La manovra di
Renzi e Padoan è dorotea. Parla l’economista Pennisi
17 - 10 - 2014Edoardo Petti
Giuseppe Pennisi, in una conversazione con
Formiche.net, contesta l’assenza di privatizzazioni e sfoltimento delle
partecipate, i tagli alle regioni, la mancanza di investimenti pubblici. E sul
metodo...
Mentre infuria la battaglia tra governo e regioni sui tagli dei
trasferimenti previsti nella Legge di stabilità, aumentano le riserve degli analisti che
non la ritengono in grado di promuovere la scossa salutare per il tessuto
economico-sociale.
È il caso di Giuseppe Pennisi, a lungo dirigente generale dei ministeri
del Bilancio e del Lavoro oltre che docente di Economia alla Johns Hopkins
University, alla Scuola superiore della Pubblica amministrazione e
all’Università Europea di Roma.
Come valuta la manovra finanziaria dell’esecutivo?
Vorrei partire con una notizia clamorosa data ieri dal
Tgcom 24 e che ho potuto verificare e riscontrare. Palazzo Chigi non ha mandato
alla Commissione europea tutta la documentazione necessaria per esaminare con
attenzione il provvedimento. Ha trasmesso soltanto una nota preliminare di 15
tabelle scritte in lingua inglese. Un autentico esempio di dilettantismo,
rispetto al quale il responsabile dell’Economia avrebbe dovuto dare le
dimissioni. Il nostro paese rischia di offrire un’impressione di sciatteria
completa. E l’UE farebbe benissimo a porci sotto procedura di infrazione.
Cosa pensa dei contenuti della Legge di stabilità?
Parlerei di provvedimento “doroteo”.
Ma non in senso dispregiativo, poiché le manovre finanziarie messe a punto
negli anni Settanta dai rappresentanti della corrente moderata della Democrazia
cristiana tennero in piedi l’Italia colpita dalla crisi energetica,
dall’inflazione, dal terrorismo. È semplicemente una misura concepita per far
contenti tutti.
Quali sono i punti positivi?
Le iniziative espansive come il taglio della
componente lavoro dell’IRAP e gli sgravi fiscali triennali per i neo-assunti.
Non credo invece agli effetti benefici del trasferimento del TFR in busta paga. E critico l’aumento miope
dei tributi sui fondi pensione.
Per quale ragione?
È un grave danno per le future generazioni, che per
l’avvento del metodo previdenziale contributivo avranno bisogno di una riserva
finanziaria al momento del ritiro dal lavoro. Così come sono miopi i tagli alla
sanità regionale, che verranno compensati dall’inasprimento di aliquote e tasse
locali.
Il primo spreco da tagliare è un premier che toglie
credibilità al nostro paese. Un Presidente del Consiglio che ha preferito
stabilizzare il personale precario delle scuole – un “esercito” di 1,5 milioni
di persone – anziché indire i regolari concorsi già programmati e ridurre il
rapporto medio tra insegnanti e studenti. Tra i più generosi al mondo.
Cosa manca di rilevante nella manovra di bilancio?
Non vi è un cenno al tema privatizzazioni. A partire
dalla Rai, “madre di tutte le privatizzazioni” essenziali contro le
distorsioni dell’assetto informativo. Mancano poi i riferimenti alla messa sul
mercato di quote del Tesoro in Eni ed Enel. E vi è un assoluto silenzio sulla
vendita e lo sfoltimento delle 8mila aziende partecipate.
La riduzione di 18 miliardi di tasse può favorire la
crescita economica?
Si tratta di interventi espansivi che danno ossigeno
alle imprese. E che potrebbero permettere di agganciare un’eventuale ripresa
dell’Euro-zona. Ma non penso che da sole esse favoriranno uno sviluppo annuo
dell’1,5 per cento. Al limite potranno impedire il proseguimento della
stagnazione.
Come si può rompere per sempre la spirale recessiva?
Non certo attraverso i prelievi patrimoniali indiretti
sulla casa e i risparmi. L’unica iniziativa percorribile è ottenere un
allungamento delle scadenze per il rispetto dei termini del Fiscal Compact. Ma il requisito è realizzare robuste
privatizzazioni. Sempre che qualcuno venga a investire in un’Italia priva di
certezze del diritto.
L’intervento del governo sull’IRAP ha una natura
“berlusconiana?”
Napoleone III era chiamato “Napoleone le petit”.
Ecco, Renzi è un Berlusconi formato petit.
La convincono le coperture alla Legge di stabilità?
Le reputo evanescenti. Se la manovra venisse approvata
dal Parlamento nella versione originaria, l’indebitamento complessivo delle
pubbliche amministrazioni toccherebbe il 5 per cento. Le entrate previste,
comprese le risorse provenienti dalla lotta all’evasione fiscale, sono
sovrastimate. Quelle sulle uscite sono sottostimate. Penso alle rivendicazioni
di trattamenti previdenziali fondati sull’anzianità di servizio, che verranno
sollevate dal personale precario della scuola una volta stabilizzato.
Con il rinvio del pareggio di bilancio Renzi ha
inferto un colpo all’austerità europea?
A livello comunitario molto dipende da fattori esterni
rispetto all’Italia. Un elemento è fuori discussione. Fino a quando non
risolveremo lo storico problema del debito pubblico – nazionale e di comparti
come le municipalizzate – non riusciremo a promuovere una politica espansiva.
Il governo non ha messo in campo una manovra keynesiana?
Gli attuali responsabili politici non sanno neanche
cosa voglia dire la parola. Quella presentata dall’esecutivo è una manovra
leggermente espansionistica. Ma manca l’investimento pubblico, come rilevato
dal Corriere della Sera. Anche perché non vi sono progetti
meritevoli di tali risorse, nonostante dal 1999 vi sia un fondo ad hoc. Che
infatti è stato utilizzato al 25 per cento.
A questo punto cosa è meglio fare?
Giungere a un accordo con tutte le forze politiche su
una riforma elettorale che non escluda e penalizzi nessuno. Poi si vada
rapidamente alle urne, sperando che ne scaturisca un governo di migliore
qualità.
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