“Curlew River”, tra Medio Evo e teatro giapponese
XX e XXI • È andata in scena a Perugia all’interno della Sagra Musica Umbra la prima delle tre parabole da chiesa di Benjamin Britten con la direzione di Jonathan Webb
ALLA SAGRA MUSICALE
UMBRA – il più antico dei festival musicali italiani – non potevano mancare
Britten e Wagner in occasione del centenario della nascita del primo e del
bicentenario di quella del secondo. La Sagra è – come è noto –
dedicata alla spiritualità nelle sue declinazioni musicali e quest’anno ha come
tema la Trasfigurazione, presente sotto diverse forme in numerosi
lavori di Britten e di Wagner. Raramente la Sagra ha messo in
scena opere in musica. Questa edizione in particolare ha avuto (come molte
altre manifestazioni musicali italiane) riduzioni di stanziamenti pubblici.
Wagner è stato presente nel concerto iniziale della Prague Philharmonie diretta
da Jiŕi Bĕlohlávek al Teatro Morlacchi il 15 settembre (dove sono stati
eseguiti estratti della Valchiria e da Il Crepuscolo degli Dei)
e nel concerto del 21 settembre al Teatro Cucinelli di Solomeo dove sono state
eseguite trascrizioni per pianoforte a quattro mani e per due pianoforti da Parsifal
e da Valchiria.
A Britten è stata dedicata, il 22 settembre,
nella chiesa templare di San Bevignate, l’allestimento scenico curato da Marco
Lupi della sua parabola da chiesa Curlew River, fusione della sacra
rappresentazione medioevale con la stilizzazione simbolista del teatro Nō
giapponese, nell’intensità narrativa ed emozionale del dolore di una madre
trasfigurato nella Fede. Curlew River ebbe alla Sagra Musicale Umbra la
sua prima esecuzione italiana nel 1965, curata da Britten in persona e dal suo
English Opera Group, ad appena un anno dalla prima mondiale al Festival di
Aldeburgh. Anche allora, come prescritto dall’autore, la rappresentazione
avvenne in una chiesa, quella di San Filippo Neri.
«Fu a Tokio nel gennaio 1956 – racconta lo stesso
Britten – che vidi per la prima volta uno spettacolo di teatro Nō; ed ebbi,
durante il mio breve soggiorno, tanta fortuna da vedere due diverse
rappresentazioni di uno stesso spettacolo: Sumidagawa, il fiume Sumida
che attraversa Tokio. Nell’insieme, mi fecero una enorme impressione la
linearità e il patetismo della storia, la sobrietà dello stile, il lentissimo
ritmo dell’azione, la straordinaria abilità e la padronanza degli attori, la
bellezza dei costumi, nonché quella fusione tra recitazione, parola, canto e
parte strumentale capace di dar vita a una strana musica. Fu in altre parole
una esperienza “operistica” totalmente nuova. Il ricordo di questo spettacolo
rimase impresso nella mia mente, per gli anni che seguirono… Forse che il
dramma religioso medievale inglese non avrebbe avuto di analoga la messa in
scena, o di analogo il complesso maschile di attori (gli stessi ecclesiastici),
il sobrio e austero allestimento scenico in una chiesa, il ridotto
accompagnamento strumentale e l’esemplarità morale della vicenda? Fu così che
da Sumidagawa ci siamo trasferiti a Curlew River e in una chiesa
nelle Fens (la zona delle paludi del Cambridgeshire e del Lincolnshire), ma
lasciando intatto il racconto e i caratteristici personaggi». La scarna vicenda
mostra un gruppo di fedeli che devono attraversare un ponte sul Fiume del
Chiurlo per giungere al tempio e pregare sulla tomba di un ragazzo
sconosciuto ma oggetto di venerazione. Fra loro c’è una donna impazzita perché
ha perso il figlio, abbandonato ammalato proprio sulla riva di quel fiume. La
donna riacquista la sanità mentale e la pace quando il traghettatore le dice
che rivedrà il fanciullo in Cielo, quando tutti saranno risorti. Come nel
teatro Nō, tutti i ruoli sono affidati a voci maschili.
Delle tre parabole da chiesa scritte da Britten, Curlew
River è quella che ha più fascino per la fusione tra elementi orientali e
medioevali in un lessico musicale modernissimo. È forse anche quella
rappresentata più di frequente in Italia. Il 27 giugno, ad esempio, è stata
proposta a Roma nella Basilica di Santa Maria in Ara Coeli. La sobria e
severa chiesa templare di San Bevignate si presta in modo particolare alla
messa in scena della parabola; gli spettatori erano disposti in tre file sui
lati della navata in modo che tutti potessero vedere l’azione scenica; il
regista Andrea De Rosa (che ha già curato la regia di Curlew River a
a Trento ed altrove, ma sempre in teatri non in chiese) propone una
drammatizzazione molto dinamica: con pochi elementi tra i quali le funi, il
vento della campagna proveniente dall’apertura della porta della chiesa, la
pedana di sabbia crea un’azione realistica e di forte impatto scenico.
Nonostante Britten avesse pensato ad un ensemble cameristico di sette elementi
che non avessero esigenza di un concertatore, è ormai prassi che il complesso
abbia un direttore: Jonathan Webb, ha disposto le percussioni alla destra
dell’abside (guardando dall’ingresso della Chiesa) mentre il flauto, il corno,
la viola, l’arpa, l’organo e Webb alla sinistra. Ciò creava interessanti
effetti stereofonici.
Dei quattro solisti vocali solo il tenore Mark
Milhofer (la donna pazza) era di lingua madre inglese; era anche l’unico
in elegante kimono rosso (tutti gli altri erano in abiti moderni), ma portava
una benda sugli occhi (segno che era diventata cieca dopo la tragedia
personale); la toglie (ma non sappiamo se riacquista la vista) quando, nel
finale, ritrova la speranza. Impeccabile la dizione dei baritoni Raffaele Del
Savio e Mauro Borgioni e del basso-baritono Roberto Abbondanza, nonché del
piccolo coro diretto da Sergio Balestracci. È doveroso dire che
concertatori, ensemble, solisti e coro hanno evidenziato in modo mirabile come
questa composizione che alterna tonalità, modalità e politonalità possa venire
coniugata con temi della tradizione musicale giapponese mettendo in risalto –
in settanta minuti – l’esercizio di stile che la partitura rappresenta dal
punto di vista compositivo, citando al suo interno elementi dal canto
gregoriano sino ad una complessità mahleriana. Un auspicio: che il viaggio
di Curlew River non termini a Perugia.
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