Poste, Eni
ed Enav, ecco la nuova ondata di privatizzazioni. Fatti e analisi
24 - 01 -
2014Giuseppe Pennisi
La cronaca dopo il decreto del governo di oggi su
Poste, l'analisi delle politiche in fieri e le rievocazioni storiche
dell'economista Giuseppe Pennisi
Inizia oggi quella che potremo forse chiamare la
‘nuova ondata italiana delle privatizzazioni”. Lasciamo ad altri di commentare
gli aspetti specifici delle misure immediate relative a Poste Italiane e
Enav per dare un’occhiata a ritroso sul processo di privatizzazioni in
Italia, utilizzando, in gran misura, i rapporti annuali che da quasi tre lustri
produce l’Associazione Società Libera. Non sono certo mancate altre
analisi, italiane e straniere; ad esempio, la Fondazione Eni Enrico
Mattei ha condotto periodicamente studi di qualità in materia e, prima
delle elezioni del 2008, l’Istituto Bruno Leoni ha pubblicato
un Manuale delle Riforme per la XVI Legislatura (che faceva perno
su privatizzazioni e liberalizzazioni. I rapporti di Società
Libera hanno il grande vantaggio della continuità e della omogeneità
di approccio.
LE DUE FASI DEGLI ANNI NOVANTA
Ci sono state due fasi che hanno marcato il processo
di privatizzazioni negli Anni Novanta: quella dal 1992 al 1995 di approntamento
degli strumenti e quella dal 1996 al 2001 di realizzazione della riduzione del
peso delle imprese a controllo e partecipazione statale nell’economia.
All’inizio di questo secolo, ossia nel 2000, che a dieci anni circa
dall’avvio del programma molto restava ancora da cedere, in termini sia di
partecipazioni di controllo, sia di quote minoritarie. Lo Stato – stimava Società
Libera - “potrebbe ottenere circa 108.000 miliardi dalla vendita delle
quote ancora detenute in società solo in parte cedute, ed un ricavo nettamente
più elevato dalla cessione delle partecipazioni di maggioranza in altre
aziende, quali le imprese operanti nei settori della cantieristica navale,
navigazione e difesa, le Ferrovie, le Poste, e la Rai”.
IL CEDIMENTO DEI MERCATI AZIONARI
Naturalmente, queste stime presupponevano che si fosse
superata la fase di cedimento dei mercati azionari su scala mondiale,
allora in corso a ragione dell’implosione della bolla della “net economy”.
Nell’ipotesi in cui fosse stata portata a compimento la cessione delle attività produttive commerciabili, lo Stato avrebbe potuto chiudere l’era delle partecipazioni statali con un guadagno molto consistente, anche se calcolato al netto dell’indebitamento dalle stesse indotto. Inoltre, avrebbe potuto disporre di mezzi per abbassare il debito pubblico in essere per un importo stimabile attorno al 10%, senza contare i proventi di un’eventuale vendita delle aziende per i servizi pubblici locali. Ma perché ciò si realizzi – si sottolineava – sarebbe stata necessaria, a parte un miglioramento delle condizioni di mercato, una forte determinazione a dismettere la proprietà e a reinterpretare il ruolo dello Stato nell’economia. Per riprendere un verso cruciale tra i 12.000 di cui si compone il Faust di Wolfgang Goethe Es irtt der Mensch/solang’ er strebt – l’uomo può sbagliare nell’”impegno totale”, ma per raggiungere obiettivi concreti è essenziale tale impegno-. Utile sottolineare che streben è un verbo per cui non esiste un equivalente italiano: vuole dire darsi da fare con una tenacia che rasenta la cocciutaggine.
