Jesi, fischiato
il “«Don Giovanni” di Vick Un “libertino” fuori dal registro di Mozart
GIUSEPPE
PENNISI Al calar del sipario è partita, da loggione e palchi, un’ondata di
«booh» e fischi nei confronti del regista Graham Vick. Dopo qualche minuto,
però sono partiti applausi, quasi ovazioni, per l’orchestra “I Pomeriggi
Musicali di Milano”, il giovane maestro concertatore José Luís Gómez Ríos e i
cantanti, molti appena usciti dalla formazione all’AsLiCo. Una scelta chiara e
netta, nella placida Jesi. Da parte di un abitualmente tranquillo pubblico
borghese. Tutto questo alla prima, il 4 ottobre, di un’edizione del mozartiano
Don Giovanni che sino al 13 dicembre si vedrà in sette teatri italiani
(circuito lombardo, circuito marchigiano, Reggio Emilia, Bolzano) e in
primavera a Parma e in un paio di teatri francesi.
La coproduzione
tra una decina di teatri, al fine di fare sinergie e ammortizzare i costi,
merita di essere valutata positivamente: due cast si alternano per una
quarantina di repliche e con un’orchestra di pregio. Ciò ha anche permesso di
ingaggiare uno dei registi più noti e più acclamati del momento (con otto Premi
Abbiati, nonché insignito con la maggiore onorificenza britannica, Cbe ossia
Commander of the British Empire).
La parte
musicale dell’edizione non è priva di pregio. Si utilizza la “versione di
Praga” (la prima delle due predisposte da Mozart) che termina con il coro di
condanna al “dissoluto” finito all’inferno. L’organico quindi è scarno e ha
effetti stereofonici nell’ultima parte. Bravo il maestro concertatore nel
tenere un equilibrio tra buca e palcoscenico e nell’alternare sonorità giocose
e drammatiche. Tra i giovani cantanti, il gruppo maschile (da segnalare il Don
Ottavio di Giovanni Sebastiano Sala) supera quello femminile, ma sono tutti di
buon livello.
I guai sono con
la regia di Vick e le lugubri scene e i costumi di Stuart Nunn. In primo luogo
l’allestimento è vecchio: alla fine degli Anni Ottanta, Peter Sellars ha
portato in vari teatri un Don Giovanni trasgressivo, e per un decennio,
a Stoccolma, Stein Winge ha presentato un Don dove in un ristorante high
tech erano tutti in preda a raptus sessuali. In secondo luogo, non tiene conto
del libretto: nella sua ultima giornata, il “libertino” è solo di fronte alla morte,
cerca di esorcizzarla tentando di sedurre donne ma non gliene va bene una. In
terzo luogo, la regia ha poco a che fare con la parabola sul castigo che
Mozart, ammesso da poco a un circolo cattolico illuminista, dà al lavoro. In
quarto luogo, il clima di miseria con orge, drogati, malviventi e di violenza
alle donne (di cui Mozart avrebbe esaltato la saggezza nella successiva
Nozze di Figaro) mal si addice a una partitura in cui domina il “re”,
alternando minore e maggiore per sottolineare la differenza tra il mondo del
Don e del Commendatore da quello degli altri. Provaci ancora, Graham.
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Bocciato il
regista al debutto, applausi per l’orchestra e il giovane maestro Gómez Ríos
Coproduzione fra una decina di teatri, girerà Italia e Francia
Il “Don
Giovanni” di Vick
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