giovedì 9 gennaio 2014

«All’Opera di Roma un buco da 10 milioni» in Avvenire 10 gennaio



«All’Opera di Roma un buco da 10 milioni»


GIUSEPPE PENNISI

ROMA
A
dieci giorni dal suo insediamento, il nuovo Sovrintendente del Teatro dell’Opera di Ro­ma, Carlo Fuortes, ha fatto un’'operazione verità' sulla situazione finanziaria dell’ente. «Il pre-consuntivo 2013 – ha detto ieri in un incon­tro con la stampa – mostra un disavanzo di 10 mi­lioni di euro su un budget di circa 50 milioni di eu­ro ». Le determinanti, spiega, sono un aumento dei costi del 10% (rispetto al preventivo) e una contra­zione dei ricavi di 4,2 milioni di euro. «Negli ultimi tre anni la situazione è gradualmente peggiorata, con un tracollo della biglietteria». Le tabelle fornite mostrano altri aspetti inquietanti: forte indebita­mento con il fisco e con gli istituti previdenziali, for­nitori che attendono di essere pagati, numero dei dirigenti dimezzato (da 4 a 2) ma con un costo più che raddoppiato, una pianta organica (ora decadu­ta) molto più ampia di teatri le cui recite sono quat­tro volte quelle dell’Opera di Roma.

Fuortes è stato chiaro: «Ce la faremo, ma senza ricorso alla Legge Bray e una profonda riorganizzazione, non ci sarebbe stata altra strada che la liquidazione» (an­che a ragione della forte contrazione della dotazio­ne di capitale della fondazione). È determinato e fi­ducioso di ristrutturare, con la collaborazione dei sindacati, il Teatro, «di tornare al pareggio di eserci­zio entro un anno e di ammortizzare il debito in un arco di tempo ragionevole». È possibile però che ci saranno riduzioni di organico e di compensi.

Ben nove fondazioni liriche (su 13) fanno ricorso al­la Legge Bray per ottenere la liquidità e gli ammor­tizzatori sociali necessari a riorganizzarsi. Per com­prendere la situazione occorre fare un passo indie­tro. Nel 2008, il Governo trovò una situazione in­quietante: le fondazioni avevano accumulato un de­bito di 300 milioni di euro (ora è quasi a 400 milio­ni). Con un provvedimento d’emergenza venne au­mentato il contributo dello Stato e furono risanate alcune situazioni facendo ricorso anche ai fondi de­stinati inizialmente al Mezzogiorno. Una legge del 2010 diede una nuova cornice al comparto. Il rego­lamento (rimasto in bozza ancorché approvato dal Consiglio dei Ministri) rappresenta, in effetti, il pri­mo testo unico in molti anni e avrebbe portato la le­gislazione italiana in linea con quella degli Stati eu­ropei. Avrebbe posto un vincolo al finanziamento dello Stato: per essere tale una Fondazione avrebbe dovuto coprire metà del proprio bilancio con entra­te autonome (biglietteria, sponsorizzazioni) e con­tributi da Enti locali (Regioni, Province, Comuni), nonché l’apporto di soci privati. Gli Enti locali pro­testarono di essere già troppo oberati. Ma il punto debole era (ed è) non prevedere incentivi per la de­trazioni o deduzioni dei contributi privati dall’im­ponibile: nel resto d’Europa le detrazioni tributarie si aggirano sul 30% dell’elargizione filantropica (ed in Francia le deduzioni arrivano al 66%) mentre in I­talia si è sul 19%. Nella primavera 2013 il nuovo Governo ha dovuto se­guito una strada differente, sull’onda della crisi di solvibilità soprattutto di Firenze, Genova e Cagliari, e ha approvato un sistema di prestiti a tasso agevo­lato per le fondazioni in difficoltà. I fondi verranno distribuiti in relazione alle attività svolte e rendi­contate. Il Mibac, però, non si è mai dato un’effetti­va struttura di valutazione; quella che aveva creato in base ad una legge del 1999 valida per tutte le am­ministrazioni l’ha smantellata nel 2005.

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Lirica

Il nuovo Sovrintendente Fuortes ha esposto lo stato del teatro: «Rispetto al preventivo costi aumentati e incassi in calo. Senza Legge Bray, la liquidazione»

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