Nell’ipotesi in cui fosse stata portata a compimento la cessione delle attività produttive commerciabili, lo Stato avrebbe potuto chiudere l’era delle partecipazioni statali con un guadagno molto consistente, anche se calcolato al netto dell’indebitamento dalle stesse indotto. Inoltre, avrebbe potuto disporre di mezzi per abbassare il debito pubblico in essere per un importo stimabile attorno al 10%, senza contare i proventi di un’eventuale vendita delle aziende per i servizi pubblici locali. Ma perché ciò si realizzi – si sottolineava – sarebbe stata necessaria, a parte un miglioramento delle condizioni di mercato, una forte determinazione a dismettere la proprietà e a reinterpretare il ruolo dello Stato nell’economia. Per riprendere un verso cruciale tra i 12.000 di cui si compone il Faust di Wolfgang Goethe Es irtt der Mensch/solang’ er strebt – l’uomo può sbagliare nell’”impegno totale”, ma per raggiungere obiettivi concreti è essenziale tale impegno-. Utile sottolineare che streben è un verbo per cui non esiste un equivalente italiano: vuole dire darsi da fare con una tenacia che rasenta la cocciutaggine.
I PROGRAMMI DEL GOVERNO
Allora il Governo in carica sembrava intenzionato ad
andare avanti in queste direzioni: il Dpef 2001-2003 prevedeva, infatti,
di realizzare introiti nel corso del quinquennio che stava per iniziare, un
programma graduale giustificato alla luce degli obiettivi che si è posto di
“rafforzare gli assetti produttivi nazionali” e di realizzare guadagni di
efficienza nelle società da porre in vendita. “Un programma di gradualità nelle
vendite va, pertanto, bilanciato – avvertiva Società Libera – con un maggiore
impegno nel superare le manchevolezze del contesto economico ed istituzionale
emerse nel processo di privatizzazione”. Prima fra esse era la sperequazione
esistente in termini di assetto concorrenziale nei settori in cui le imprese
pubbliche continuavano a godere di un rilevante potere di mercato. Maggiori
benefici per l’economia sarebbero potuti derivare da una politica attiva volta
a favorire l’ingresso di nuovi concorrenti sul mercato e a livellare le
posizioni concorrenziali.
Altre carenze andavano sanate su tre fronti:
contendibilità della proprietà delle società, trasparenza dell’informazione
disponibile per i mercati e protezione degli azionisti di minoranza. Una
revisione dei vincoli all’OPA e dei limiti di possesso azionario,
un’integrazione delle regole di controllo societario al fine di ottenere
completezza, tempestività e trasparenza nell’informazione diretta ai mercati, e
un potenziamento dei poteri d’intervento della Consob, inclusi alcuni poteri di
sanzione, apparivano passi necessari per elevare l’efficienza allocativa dei
mercati. In questa azione sarebbe auspicabile che si perseguisse l’allineamento
delle regole interne alle best practices in vigore tra i paesi
dell’euro; ancor più desiderabile sarebbe un approccio diretto a stabilire a
livello di area dell’euro un unico modello generale dicorporate governance per
le società. Verso le imprese ancora da privatizzare si richiedeva, invece,
un’azione più intensa volta a responsabilizzare il management nel perseguimento
dell’efficienza, benché sia difficile attendersi salti di produttività, data la
debolezza dei meccanismi di responsabilizzazione del management, quando sono in
mano politica. Nel settore bancario, il problema di una maggiore efficienza
nell’allocazione delle risorse si intrecciava tra l’altro con il nodo del ruolo
ancora preponderante delle fondazioni.
Allora non si avvertivano quelle barriere ideologiche,
sociali e strutturali che negli anni Novanta hanno reso arduo e a tratti
impervio il cammino verso le privatizzazioni. Ma stava anche venendo meno
la forte spinta esterna ad andare avanti. Rimaneva una pressione indiretta,
meno evidente, che derivava dall’inarrestabile processo di apertura dei nostri
mercati, e che non necessariamente nel breve periodo spingeva a ricercare
maggiore efficienza e competitività a livello sia di impresa sia di sistema.
