venerdì 3 gennaio 2014

Senza crescita gli effetti di un differenziale basso saranno vanificati in Avvenire 4 gennaio



Senza crescita gli effetti di un differenziale basso saranno vanificati


GIUSEPPE PENNISI
I
l 2014 inizia con un dato incoraggiante: il tasso dei Btp va sotto il 4%, con lo spread (differenziale) sui Bund ai nuovi minimi dal 2011. A questo elemento se ne ag­giungono altri: la Borsa esulta (ma non è chiaro sino a quando) trascinata dall’operazione Fiat-Chrysler. L’indu­stria (specialmente le piccole e medie imprese) intravedo­no la fine del tunnel e la finanza pubblica sembra (per o­ra) in sicurezza.

Il contesto macroeconomico internazionale, tuttavia, è me­no favorevole di quel che sembra: nel numero in edicola il 4 dicembre, l’editoriale del prestigioso settimanale «The E­conomist » avvertiva: «L’ottimismo potrebbe portare con sé una cattiva notizia, perché rischia di fare aumentare i tas­si d’interesse e ridurre l’appetito dei politici per le riforme». Il commento si riferiva all’insieme dei Paesi ad alto reddi­to . Tornando all’Italia, i 20 maggiori istituti econometrici stimano una crescita reale dello 0,4%, superiore, in Euro­pa, solo a Grecia, Slovenia e Ci­pro (tre Paesi in recessione) e inferiore, a livello mondiale, al­la crescita stimata per Bermu­da e per quella Repubblica Centrafricana tuttora in guer­ra guerreggiata. Il rischio è che sia un «0,4%» così labile da pas­sare, al più piccolo fruscio, nuo­vamente al segno «meno». Nel­l’ipotesi migliore, gli italiani dovrebbero aspettare sino al 2024 per tornare ai redditi pro­capite del 2007. Non solo. Negli ultimi 12 mesi i prezzi al consumo sono au­mentati appena dell’1,3% e solo dello 0,1% in dicembre . È presto per dire se i saldi di questa stagione ravviveranno la domanda. Per ora, le previsioni sono di un aumento com­plessivo dei prezzi al consumo dello 0,3% nel 2014. Man­cherebbe quella leggera inflazione (durante il negoziato per il trattato di Maastricht la si stimava al 2% l’anno) che fa da lubrificante a un sistema economico.

Rischio di una nuova recessione? In termini tecnici si ha u­na recessione quando il Pil si contrae per due semestri con­secutivi. Oscar Wilde diceva che le previsioni sono difficili se concernono il futuro. Nonostante questa ironica nota di cautela, una nuova recessione non sembra dietro l’angolo. Ma siamo alle prese con un fenomeno forse più grave per­ché più pervasivo. Lo analizzano due economisti siciliani, Sebastiano Bavetta (Università di Palermo) e Pietro Na­varra (Università di Messina) nel saggio appena uscito dal titolo «Il Vantaggio delle Libertà»: gli italiani hanno perso fiducia in se stessi e negli altri, e questa è una spiegazione del tracollo della produttività. A livello teorico, un saggio re­cente di Jean-Philippe Maty dell’Università dell’Illinois teo­rizza in «Melancholy Politics» – l’economia e la politica e­conomica della melanconia – che, senza fare scivolare in lunghe e profonde recessioni, il mondo tiene il motore a li­vello basso.


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Si potrebbe dire che, ove ci fosse un adeguato equilibrio so­ciale, a un Paese ad alto reddito può non fare male un po’ di malinconia dopo avere gozzovigliato per anni. L’Italia, però, ha gozzovigliato con le risorse delle generazioni futu­re, accumulando un debito pubblico che nel 2014 rischia di sfiorare il 140% del Pil. Si è impegnata, con il Fiscal Com­pact, a portarlo al 60% del Pil in meno di vent’anni. Senza crescita e senza inflazione, ciò vuol dire un crescente am­montare di beni e servizi reali a cui rinunciare per onorare il patto. Perché se il valore nominale del debito diminuisce, quello «reale» rimane lo stesso ed è più difficile ripagarlo. Rinunce sia private e di mercato (abbigliamento, cinema, cene in pizzeria) sia pubbliche e non di mercato (servizio sa­nitario, nettezza urbana). Nei periodi storici in cui ciò è av­venuto, le conseguenze politiche non sono mai state buone.


Con prezzi e stipendi in calo è sempre più difficile pagare gli i

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