«All’Opera di Roma un buco da 10
milioni»
GIUSEPPE PENNISI
ROMA
Adieci giorni dal suo insediamento, il nuovo Sovrintendente del Teatro dell’Opera di Roma, Carlo Fuortes, ha fatto un’'operazione verità' sulla situazione finanziaria dell’ente. «Il pre-consuntivo 2013 – ha detto ieri in un incontro con la stampa – mostra un disavanzo di 10 milioni di euro su un budget di circa 50 milioni di euro ». Le determinanti, spiega, sono un aumento dei costi del 10% (rispetto al preventivo) e una contrazione dei ricavi di 4,2 milioni di euro. «Negli ultimi tre anni la situazione è gradualmente peggiorata, con un tracollo della biglietteria». Le tabelle fornite mostrano altri aspetti inquietanti: forte indebitamento con il fisco e con gli istituti previdenziali, fornitori che attendono di essere pagati, numero dei dirigenti dimezzato (da 4 a 2) ma con un costo più che raddoppiato, una pianta organica (ora decaduta) molto più ampia di teatri le cui recite sono quattro volte quelle dell’Opera di Roma.
Fuortes è stato chiaro: «Ce la faremo, ma senza ricorso alla Legge Bray e una profonda riorganizzazione, non ci sarebbe stata altra strada che la liquidazione» (anche a ragione della forte contrazione della dotazione di capitale della fondazione). È determinato e fiducioso di ristrutturare, con la collaborazione dei sindacati, il Teatro, «di tornare al pareggio di esercizio entro un anno e di ammortizzare il debito in un arco di tempo ragionevole». È possibile però che ci saranno riduzioni di organico e di compensi.
Ben nove fondazioni liriche (su 13) fanno ricorso alla Legge Bray per ottenere la liquidità e gli ammortizzatori sociali necessari a riorganizzarsi. Per comprendere la situazione occorre fare un passo indietro. Nel 2008, il Governo trovò una situazione inquietante: le fondazioni avevano accumulato un debito di 300 milioni di euro (ora è quasi a 400 milioni). Con un provvedimento d’emergenza venne aumentato il contributo dello Stato e furono risanate alcune situazioni facendo ricorso anche ai fondi destinati inizialmente al Mezzogiorno. Una legge del 2010 diede una nuova cornice al comparto. Il regolamento (rimasto in bozza ancorché approvato dal Consiglio dei Ministri) rappresenta, in effetti, il primo testo unico in molti anni e avrebbe portato la legislazione italiana in linea con quella degli Stati europei. Avrebbe posto un vincolo al finanziamento dello Stato: per essere tale una Fondazione avrebbe dovuto coprire metà del proprio bilancio con entrate autonome (biglietteria, sponsorizzazioni) e contributi da Enti locali (Regioni, Province, Comuni), nonché l’apporto di soci privati. Gli Enti locali protestarono di essere già troppo oberati. Ma il punto debole era (ed è) non prevedere incentivi per la detrazioni o deduzioni dei contributi privati dall’imponibile: nel resto d’Europa le detrazioni tributarie si aggirano sul 30% dell’elargizione filantropica (ed in Francia le deduzioni arrivano al 66%) mentre in Italia si è sul 19%. Nella primavera 2013 il nuovo Governo ha dovuto seguito una strada differente, sull’onda della crisi di solvibilità soprattutto di Firenze, Genova e Cagliari, e ha approvato un sistema di prestiti a tasso agevolato per le fondazioni in difficoltà. I fondi verranno distribuiti in relazione alle attività svolte e rendicontate. Il Mibac, però, non si è mai dato un’effettiva struttura di valutazione; quella che aveva creato in base ad una legge del 1999 valida per tutte le amministrazioni l’ha smantellata nel 2005.
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Lirica
Il nuovo Sovrintendente Fuortes ha esposto lo stato del teatro: «Rispetto al preventivo costi aumentati e incassi in calo. Senza Legge Bray, la liquidazione»
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