LE DUE FASI DELLE PRIVATIZZAZIONI
I tredici anni appena conclusi possono essere divisi
in due fasi. Nella prima, il Governo ed il resto società hanno cercato di
intraprendere l’erta via delle privatizzazioni. Si è portata a conclusione la
liquidazione dell’IRI, si è definito il nuovo regolamento delle fondazioni
bancarie e soprattutto si è fatto ricorso a tecniche innovative per predisporre
la cessione a privati, anche in campi come la vendita di immobili di proprietà
pubblica ed ad utilizzare lo strumento dei fondi pensione (allora in via di
costituzione e regolamentazione) pure al fine di favorire le
denazionalizzazioni. La strada sembrava, ed era, tutta in salita ma era
promettente anche in quanto il Dpef 2003-2006 indicava quattro precise
direzioni di marcia: a) vendita entro 18 mesi dell’insieme delle partecipazioni
ritenute non strategiche; b) cessione di una quota delle partecipazioni più
importanti che non intacchi il controllo sulle imprese; c) ristrutturazione
delle aziende ancora in mano pubblica per prepararle alla vendita nel medio
periodo; d) interventi per promuovere e tutelare la concorrenza, specialmente
nel settore dei servizi di pubblica utilità. Ci sarebbe voluta tenacia e
coraggio ( e cocciutaggine nei confronti di interessi particolaristici
costituiti) per portare avanti un programma di tale sorta. Ma, come si è detto,
il verbo streben non ha equivalenti in italiano.
Già analizzando le privatizzazioni nella XIV
Legislatura, si sottolineava come gli obiettivi dichiarati fossero tutt’altri
che chiari, come anche al solo scopo di “fare cassa” per ridurre il fardello
del debito pubblico si sarebbero potute utilizzare tecniche più efficienti e
più efficaci, come poco si fosse fatto in materia di liberalizzazioni,
specialmente dei servizi pubblici locali e come metodo, procedure e tecniche
per la privatizzazione dell’Alitalia (allora in fase preliminare) sollevassero
numerose perplessità.
Il 2007 sarebbe dovuto essere l’anno (ove non del
completamento) quanto meno di un considerevole progresso nel processo di
privatizzazione iniziato negli Anni Novanta. E’ stato, invece l’anno delle
privatizzazioni mancate a ragione della crisi economica
internazionale che, cominciata negli Stati Uniti, ha comportato un ritorno alla
grande dell’intervento pubblico, in una prima fase, nel settore bancario e,
successivamente, nel resto dell’economia. Non sono mancati spiragli ed
opportunità nelle strategie di uscita dalla crisi economica , nonché
suggerimenti e proposte su come tornare a privatizzare.
UNA TENDENZA DECRESCENTE
Tuttavia, le Relazioni annuali sulle privatizzazioni
al Parlamento del Ministero dell’Economia e delle Finanze, MEF; mostrano una
tendenza marcatamente decrescente: la più recente, purtroppo, copre il
periodo 2007-2010 riguarda principalmente vendite di diritti di opzione
nell’ambito di operazioni di aumento di capitale (Finmeccanica, Enel, Seat),
scambi di azioni tra Ministero e Cassa Depositi e Prestiti, e cessioni
da parte del Gruppo Fintecna per un totale di poco meno di un miliardo
di euro nei quattro anni presi in considerazione – appena 12 milioni circa nel
2010 (senza contare la cessione del 30% di Enel Green Power non trattata nella
Relazione in quanto non riguarda una privatizzazione in senso stretto).
Nel 2011, nel nostro Paese le privatizzazioni sono
state insignificanti: non si sono trovati acquirenti per la Tirrenia e
l’apertura al mercato del settore dei servizi pubblici locali è stata bloccato
da un referendum che ha lasciato il comparto in un guazzabuglio normativo. Nel
2012 è stata tentata, ma non realizzata, la privatizzazione dell’Ente
Ufficiali in Congedo. Nel 2013 non ci sono stati neppure tentativi.
LA NUOVA ONDATA
E’ un fenomeno che corrisponde al tassello italiano di
una tendenza mondiale? E’ in corso, secondo il “Privatization Barometer
Report ”, una nuova grande ondata di privatizzazioni. Dopo salvataggi
nel settore finanziario (e non solo), gli Stati ricominciano a fare marcia
indietro, timorosi, a ragione, che la loro estensione tentacolare freni lo
sviluppo ed aumenti le diseguaglianze invece di diminuirle. Nel corso del 2010,
a livello globale i governi hanno incassato circa 160 miliardi di euro. Si
tratta di uno dei valori più alti mai registrati nella storia, secondi solo ai
184 miliardi di euro incassati nel 2009, un valore allora comunque drogato dal
riacquisto delle azioni da parte delle banche americane che da solo valeva 118
miliardi di euro. Nel mondo intero, il 2010 è comunque l’anno che
sembrava di record: la cessione del 15% di Petrobras, che ha
fruttato al governo brasiliano 52,4 miliardi di euro, è la più grande offerta
pubblica di tutti i tempi, così come l’offerta pubblica iniziale di Agricultural
Bank of China per 16,5 miliardi di euro. Il collocamento da 15 miliardi di
euro di General Motors, che ritorna sul mercato dopo la
nazionalizzazione del 2008, è la più grande IPO mai realizzata sulle borse
americane.
