Sette teatri per un Don Giovanni
Giuseppe Pennisi
Sembrava una
grande idea, ma ha raccolto più che altro fischi. Sette teatri di tradizione
(circuito lombardo e marchigiano, Bolzano, Reggio Emilia) mettono in scena fino
al 13 dicembre Don Giovanni con un regista di rango, Graham Vick, un'orchestra
dall'organico analogo a quelli di cui disponeva Mozart alla prima assoluta a
Praga, ossia poco più di un ensemble cameristico, e un cast di giovani. Il giovane José-Luis Gomez-Rios alla guida del
complesso I Pomeriggi Musicali di Milano si è destreggiato bene nella difficile
partitura in cui re maggiore e minore vengono alternati a seconda del gruppo di
personaggi e nell'equilibrio tra buca e palcoscenico. Buone le giovani voci e
adatte a teatri di piccole dimensioni. Ma gli otto Premi Abbiati e il titolo di
Commander of British Empire non hanno risparmiato a Vick fischi dal normalmente
pacioso pubblico di Jesi. Con lo scenografo Stuart Nunn ha ambientato la
vicenda in una squallida periferia dove tutti sono assetati di sesso e di
violenza, specialmente nei confronti delle donne. Una lettura da anni 80 del
Novecento. Nulla a che vedere con il morality play sulla solitudine di un
dissoluto, il quale disperatamente solo di fronte alla morte, nell'ultima
giornata della sua avventura terrena tenta un rapporto con tre donne, senza
peraltro riuscirci. (riproduzione riservata)
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