martedì 7 ottobre 2014

Il Jobs act e “Giacomo” Meyerbeer in Formiche 7 ottobre



Il Jobs act e “Giacomo” Meyerbeer
07 - 10 - 2014Giuseppe Pennisi Il Jobs act e "Giacomo" Meyerbeer
Cosa c’entra il ‘Jobs Act’ con ‘Giacomo’ Meyerbeer (benché tedesco e ‘re’ del palcoscenico francese adottò il nome italiano tanto amava il Paese dove aveva vissuto nove anni, cruciali per la sua esperienza di vita e formazione musicale)?
La sera prima dei ‘brevi incontri’ (o piuttosto ‘brevi interludi’, per mutuare il titolo del film che rese Rossano Brazzi, nel 1957, celebre nel mondo intero), all’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, si è svolto un concerto ‘straordinario’ sotto tre punti di vista:
a) non era compreso nei programmi iniziali dell’Accademia;
b) era stato fortemente voluto da Antonio Pappato;
c) aveva come protagonista una dei rari ‘soprani assoluti’ sulla scena, Diana Damrau;
d) era dedicato a ‘Giacomo’ Meyerbeer nei 150 anni della sua morte.
In Italia, solamente La Fenice (con l’opera inaugurale della stagione 2013-2014, L’Africaine, si è ricordata della ricorrenza. Era presente il ‘tout Rome’ e, quindi, prima dello spettacolo e nell’intervallo si parlava della situazione dell’orchestra licenziata dal Teatro dell’Opera di Roma Capitale e della ‘miniconcertazione’ programmata per il successivo 7 ottobre (in cui si celebra la Beata Vergine del Rosario- speriamo che illumini un po’ tutti).
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Auditorium Parco della Musica
''Meyerbeer e il suo tempo''
Orchestra e Coro dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia,
Auditorium Parco della Musica
Diana Damrau
''Meyerbeer e il suo tempo''
Diana Damrau
Diana Damrau
Antonio Pappano direttore, Diana Damrau soprano, Ciro Visco maestro del coro.
Antonio Pappano direttore, Diana Damrau soprano, Ciro Visco maestro del coro.
Auditorium Parco della Musica
''Meyerbeer e il suo tempo''
Orchestra e Coro dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia,
Auditorium Parco della Musica
Diana Damrau
''Meyerbeer e il suo tempo''
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Foto ©Musacchio & Ianniello
La photo gallery, curata dalla ditta Musacchio & Iannello, da un’idea del concerto, affollato, tra l’altro, da giovani. Altrove, tratterò gli aspetti musicali.
‘Giacomo Meyerbeer’ è considerato, con le sue sei principali opere, il maestro del grand opéra. La durata e la complessità scenica fa sì che esse vengano raramente messe in scena ove non, come avvenne anni fa a Les Huguenots, al FestIVa di Valle d’Itria dove l’opera venne orrendamente mutilata e peggio cantata. In effetti, La Fenice, pur scorciando qualche parte del lavoro, ha fatto un grande sforzo produttivo per metterlo in scena. Il programma di sala ricorda come uno degli elementi di successo di Meyerbeer deve attribuirsi a come i suoi lavori rispecchiassero i lavori dell’epoca.
Molto più esplicito un lavoro (ormai fuori catalogo) del compianto Claudio Casini: ciascun opera viene analizzata nel contesto politico. Così L’Africaine diventa manifesto contro la schiavitù, Les Huguenots Robert Le Diable un invito alla pace tra denominazioni religiose (anche tra la sua nativa Germania ed adottiva Francia), Le Prophète un appello ad una visione laica della esistenza e della politica.
Non so quanti in sala fossero consapevoli di questo aspetto di Meyerbeer, molto evidente nell’aria ‘O beau pays de la Tourraine’ e nella ouverture del wagneriano Das Liebervorbot (due brani del concerto. Tuttavia, la musica stessa ispirava a ‘ciacolare’ su temi politici correnti.
Che impressione ne ho tratto? Pochissima informazione, specialmente tra alcuni critici musicali presenti in sala, sia sui contenuti del Jobs Act (ma non è loro mestiere) né sull’attuale situazione finanziaria del Teatro dell’Opera di Roma Capitale, né sulle prassi internazionali (e questo dovrebbe essere parte del loro strumentario) sia infine sulle opportunità che la decisione del CdA del Teatro apre.
Sarebbe stato più semplice mettere la fondazione in liquidazione e portare i libri in tribunale. Scorporando due rami d’azienda ben delineati si dà a tali rami una finestra di opportunità – ossia organizzarsi autonomamente (come le maggiori orchestre americane, canadesi, austriache, tedesche, francesi e via discorrendo) e competere per contratti non solo con il Teatro dell’Opera di Roma Capitale ed altri.
Lo ha detto chiaramente anche il Sovrintendente dell’Opera di Vienna: un teatro con 220 recite (a Roma si arriva a 70) necessita di un’orchestra ‘stabile’ ma non impiegata a tempo indeterminato – in effetti l’orchestra che suona alla Staatsoper della capitale austriaca e anche sotto contratto con il Festival di Salisburgo e con il Musikverein. C’era chi parlava dell’art.18 dello Statuto dei Lavoratori di brodoliniana memoria, ignorando che si applica solo ai licenziamenti individuali e non a soggetti economici sull’orlo del fallimento.
Myerbeer non avrebbe fatto tali errori: sapeva che il suo pubblico era ben informato.

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