Come evitare
di essere gli ultimi della classe
04 - 09 - 2013Giuseppe Pennisi
L'Italia e il governo Letta devono attuare un programma di liberalizzazioni
da trasformare in battaglia europea per uscire dalla crisi. Un paio di consigli
per il governo Letta dopo i dati Osce e quelli, molto simili, in arrivo dal
Fondo monetario internazionale...
Quando non era presidente del Consiglio (ma faceva già politica pur se
nelle formazioni giovanili), ai tempi del liceo, per Enrico Letta era un
punto d’onore essere tra i primi della classe. In università, ambiva
(naturalmente) al 30 e lode e ci restava davvero male se prendeva un 27. I dati
Ocse che mostrano il Paese di cui presiede il governo come palla di
piombo dell’eurozona, lo rattristano di sicuro. Lo avvilisce ancora di più, con
tutta probabilità, la bozza delle previsioni di Fondo Monetario (che
verranno rese note tra un paio di settimane a Washington): confermano
essenzialmente i dati Ocse e quelli del ‘consensus’ (i 20 maggiori istituti
econometrici internazionali, tutti privati, nessuno italiano) secondo cui l’Italia
resterebbe anche nel 2014 il “fanalino di coda” dell’eurozona. Quindi il
“CresciItalia” (in gran misura in attesa di decreti e regolamenti attuativi)
non è servito a nulla. Poche speranze che incida il recente decreto del fare
(appena convertito in legge ma per la cui attuazione si prospettano tempi
biblici).
Cosa fare? Una politica neo-keynesiana di aumento della spesa (almeno per
investimenti) è preclusa dal Fiscal Compact. Le privatizzazioni sembrano una
chimera se non si va al livello del “capitalismo municipale”, ma ciò comporta
ostacoli anche costituzionali (e il solo prospettarlo ha suscitato incubi di
ricorsi al TAR, al Consiglio di Stato, da parte di tutta la casta).
L’unica strada è un programma di liberalizzazioni, come delineato
nell’ultimo lavoro di Edmud Phelps (Cfr. Formiche.net del 28 agosto) e rafforzato dalla
recente “Breve Storia della Libertà” di David Schmidts e Jason
Brennan, appena pubblica dalla IBLLibri (per Letta un testo che si
digerisce meglio di quello di Phelps).
Soprattutto potrebbe farne una battaglia “europea” non solo italiana nei
prossimi appuntamenti dell’Eurogruppo e dell’Ecofin, mettendo sul piatto, ad
esempio, che la regolamentazione per dare vita al mercato unico europeo (e
farlo funzionare) ammonta a 150.000 pagine – ancora più carta è stata
necessaria per la moneta unica ed ammennicoli vari; il costo dei regolamenti Ue
su cittadini ed imprese è variamente stimato tra l’1 ed il 3,5% del pil
complessivo dell’Europa a 27; lo documenta Alan Hardacre in un saggio
pubblicato dall’Eipa (l’istituto europeo di formazione per la pubblica
amministrazione, un ente che non inforca certo occhiali malevoli nei confronti
delle istituzioni europee – che lo finanziano). In Germania, soltanto
gli obblighi di fornire informazioni alla burocrazia federale (escludendo
quella dei Länder) tocca 40 miliardi di euro l’anno (in base ad una stima effettuata
su 7.000 dei 10.500 obblighi d’informazione individuati dal Consiglio federale
per il Controllo della regolazione); l’ultimo rapporto annuale del Consiglio in
questione afferma che si tratta di una stima per difetto, ma che il governo
federale si è impegnato a ridurre costi delle regole su cittadini ed imprese
del 25% e che, di riffa o di raffa, lo farà (la determinazione teutonica è
nota, anzi notoria). I tedeschi hanno preso a modello l’Olanda che, secondo il
più recente “International Regulatory Reform Report”, «è diventata un modello
ed un leader internazionale in materia di riforma della regolamentazione».
Anche la Francia (notoriamente statalista ed interventista) ci sta dando
a fondo: dal 2006, afferma un saggio di Frédéric Bouder, si possono avere
in otto giorni tutte le autorizzazioni per fare decollare un’impresa. In
Francia, come in America dall’epoca del primo Governo Reagan (misura che nessun
Presidente o Congresso successivo ha modificato), tra breve tutti i disegni e
le proposte di legge dovranno essere corredati non solo di una relazione
tecnica relativa all’impatto sul bilancio dello Stato (analoga a quanto
dovrebbe essere predisposto in Italia con l’ausilio della Ragioneria Generale
dello Stato) ma anche da un’analisi costi benefici (o costi efficacia)
rigorosa.
In tal modo, eventuali richieste all’UE di carburante per rimettere in moro
la macchina non avrebbero un sapore particolaristico. E potremmo evitare di
essere gli ultimi della classe.
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