La manovra
anti-tasse (e anti-Ue) che può aiutare l'Italia
Pubblicazione: lunedì 6 ottobre 2014
Pier Carlo Padoan (Infophoto)
Approfondisci
NEWS Impresa e Artigiani
La Nota di aggiornamento del Documento di economia e
finanza 2014, approvata dal Consiglio dei ministri del 30 settembre, è un
documento complesso di 135 pagine, presentato in modo pregevole e
differenziando graficamente le misure “in itinere” da quelle che rappresentano
un “focus” per le decisioni di politica economica. Il documento va esaminato
sotto tre punti di vista: a) l’analisi della situazione; b) le politiche
proposte; c) il quadro che si prospetta per l’eurozona, soprattutto dopo il
Consiglio direttivo della Bce tenuto a Napoli il 2 ottobre.
L’analisi della situazione attuale corrisponde a
quella delle principali organizzazioni internazionali (Commissione europea,
Fondo monetario internazionale, Ocse), dei 20 principali istituti
internazionali privati di previsioni macro-economiche e dei maggiori istituti
di ricerca italiani (Cer, Irs, Prometeia) operanti in questo campo. Siamo al
sesto anno di una recessione contrassegnata da leggere indicazioni di ripresa
spesso seguite da nuove contrazioni di produzione, valore aggiunto e consumi.
Ciò caratterizza l’intera eurozona, anche se in Italia ha aspetti più severi
della media dell’area dell’euro a ragione della fragilità di un tessuto
imprenditoriale costituto in gran misura da piccole e medie imprese con elevato
tasso di autofinanziamento e difficile accesso al credito.
La Nota non si sottolinea adeguatamente, a mio
avviso, come la situazione dell’eurozona, in particolare quella dell’Italia,
dipenda in larga misura dalla politica economica e monetaria americana. Un
fenomeno analogo si è verificato alla fine degli anni Novanta, ai tempi di
quella che è stata chiamata “la crisi asiatica”. Da allora, i paesi asiatici si
sono, almeno in parte, svincolati dalla politica economica americana applicando
politiche di cambio flessibili. All’interno dell’eurozona ciò non è né
fattibile, né concepibile.
Tuttavia, in generale l’eurozona potrà leggermente
avvantaggiarsi dal leggero riallineamento del cambio tra euro e dollaro. Ciò
avrà, però, effetti asimmetrici tra i vari paesi dell’area dell’euro a ragione
delle differenze in composizione merceologica e direzioni del commercio.
L’Italia, in breve, avrà vantaggio modesti a ragione di un orientamento
dell’intercambio fortemente orientato sugli altri Paesi dell’eurozona.
La dipendenza dalla politica economica e monetaria
americana evidenzia, comunque, un elemento di incertezza sulle scelte di
politica economica europea, e in particolare italiana, di cui la Nota avrebbe
avuto tenere maggiore conto delineando una risposta flessibile all’andamento
del quadro internazionale (in specie al non inverosimile aumento, nei prossimi
mesi, dei tassi d’interesse a medio e lungo termine negli Stati Uniti) e
all’accentuarsi della riduzione dei prezzi nel resto dell’eurozona, e all’associato
timore di una deflazione che aggravi ulteriormente la situazione dell’economia
reale.
La Nota, poi, non esplicita come l’aggravio
complessivo della pressione tributaria-contributiva negli ultimi tre anni sia
stato uno degli elementi che ha smorzato i bagliori di ripresa e aggravato le
ricadute in una recessione che minaccia di diventare deflazione. In breve, la
Nota è molto benevolente, forse troppo, con le politiche degli ultimi anni.
Soprattutto la parte propositiva, poiché non delinea né una strategia
differente da quella degli ultimi tre anni, né una tattica che tenga conto
degli elementi di incertezza provenienti dal resto del mondo (specialmente
dagli Stati Uniti) sino al 30 settembre e negli ultimi giorni anche
dall’interno dell’eurozona (con la decisione della Francia di non considerarsi
vincolata al limite del 3% del Pil per l’indebitamento delle pubbliche
amministrazioni e con la virtuale paralisi all’interno del Consiglio della
Bce).
Non solo, le principali misure per la crescita
sembrano essere un’estensione a una più vasta platea del “voucher” o “bonus” di
80 euro in busta paga da aumentare, per il settore privato, con un’ipoteco
versamento di parte del Tfr al fine di favorire una crescita dei consumi.
Sinora, le analisi anche econometriche rilevano che il “bonus” non ha avuto
alcun effetto apprezzabile. L’operazione, peraltro non precisata, relativa al
Tfr avrebbe implicazioni disastrose soprattutto per le piccole e medie imprese,
nonché sulla previdenza integrativa, e i suoi ipotetici impatti sulla domanda
aggregata sono quanto meno dubbi. Anche le speranze di rilanciare gli
investimenti per infrastrutture con capitale privato sono in gran misura
illusorie data la carenza di progetti pronti, come prova la scarsa
utilizzazione del fondo per la progettazione creato nel lontano 1999.
Una strategia alternativa può essere caratterizzata da
questi elementi:
1- una riduzione della pressione fiscale sul lavoro
(Iperf) e sull’impresa (Irap) di circa 40 miliardi da attuarsi già nel 2015;
2- un taglio della spesa iniziando dai 20 miliardi
individuati da Cottarelli e la sua équipe (che includeva la Ragioneria generale
dello Stato) nella recente operazione di “revisione della spesa”;
3- un rilancio, nei limiti del fattibile,
dell’investimento secondo le linee del documento di Chatham HouseBuilding
Growth in Europe Innovative Financing for Infrastructure datato
settembre 2014, dato che esiste notevole liquidità, specialmente presso le
famiglie, alla ricerca di investimenti di lungo periodo. Sono i progetti pronti
a far difetto, ma l’Italia ha capacità tecniche che, se mobilizzate, possono
contribuire efficacemente alla bisogna.
Una strategia di questa natura porterebbe a superare,
almeno temporaneamente, il vincolo relativo all’indebitamento delle pubbliche
amministrazioni rispetto al Pil, ma avrebbe il vantaggio di riattivare la
crescita, facendone diventare l’investimento il suo motore, e di avere un buon
grado di flessibilità per rispondere a evoluzioni della politica economica e
della situazione americana.
© Riproduzione Riservata.
Nessun commento:
Posta un commento