OPERA/ Un
nuovo Parsifal nella Bologna "wagneriana"
Pubblicazione: mercoledì 15 gennaio 2014
Foto di Rocco Casalucci
NEWS Musica
Il Parsifal in scena al Teatro Comunale di
Bologna sino al 25 gennaio è spettacolo di particolare rilievo per numerose
ragione. Dalla seconda metà dell’Ottocento, Bologna è considerata la città
italiana ‘wagneriana’ per eccellenza perché fu la prima a mettere in scena un
lavoro di Wagner (Lohengrin il primo novembre 1871; Verdi era in un
palco, Boito in poltrona). Bologna fu pure la prima città italiana dove nel
gennaio 1914 venne rappresentata la ‘sacra rappresentazione scenica’
(così la chiamo Richard Wagner),appena scaduto il divieto posto dall’autore di
produrre il lavoro in teatri differenti da quello da lui ideato per il Festival
di Bayreuth. Anche se da diversi anni, la sezione italiana
dell’associazione wagneriana mondiale ha sede a Venezia, presso la Fondazione
Levi, il Teatro Comunale mette in scena quasi ogni anno un’opera di
Wagner. Il ritorno di Parsifal nella città felsinea era molto
atteso sia perché , dopo la ‘prima italiana’ del 1914, la ‘sacra
rappresentazione scenica’ è stata ripesa unicamente nel 1931, nel 1963 e nel
1978 sia perché l’edizione del 1978 ebbe un successo tale che venne
replicata ‘fuori abbonamento’ nel 1980 sia perché il Teatro Comunale ha portato
per l’inaugurazione della stagione 2014 una produzione che ha avuto un grande
successo ma anche fatto molto discutere quando ha debuttato, nel 2011, al
Théâtre Royal de la Monnaie a Bruxelles.
Ho avuto la fortuna di assistere una ventina di volte
ad esecuzioni dal vivo della ‘sacra rappresentazione scenica’, ultima
opera di Wagner e sua testamento alla ‘musica dell’avvenire). Di esse cinque
sono state in versioni da concerto (che spesso ben si presentano ad un lavoro
che presenta enormi difficoltà drammaturgiche e complesse
‘disposizioni’dell’autore per la messa in scena) e le altre in allestimenti
teatrali in Europa e negli Stati Uniti.
Questa edizione si basa su una scelta di fondo: dato
che nel 1882, la ‘sacra rappresentazione scenica’ rappresentò
l’avanguardia musicale più estrema, ci si è affidata a Romeo Castellucci che
per vent’anni, con la Societas Raffaello Sanzio ha rappresentato l’avanguardia
drammaturgica più innovativa in Italia e Francia, mietendo successi in vari
Paesi. Inoltre, nelle rappresentazioni bolognesi, si è in gran misura mantenuto
il cast di Bruxelles, ma si è affidata la concertazione e direzione d’orchestra
per il debutto di Roberto Abbado nei misteri della complessa partitura.
All’allestimento scenico, alla regia, agli effetti
speciali, ho dedicato un’analisi dettagliata sul quotidiano telematico Artribune.
Quindi, questa recensione riguarda esclusivamente gli aspetti musicali. Anche
solo sotto questo profilo, si è alle prese con un Parsifal differente
dalla tradizione.
In primo luogo, la concertazione di Abbado. Parsifal
è un’opera in cui raramente i direttori d’orchestra rispettano i tempi
nonostante Engelberg Humperdinck, assistente di Wagner all’epoca del primo
allestimento, abbia tenuto un diario puntuale delle prove. I direttori
d’orchestra tendono a dilatare i tempi anche al fine di dare un’atmosfera più
‘sacrale’ al lavoro. Se ne ha la prova già nel primo atto, sotto gli occhi
vigili di Wagner, la matita di Humperdinck cronometrò a un’ora e 45 minuti il
tempo richiesto a Hermann Levy (direttore d’orchestra della prima edizione
assoluta) per dirigere come voluto dal compositore. Abbado mantiene
rigorosamente questo cronogramma. E’ una rarità. Nelle versioni dal vivo che ho
ascoltato, lo hanno fatto solo von Matacic, Kuhn, Ferro e Sinopoli. Se tengo
conto di quelle ascoltate in CD o DvD è una caratteristica principalmente di
Solti. Mentre Boulez porta il primo atto ad un’ora e 35 minuti, gli atri
tendono a dilatare: dalle circa due ore di Karajan, Levine e Gatti alle due e
venti minuti di Toscanini.
La concertazione richiede non solo un equilibrio tra
buca e palcoscenico, facilitato a Bayreuth dal fatto che il golfo mistico è
incassato sotto la scena, sia effetti stereofonici, resi possibili a Bayreuth,
da ‘praticabili’ in palcoscenico e nei palchi. Tali effetti sono
particolarmente importanti nella sequenza (ultima parte del primo atto) della
Consacrazione e dell’Eucarestia. Abbado risolve il nodo con un sipario bianco
che copre l’azione (sempre delicata da rappresentare in teatro) e dislocando il
coro in parte nei palchi di proscenio e nella galleria.
La concertazione è molto ‘italiana’, come quelle di
Ferro e Kuhn: il suo è più morbido e tenero del solito. Altri aspetti musicali
sono molti italiani e ricordano l’allestimento Pizzi-Ferro proposto alla Fenice
nel febbraio 1993 (in occasione del centenario della morte di Wagner). Il
protagonista non è un ‘tenore eroico’ dal timbro brunito ma un ‘tenore lirico’
con un volume generoso, l’americano Andrew Richards, con una vocalità simile a
quella di Peter Hoffman (a Venezia) e di René Kollo (in varie esecuzioni). La
deuteragostica femminile non è un soprano drammatico ma un contralto che può
raggiungere un registro elevato (la svedese Anna Larsson) così come nel Parsifal veneziano
del 1993 quando il ruolo è stato affidato all’americana Gail Gilmore Ottime la
altre voci specialmente Gábor Bretz nel faticosissimo ruolo di Gurnemantz .
Detlef Roth è Amfortas, Lucio Gallo Klingsor. Li ricordo negli stessi ruoli
all’Accamedia di Santa Cecilia diretti da Daniele Gatti. Occorre elogiare i
cori , da quello del Teatro Comunale diretto da Andrea Faidutti, a quello di
voci bianche della scuola Alessandra Galante Garrone diretto da Alhambra
Superchi.
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