La ripresa
dei «Pigs» è lenta e ancora piena di ostacoli Aumenta il divario nella Ue
GIUSEPPE PENNISI
Nell’Europa meridionale, quel poco di ripresa che si intravede mostra un percorso lento, irto e tutto in salita. Non lo dicono le consuete proiezioni a 18-24 mesi del gruppo dei venti istituti economici econometrici detto del consensus (perché le loro stime vengono spesso utilizzate come raffronto da banche centrali e dicasteri dell’economia e delle finanze). Lo affermano studi a più lungo termine della Banca centrale e del Fondo monetario (oppure di istituti d’emissione di Paesi del Nord Europa e parte dell’area dell’euro) i cui governi non hanno mostrato eccessiva empatia per i «cugini» del Sud. Sono lavori ancora in uscita od a distribuzione limitata. Se lo staff del presidente della Commissione Europea non li ha portati alla sua attenzione prima della visita ad Atene, beh, qualcuno ha probabilmente peccato di superficialità. Dei tre documenti, il più inquietante è lo studio «Slow Road to Recovery» («Strada lenta per la ripresa») della Banca mondiale. Il lavoro è l frutto di analisi effettuate da 18 economisti in servizio presso l’istituto con sede a Washington, senza apporto di consulenti esterni. Riguarda l’Europa Meridionale Orientale, dunque anche Paesi dei Balcani che sono candidati all’Unione europea ma non alla moneta unica. Le conclusioni – affermano gli autori – hanno rilievo per l’Europa Meridionale Occidentale. In primo luogo, nonostante la finanza pubblica sia relativamente sotto controllo (con indebitamento delle pubbliche amministrazioni al 4,2% del Pil e stock di debito pubblico tra il 45% ed il 65% del Pil , a seconda di ciascun Paese) e i settori della manifattura e dell’energia siano in espansione, il tasso di disoccupazione pare non flettere dal 24% delle forze di lavoro. Le prospettive sono per un tasso di crescita lento (1.8% l’anno) perché l’area centrale Ue ha cessato da far da traino. Il documento precisa che, però, è altamente probabile una crescita più lenta perché la domanda estera sta dando crescenti segnali di fragilità.
A fini operativi (ossia di definizione di politica economica), è ancora più significativo uno studio del Fondo monetario – tra gli autori Emanuele Baldacci, ora alto dirigente dell’Istat. Il lavoro è stato presentato in un seminario interno del Ministero dell’Economia e delle Finanze. Esamina 107 Paesi e 79 «episodi » di riassetto della finanza pubblica. Il messaggio: I programmi funzionano se graduali e con un’attenta miscela di riduzioni di spesa e ritocchi tributari. Altrimenti possono fare più male che bene.
Lo conferma un recente documento della Banca nazionale delle Finlandia, Paese poco tenero con i «meridionali» dell’euro. Il premier vuole rinegoziare il Trattato di Maastricht perché nell’area dell’euro sta aumentando la divergenza tra Paesi che crescono e Paesi che si contraggono. La moneta unica – dice il titolo – sta unendo o dividendo quel che resta dell’Ue?
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