Dagli Usa una
cattiva novella monetaria per l’Europa (e l’Italia)
24 - 10 - 2014Giuseppe Pennisi
Con tassi Usa in incremento, si potrebbe pensare a un
flusso di capitali europei verso l’altra sponda dell’Atlantico che potrebbe
neutralizzare le "misure non convenzionali" congetturate a
Francoforte. Ecco tutti i primi, pessimi, segnali dagli Stati Uniti per
l'Europa e per Draghi...
Per la Banca centrale europea (Bce), e per il Tesoro
italiano, sembrano “Godot”: da settimane ci si attende un aumento dei tassi
d’interesse Usa (il tasso base di riferimento è rimasto ancorato allo 0,250%,
quindi è praticamente negativo), con implicazioni sui mercati monetari europei.
Ma nulla pare muoversi.
Purtroppo pochi giornalisti economici e finanziari
italiani hanno esperienza di vita negli Stati Uniti. E credono a quanto si
legge nei manuali, ossia che i tassi dipendano solamente o principalmente dalle
decisioni del Federal Open Market Commitee (FOMC), la cui prossima sessione è
il 28-29 ottobre. Quindi, occhi puntati alla prossima settimana.
Gli Stati Uniti, però, sono una confederazione. In
pratica, gli Stati dell’Unione non aspettano le paludate riunioni del FOMC nel
palazzone in stile tardo-fascista di Constitution Avenue nella sezione North
West di Washington D.C.
Un indicatore eloquente è come si muovono i “tetti
normativi” posti, con legislazioni dei singoli Stati dell’Unione, al tasso
d’interesse che le banche possono porre ai prestiti personali a clienti “a
rischio” a ragione di basso reddito, lavoro precario e mancanza di garanzie
reali. Negli ultimi mesi, otto Stati dell’Unione hanno aumentato “i tetti”,
spesso al termine di un lungo confronto con altre istituzioni degli Stati
Uniti. Ad esempio, nello Stato della Carolina del Nord le autorità statuali
hanno avuto un lungo confronto con quelle militari federali poiché i soldati
semplici hanno spesso difficoltà ad ottenere prestiti personali che non siano
al “tetto”. Altri Stati che hanno aumentato i “tetti”, oppure in certi casi li
hanno proprio tolti, includono il Kentucky, l’Arizona, il Missouri, l’Indiana,
il Maine e la Florida. In alcuni di questi casi, per non scontrarsi con le
leggi “anti-usura”, il “tetto” è stato appena ritoccato ma sono stati
notevolmente aumentati gli “oneri amministrativi”: ad esempio, in Missouri gli
“oneri amministrativi” sono stati portati al 10% di ogni singola operazione
sino a un massimo di 75 dollari.
Occorre interpretare con le pinze questo fenomeno. Da
un lato, superata la crisi, molte banche o filiali di grandi istituzioni finanziarie
sono tornate a pescare nel mercato del subprime: la più nota, e la
più grande, è One Main Financial, una succursale di Citigroup specializzata in
questo campo. Il 60% delle operazioni di One Main sono essenzialmente rinnovi,
in effetti “Insolvenze mascherate” che, con prestiti a breve, in certi casi
portano (tenendo conto anche degli “oneri amministrativi” ad un costo (per il
debitore) del 36% l’anno. Da un altro, sono sintomi eloquenti di un vero e
proprio aumento dei tassi negli Stati Uniti, a cui il 28-29 ottobre il FOMC
dovrà dare una risposta.
Ciò comporta interrogativi seri anche per la Bce: con
tassi Usa in incremento, si potrebbe pensare a un flusso di capitali europei
verso l’altra sponda dell’Atlantico che potrebbe neutralizzare le “misure non
convenzionali” congetturate a Francoforte.
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