Pennisi
Dopo tante tensioni e polemiche, il Teatro dell’Opera di Roma ha
inaugurato la sera del 27 novembre la stagione 2014-2015 con un lavoro di Antonin
Dvo ák “Rusalka”, raramente rappresentato in Italia (la prima esecuzione
scenica risale al 1992-93 e da allora se ne conta solamente altre tre al Regio
di Torino ed alla Scala , rispettivamente nel 2001e nel 2009 ed una riproposta
a Roma nel febbraio 2008 in un nuovo allestimento di repertorio (proveniente
dal teatro di Ostrava, una città di 300.000 abitanti nel Nord della Repubblica
Ceca).
®C.M.Falsini-Teatro
dell’Opera di Roma ®Yasuko Kageyama-Teatro dell’Opera di Roma
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L’allestimento (Denis Krief è autore di regia, scene,
costumi e luci) è costato appena 50.000 euro, segno che si può fare opera di
grande qualità senza mandare in dissesto i teatri. Dopo trenta anni di lavoro
in Italia, Krief si è auto-esiliato a Berlino proprio a ragioni di
sprechi ed inadempienze di certe fondazioni liriche.
“Rusalka” è una favola in musica, genere poco frequente nei
palcoscenici italiani, dell’inizio del Novecento (la prima è del marzo 1901).
Un’altra favola in musica (“Le leggenda dell’invisibile città di Kitez e della
fanciulla Feronia” di Nikolaj Rimskij Korsakov) ha inaugurato il 24
aprile 2008, in occasione delle Festa di Sant Efisio, la stagione lirica
cagliaritana tramite una co-produzione tra il Teatro Lirico dell’isola ed il
Bolhoi di Mosca. Auspico una nuova edizione di “La fanciulle di neve” di
Nikolaj Rimskij Korsakov (del 1882, ma già impregnata di canoni
novecenteschi), assente dai nostri teatri da circa 50 anni. Mi incantò quando
ero adolescente.
Due anni fa c’è stato il ritorno, ed alla grande, sulle scene
italiane a Milano ed a Firenze –negli ultimi trenta anni si è visto solo
l’allestimento minimalista di Jean-Pierre Ponelle sempre solamente a
Milano ed a Firenze- de “La donna senz’ombra” di Hugo von Hofmansthal e Richard
Strauss che, nel 1919 (la prima ebbe luogo il 10 ottobre), lanciava, con
una complicatissima favola in cui l’etica cristiana si incrociava con la
letteratura orientale, un inno di speranza all’Europa devastata dal primo
conflitto mondiale (“la grande guerra” per antonomasia).
In altra sede, mi sono recentemente chiesto perché gli italiani
siano parsi refrattari alle favole in musica, nonostante l’opera lirica
italiana (Peri, Monteverdi, Cavalli) – tanto quella di corte quanto
commerciale- abbia origini nella rappresentazione scenica di fiabe e miti.
Dall’inizio dell’Ottocento, con il melodramma verdiano prima e con il verismo,
poi, siamo stati lontani da un filone che nel Novecento è stato centrale non
solamente all’opera slava e tedesca, ma anche a quella francese ed alla
rinascita di quella britannica. E che adesso è di grande successo negli Stati
Uniti ed in Canada e nelle opere ‘occidentali’ di nuova composizione e
produzione in Cina.
Chiediamoci perché scettici e disillusi nei confronti delle favole
in musica, vi ci stiamo adesso riaccostando. Sarebbe banale individuarne la
determinante nell’esigenza di evasione di fonte ad un Paese in declino ed in
cui, specialmente dopo l’esperienza della XV legislatura, gli italiani si
sentono tanto sconfortati da rifugiarsi nelle fiabe. C’è forse qualcosa di più
profondo. Lo mostra la relativamente poca attenzione che ha avuto nel 2007 il
Quattrocentenario di una delle più importanti favole in musica italiane
(“L’Orfeo”) di Claudio Monteverdi ed l’interesse invece per “Rusalka”,
gli altri titoli citati e lavori ad essi affini. Soprattutto, i 400 anni da la
prima de “L’Orfeo” non sono stati l’occasione per riproporre opere quasi coeve
come “La Calisto” di Giovanni Cavalli – di frequente sui palcoscenici europei
ed americani dalla metà degli Anni Novanta – in cui lo splendore della musica
riveste un intreccio erotico ai limiti del libidinoso e del lascivo.
“Rusalka” e le altre (specialmente “La donna senz’ombra”) hanno,
nonostante le differenze di scrittura orchestrale e vocale, di lingua, di fonti
letterarie un nesso comune: l’esaltazione del legame di coppia, del matrimonio,
della maternità e della paternità. Questi temi esplodono nel grandioso lavoro
di von Hofmansthal e Strauss che termina con la doppia
ricongiunzione di due coppie e con il “coro dei bambini mai nati” (con
cui si è chiuso il primo atto) che nel terzo diventa il “il coro dei bambini
sul punto di nascere” con il quale da fuori scena si accompagna un doppio
smagliante duetto. Rusalka, Feronia, l’Imperatrice (de “La donna senz’ombra”)
Sneguro ka (la fanciulla di neve) rinunciano a caratteristiche sovrannanutarali
che le renderebbero immortali pur di potere essere mogli e madri. Il tema, pur
in guisa di favola, si collega a quello del grande mistero della vita. Attuale
nel dibattito etico e culturale, oltre che politico, come non mai in questo
inizio di XXI Secolo.
Una ipotesi errata è che le ‘favole in musica’ richiedono costose
messe in scena. Ciò avviene, ad esempio, ne ‘L’amour di trois oranges’ di Sergej
Prokofiev di recente visto a Firenze, anche se l’allestimento dello stesso
lavoro nella produzione che si replica da dieci anni a Berlino smentisce questo
assunto.
Una smentita ancora più forte viene dalla “Rusalka” romana. Una
scena unica, costumi moderni (il lavoro ha un messaggio universale) . Un minimo
di attrezzeria, in gran parte risultante dai magazzini del teatro, e le varie
ambientazioni sono rappresentate in maniera stilizzata ma efficace: dai boschi
lacustri, alla abitazione della strega , alla foresta, ai saloni di un castello
principesco, e via discorrendo. L’intero impianto scenica è in una grande
scatola di legno dal color di ciliegio e dalla torre scenica giungono elementi
che danno luogo ai vari ambienti, strizzando l’occhio alla pittura della “secessione
austriaca” (Klimt e soci) dell’epoca in cui il lavoro venne scritto e
composto. L’allestimento richiede una grande recitazione e due protagonisti che
siano giovani e di bello aspetto (il tenore deve essere quasi wagneriano).
Altrove tratto la parte musicale. In breve tre ore e mezzo
(intervalli compresi) salutati da venti minuti di ovazioni. Il segno
–speriamo – sia l’inizio del rilancio del Teatro dell’Opera della capitale.
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