LA CLASSIFICA MONDIALE DELLE PRIVATIZZAZIONI
Se guardiamo gli aggregati, in vetta alla classifica
ci sono gli Stati Uniti, con quasi 36 miliardi di privatizzazioni, ma davanti a
tutti ci sono i BRICs (Brasile, Russia, India, Cina), con 80 miliardi,
la metà del totale . I paesi dell’UE hanno realizzato operazioni per 33,1
miliardi di euro, pari al 20,6% del totale. La Francia dei “campioni nazionali”
è il paese europeo che ha privatizzato di più; nel corso del 2010, con circa
10,5 miliardi di euro di cessioni, seguita dalla Polonia e dal Regno Unito.
L’unica operazione significativa su cui può contare
l’Italia è la citata cessione del 30% di Enel Green Power che con un
controvalore di 2,6 miliardi di euro . Nel 2012, mentre in Italia il Governo
Monti le provava tutte per privatizzare l’Ente Ufficiali in congedo. nel resto
del mondo sono state realizzate denazionalizzazioni per circa 250 miliardi;
oltre dieci volte, in termini nominali, di quanto realizzato nel 1998,
considerato nei testi universitari “l’anno d’oro” della prima ondata.
IL RITORNO DELLE PRIVATIZZAZIONI E LE ECONOMIE
EMERGENTI
E’ utile mettere in relazione il ritorno delle
privatizzazioni nel mondo con le tendenze profonde delle economie emergenti. I
governi dei Paesi emergenti approfittano delle buone condizioni di mercato e
della forte crescita delle loro economie per valorizzare attraverso le
privatizzazioni le loro imprese pubbliche, aprendole ulteriormente al capitale
privato nazionale e internazionale, rendendole più solide finanziariamente e
quindi più competitive. Le privatizzazioni dei paesi avanzati sono invece
legate alla debolezza della congiuntura e alle conseguenti condizioni critiche
della finanza pubblica. A fronte del rischio di insolvenza degli stati sovrani,
i governi occidentali rilanciano quindi le privatizzazioni, unica politica che
consente di realizzare il necessario deleveraging (riduzione
dell’indebitamento) senza incidere sulla spesa pubblica e sul welfare, fondamentale
per la tenuta sociale in tempi di crisi.
“Un programma coerente di privatizzazioni –
scrive Privatization Barometer Report - riduce
progressivamente l’ambito di discrezionalità della politica sulle imprese,
aumenta la credibilità della politica economica e quindi da ultimo migliora
il rating di mercato dello Stato ,con ricadute positive
sugli spreads.” Non a caso, l’UE ha preteso dal Governo greco un
ambizioso piano di privatizzazioni per dare via libera alla nuova tranche di
aiuti.
E L’ITALIA…
Come spesso accade, l’Italia è un caso a sé stante.
L’esito del cosiddetto referendum sulla privatizzazione dell’acqua, nonostante
gli ottimi risultati di gestione delle acque da parte di imprese private nella
vicina Francia, ha reso più difficile la riapertura del dossier
paradossalmente proprio nel momento, in cui un piano aggressivo di
privatizzazioni dovrebbe essere in cima alla lista per risolvere , o almeno
alleviare, il nodo dello stock di debito pubblico e rimettere in moto
l’economia italiana. Se non ci muoviamo presto e bene , arriveremo tardi,
quanto meno sotto il profilo finanziario. Non si può pensare che l’attuale
situazione mondiale di liquidità resti a lungo – ci sono già cenni di aumento
dei tassi d’interess
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