giovedì 9 ottobre 2014

Pappano, Damrau e Meyerbeer: una lezione dall'Accademia Santa Cecilia in Il Sussidiaerio 10 ottobre



OPERA/ Pappano, Damrau e Meyerbeer: una lezione dall'Accademia Santa Cecilia
Pubblicazione: venerdì 10 ottobre 2014
Diana Damrau Diana Damrau
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Circa una settimana fa, l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, con la Fondazione La Scala, se non avessero ottenuto l’autonomia di programmazione triennale dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, sarebbe bastato il concerto fuori programma del 6 settembre a dimostrare che l’Accademia porta bene i suoi oltre 500 anni e la sua orchestra sinfonica eccellentemente i suoi 110.
Il concerto rappresenta  che io sappia la seconda occasione in Italia di ricordare i 150 anni dalla scomparsa di ‘Giacomo’ Meyerbeer (benché tedesco e re del palcoscenico francese adottò il nome italiano tanto amava il Paese dove aveva vissuto nove anni, cruciali per la sua esperienza di vita e formazione musicale). L’altra è stata la messa in scena de L’Africaine , da parte de La Fenice (il più efficiente e sensibile teatro lirico della Penisola), all’inizio della stagione 2013-2014.
E’ stato un concerto fortemente voluto e difficile da organizzare a ragione dei molteplici impegni di Diana Damrau, uno dei pochi ‘soprani assoluti’ al mondo. Nonostante fosse fuori abbonamento, la sala straboccava di spettatori, i quali certamente non conoscono le opere di Meyerbeer. Almeno le sei maggiori, di difficile esecuzione a ragione di durata, effetti scenici speciali e vocalità richieste. Oltre a L’Africaine realizzata a Venezia, si ricorda un’edizione pasteggiata de Les Huguenots a Martina Franca nel 2002: Renato Palumbo in buca alla guida di una non precisata e mai riascoltata Orchestra Internazionaled’Italia, Warren Mock, Annalisa Raspigliosi,  Desirée Rancatore, Sara Allegretta, Soon-Won Kang Marce e Marin Bronikowski sul palco avevano fatto del loro meglio ma la scombinata regia di Arnaud Bernard avrebbe reso impossibile qualsiasi tentativo. In precedenza, aveva osato Gianandrea Gavazzeni alla Scala ma con un’edizione fortemente tagliata.
Il concerto del 6 ottobre si è basato su un’idea semplice: dedicare a Meyerbeer brani di suoi lavori affidati alla perizia e vocalità di Diana Damrau, affiancandoli con brani orchestrali tratti o da opere del compositore (‘La marcia indiana’ de L’Africaine, l’ouverture di Dinorah) oppure dell’epoca e soprattutto dello spirito di Meyerbeer (l’ouverture de Semiramide di Rossini, di Benvenuto Cellini di Berlioz e di Das Liebesverbot di Wagner). Rievocare, in breve, con una grande orchestra concertata da Antonio Pappano, un coro ed un’eccezionale ‘soprano assoluto’ un’epoca, quella in cui il teatro in musica non era solo l’ambiente delle meraviglie (per gli effetti speciali che comportava il grand opéra) ma lo specchio delle politica. Pochi musicologi italiani hanno seguito l’indicazione del compianto Claudio Casini sul contenuto politico dell’opera francese dell’Ottocento, e delle sei opere di Meyerbeer in particolare.

Il successo è stato enorme. Devo ammettere di avere un debole per Diana Damrau: ci incontrammo una mattina del luglio 2007 a leggere i giornali e bere caffè al medium zentrum di Salisburgo (la sala stampa) dove lei interpretava Susanna in un favoloso ‘Le Nozze di Figaro’. Cominciammo a chiacchierare. Mi colpì la sua semplicità (era già artista famosa) e la sua curiosità; per una settimana ogni mattina ci trovammo a prendere il caffè ed a commentare i fatti (anche politici) del giorno.
Per ricordare Meyerbeer non si poteva scegliere una coppia migliore di Damrau e Pappano con i complessi dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia.


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