TASSE/ Il
taglio da 20 miliardi già pronto per Letta
Pubblicazione: lunedì 16 settembre
2013
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Ciascuno di noi viene ricordato per alcuni tratti caratterizzanti. Molto
probabilmente, il Commissario europeo Olli Rehn resterà negli annali
dell’Unione europea per la banalità delle sue lettere e delle sue
dichiarazioni. Nel 2011, una sua lettera piuttosto banale sulla necessità di
tenere ben salde le redini della spesa pubblica in Italia ha innescato
conseguenze di ogni genere: aumento dello spread, fibrillazioni politiche,
cambiamento di esecutivo e altri eventi che hanno principalmente portato acqua
al mulino del M5S. Venerdì 13 settembre data che in certe parti d’Italia viene
considerata infausta - in quel di Vilnius, in Lituania, Rehn ha pontificato per
dire che se non c’è stabilità politica gli obiettivi di aggiustamento di
bilancio rischiano di non essere raggiunti. Frase banale, perché tutti ne sono
consapevoli: la maggiore forza del Governo Letta risiede proprio nel timore
degli effetti (prevedibili) dell’instabilità politica sui conti pubblici.
L’ultimo Bollettino della Banca centrale europea e le più recenti
previsioni Ocse (nonché le anticipazioni di quelle del Fondo monetario
internazionale) affermano che, solo per un soffio, l’indebitamento netto delle
pubbliche amministrazioni resterà al di sotto del 3% del Pil (parametro che ha
ormai viene considerato un dogma). Da economista, sono preoccupato non tanto di
un eventuale piccolo “sforamento”, ma del pericolo che le misure per evitarlo
smorzino i timidi e fragili cenni di uscita da una recessione che ha fatto
perdere il 10% del Pil e minaccia a un’intera generazione la disoccupazione
permanente, interrotta da periodi di precariato.
Questo è ciò che dovrebbe angosciare il Signor Rehn, non le banalità
pronunciate con il suo sempre gioviale faccione sorridente. In effetti, se per
restare ora con un disavanzo inferiore al 3% del Pil e raggiungere tra uno o
due anni il pareggio di bilancio si va verso nuovi inasprimenti tributari, c’è
un’alta probabilità di andare sempre più a fondo.
Una spending review mal concepita aggrava tale prospettiva. Si parla
di un’operazione straordinaria (come quelle del recente passato) affidate a commissari
straordinari e task force precarie e provvisorie, senza tenere conto che le
esperienze del passato (anche recenti) non promettono nulla di buono. Le
esperienze di successo attuate all’estero hanno attribuito, con grande
chiarezza, la funzione (e la responsabilità) a un corpo dello Stato e hanno
resa la revisione della spesa non un episodio straordinario (e occasionale), ma
un compito permanente.
Ad esempio, la normativa americana in materia è l’unica legge approvata
durante il primo mandato Reagan (ossia più di trent’anni fa) mai modificata da
allora (poiché consegue buoni risultati). Il programma di razionalizzazione
delle scelte di bilancio, attuato come misura straordinaria in Francia nella
seconda metà degli anni Ottanta, è diventato competenza del ministero del
Tesoro d’Oltralpe, che guida e coordina il resto dell’amministrazione. Si può
ipotizzare una task force per l’individuazione rapida della spesa
improduttiva e la sua eliminazione nel contesto dell’ormai imminente legge di
stabilità, ma si deve collocare il disegno in un quadro permanente. La
Ragioneria Generale dello Stato ha tutte le caratteristiche per essere
l’istituzione su cui puntare, anche a ragione del ringiovanimento e migliore
professionalizzazione della sua dirigenza.
Andiamo a cosa potrebbe essere fatto nell’immediato, ossia con il disegno
di legge di stabilità che il Consiglio dei Ministri deve approvare entro il 15
ottobre. Esiste già una traccia per il lavoro dell’eventuale task force. Nella
sua ultima analisi della spesa pubblica, la Corte dei Conti ha stimato la spesa
improduttiva al 4-5% degli 800 miliardi di spese annuali delle pubbliche
amministrazione e ha fornito alcune indicazioni. Mario Monti, nella veste di
Presidente del Consiglio, ha menzionato il 10%, ma non ha indicato stime
specifiche. Da uno studio della Confcommercio si ricava che se la spesa per gli
organi legislativi ed esecutivi (e attività “speciali” come la rete di
ambasciate) fosse parametrizzata sugli standard della Germania (la cui
popolazione è quasi il doppio della nostra) si risparmierebbero 8 miliardi
l’anno, mentre se su quelli della Francia (la cui popolazione è simile alla
nostra), se ne risparmierebbero 16: ecco dove trovare subito le coperture per
Imu e Iva. Per il cuneo fiscale, basta portare il numero di funzionari pubblici
per dirigente alla media tedesca per risparmiare 3 miliardi l’anno; se si
recepiscono, nel disegno di legge di stabilità, gli otto articoli del Rapporto
Giavazzi, si riducono di 10 miliardi l’anno gli incentivi alle imprese (dato
che si da in cambio un fisco più leggero, operando sia sul cuneo che sull’Iva).
Unicamente queste voci comportano per il 2014 risparmi di spesa per circa
20 miliardi. Altri emergono da un esame più dettagliato che gli organi preposti
possono fare in poche ore. Ad esempio, una tantum di 25 milioni si
può trovare modificando in crediti fiscali e matching grants(ossia
il contributo statale si allinea su quello privato) i nuovi sussidi a teatri ed
enti in un dissesto ormai cronico: se i contributi pubblici al Festival di
Salisburgo coprono il 25% del budget, non si vede perché da noi arrivino al
90%, nonostante la produttività sia quasi un terzo della media europea.
Se il Governo Letta intende davvero ridurre la spesa (e il carico
fiscale), il catalogo è questo - si potrebbe dire come
Leporello a Donna Elvira nel mozartiano Don Giovanni. Attenzione;
è un catalogominimo a cui molte altre voci possono (anzi debbono)
essere aggiunte.
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