Parsifal visionario sotto la lente di Castellucci
di Giuseppe
Pennisi
L'allestimento
di Parsifal in scena a Bologna fino al 25 gennaio proviene da Bruxelles, dove
ha debuttato con notevole successo. Wagner chiamò la sua ultima opera sacra
rappresentazione in musica in quanto tratta di temi filosofici e religiosi. La
produzione si basa su una scommessa: coniugare quella che nel 1882 fu
l'innovazione musicale estrema con un'azione teatrale affidata a Romeo
Castellucci, considerato da 20 anni alle frontiere dell'avanguardia e inoltre
noto come non credente.
Nelle recite bolognesi, Roberto Abbato debutta con la partitura.
Castellucci propone un Parsifal visionario e atemporale: il primo atto in una
foresta primordiale, il secondo in un giardino dei piaceri (e dei supplizi)
all'inizio del Novecento, il terzo in una grande città contemporanea.
L'allestimento è rispettosissimo del messaggio di fondo: la necessità di
acquisire piena consapevolezza del peccato, per potere avere la pietas per
perdonare e redimersi. Nel finale, l'intera umanità è in cammino verso la
redenzione. Sotto il profilo musicale, questo Parsifal è molto italiano, grazie
non solo alla precisione di Abbado nei tempi e nelle sonorità che ottiene
dall'orchestra, ma di avere scelto come protagonista un tenore lirico, Andrew
Richards (invece di uno eroico), e come deutoragostica un contralto, Anna
Larsson (invece di un soprano drammatico). Richards ha un timbro chiaro e un
volume generoso e accenti belcantistici. Tra gli altri spiccano Gábor Bretz,
Detlef Roth, Lucio Gallo e soprattutto i cori situati, in certi momenti, oltre
che nel palcoscenico in alcuni palchi e in galleria per avvolgere il pubblico
con effetti stereofonici. (riproduzione riservata)
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