mercoledì 8 gennaio 2014

La ripresa dei «Pigs» è lenta e ancora piena di ostacoli Aumenta il divario nella Ue in Avvenire 9 gennaio



La ripresa dei «Pigs» è lenta e ancora piena di ostacoli Aumenta il divario nella Ue


GIUSEPPE PENNISI
N
ell’Europa meridionale, quel poco di ripresa che si in­travede mostra un percorso lento, irto e tutto in salita. Non lo dicono le consuete proiezioni a 18-24 mesi del grup­po dei venti istituti economici econometrici detto del consensus (perché le loro stime vengono spesso utilizzate come raffronto da banche centrali e dicasteri dell’economia e delle finanze). Lo af­fermano studi a più lungo termine della Banca centrale e del Fon­do monetario (oppure di istituti d’emissione di Paesi del Nord Europa e parte dell’area dell’euro) i cui governi non hanno mo­strato eccessiva empatia per i «cugini» del Sud. Sono lavori an­cora in uscita od a distribuzione limitata. Se lo staff del presi­dente della Commissione Europea non li ha portati alla sua at­tenzione prima della visita ad Atene, beh, qualcuno ha proba­bilmente peccato di superficialità. Dei tre documenti, il più inquietante è lo studio «Slow Road to Recovery» («Strada lenta per la ripresa») della Banca mondiale. Il lavoro è l frutto di analisi effettuate da 18 economisti in servi­zio presso l’istituto con sede a Washington, senza apporto di con­sulenti esterni. Riguarda l’Europa Meridionale Orientale, dun­que anche Paesi dei Balcani che sono candidati all’Unione eu­ropea ma non alla moneta unica. Le conclusioni – affermano gli autori – hanno rilievo per l’Europa Meridionale Occidenta­le. In primo luogo, nonostante la finanza pubblica sia relativa­mente sotto controllo (con indebitamento delle pubbliche am­ministrazioni al 4,2% del Pil e stock di debito pubblico tra il 45% ed il 65% del Pil , a seconda di ciascun Paese) e i settori della ma­nifattura e dell’energia siano in espansione, il tasso di disoccu­pazione pare non flettere dal 24% delle forze di lavoro. Le pro­spettive sono per un tasso di crescita lento (1.8% l’anno) perché l’area centrale Ue ha cessato da far da traino. Il documento pre­cisa che, però, è altamente probabile una crescita più lenta per­ché la domanda estera sta dando crescenti segnali di fragilità.

A fini operativi (ossia di definizione di politica economica), è ancora più significativo uno studio del Fondo monetario – tra gli autori Emanuele Baldacci, ora alto dirigente dell’Istat. Il la­voro è stato presentato in un seminario interno del Ministero dell’Economia e delle Finanze. Esamina 107 Paesi e 79 «epi­sodi » di riassetto della finanza pubblica. Il messaggio: I pro­grammi funzionano se graduali e con un’attenta miscela di ri­duzioni di spesa e ritocchi tributari. Altrimenti possono fare più male che bene.

Lo conferma un recente documento della Banca nazionale del­le Finlandia, Paese poco tenero con i «meridionali» dell’euro. Il premier vuole rinegoziare il Trattato di Maastricht perché nel­l’area dell’euro sta aumentando la divergenza tra Paesi che cre­scono e Paesi che si contraggono. La moneta unica – dice il tito­lo – sta unendo o dividendo quel che resta dell’Ue?


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