martedì 17 settembre 2013

Frau Merkel e la modernità in L'Indro del 17 settembre



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Frau Merkel e la modernità

Dopo un 'miracolo economico' parallelo, Italia e Germania hanno preso strade diverse

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L’evento cruciale di questa settimana sono le elezioni tedesche. I sondaggi indicano che probabilmente Angela Merkel sarà, per la terza volta, alla guida del Governo del Paese. Potrebbe trattarsi di un Governo soltanto Cristiano Democratico/Cristiano Sociale (come ai tempi di Kohl), oppure di un Governo in cui il Partito del Cancellieri si associ (nell’ultima legislatura) con i liberali (se superano la soglia di sbarramento) oppure di una ‘grande coalizione’ (come quella formata con i socialdemocratici nel 2005). Se si formasse una coalizione di due partiti di sinistra ed i verdi, avrebbero poche probabilità di riuscire a formulare e, soprattutto, ad attuare un programma condiviso e tale da portare avanti il programma d’integrazione europea.
Se fossi tedesco voterei a favore di Frau Merkel. Da europeo non posso che sperare nella sua vittoria (o da sola o in coalizione). È il leader politico che ha le idee più chiare sul ruolo dell’Europa del mondo: ‘l’Unione Europea (UE) ha il 7% della popolazione mondiale, il 25% della produzione di beni e servizi ed il 50% della spesa sociale’. È anche quello che ha il programma più chiaro di correzioni positive dell’unione monetaria; viene dai suoi uffici l’idea di quella ‘unione bancaria’ che è logicamente il contrario di quanto previsto nel Trattato di Maastricht.
Ha continuato ed approfondito la modernizzazione della Repubblica Federale iniziata dal suo predecessore, Gerhard Schröder, con il quale ha un punto in comune importante. Lei, figlia di un pastore protestante in un Land orientale, è donna di scienza, sposata con uno scienziato (con cui vive non alla Cancelleria ma in un appartamento di tre stanze nel quartiere ‘Mitte’ di Berlino- centrale ma non lussuoso). Lui, orfano di guerra, ha lavorato in una fabbrica di ceramica prima di laurearsi in giurisprudenza, diventare avvocato senza mai praticare davvero la professione per entrare in politica. Entrambi hanno una formazione scientifica (nel caso di Schröder un apprendistato scientifico)- come peraltro molti tedeschi a ragione del sistema d’istruzione ‘duale’ che prevede, sin dalle secondarie, lunghi periodi in azienda.
È un aspetto su cui occorre riflettere al fine di comprendere l’impulso che Schröder e Merkel hanno dato alla modernizzazione della Germania, considerata sino alla metà degli Anni Ottanta come il ‘grande malato’ dell’Europa continentale ma in grado di riformare drasticamente la propria economia reale (mercato del lavoro, industria, infrastruttura) e di puntare su tecnologi avanzati per competere sui mercati mondiali, sino ad avere un attivo della bilancia commerciale pari al 7% del Pil, un alto livello dei consumi ed un tasso di disoccupazione del 6,5% della forza lavoro.
Raffrontare questi numeri con quelli italiani è impietoso: un disavanzo strutturale della bilancia commerciale dell’1% ed il dimezzamento delle nostre quote di mercato mondiale negli ultimi dieci anni (nonostante lo slancio dell’export in alcuni settori di nicchia), una contrazione dei consumi del 10% circa dal 2008, un tasso di disoccupazione superiore al 12%.
In questi giorni, esce un saggio a quattro mani di Elio Caldelo (un giornalista specializzato in tematiche scientifiche) e Luciano Pellicani (un sociologico di rango) intitolato suggestivamente: 'Contro la Modernità: le radici della cultura anti-scientifica in Italia'.
Si tratta un libro snello, di 170 pagine, che si legge in un giorno e che spiega perché Germania ed Italia dopo avere avuto ‘miracoli economici’ paralleli , hanno preso strade così divergenti- il Belpaese è rimasto al palo mentre la Repubblica Federale si modernizzava.
Enrico Letta e molti altri uomini e donne impegnati nell’azione di governo dovrebbero studiare (e meditare) prima di approntare 'Decreti del Fare' (quale che sia il loro numero d’ordine).
La prima parte, in particolare, analizza come nell’Ottocento, quando la cultura scientifica si affermava in Europa e Nord America (avendo come corrispettivo il 'positivismo'), in Italia si rispose trasformando (mi si consenta il termine) la teologia in 'idealismo' e dando un forte primato agli studi classici. I 'modernizzatori', sotto il profilo intellettuale, vennero costretti all’emigrazione: Guglielmo Ferrero, Gaetano Salvemini, Giuseppe Peano, Raffaele Petazzoni, Federigo Enriques, Giovanni Vailati, Vito Volterra e via discorrendo. Un fenomeno analogo a quello attuale: le università americane (specialmente quelle tecnologiche) sono piene di ricercatori e docenti italiani ai quali le 'nostrane' hanno sbarrato la porta.
Dopo la seconda guerra mondiale, la situazione è stata aggravata da una linea di pensiero (di origine marxista) secondo cui la razionalità economica e la razionalità scientifica sarebbero state il frutto “della logica irrazionale del capitalismo”. I tempi più recenti “i guru dell’antimodernità hanno messo al centro del progetto politico l’emergenza ecologica e la giustizia sociale”, fraintendendo sia la prima sia la seconda.
Se non si affrontano queste radici anti-moderne si resta nel pantano. Per l’Italia, Il primo passo (ma solo il primo) è dare primato al sapere scientifico.
Ciò non vuol dire che la Germania abbia risolto tutti i propri problemi. L’Ocse la considera come il Paese industriale ed a reddito che, con il Lussemburgo, rischia di avere la crescita di lungo periodo (i prossimi cinquant’anni) più bassa. L’invecchiamento demografico, l’enfasi eccessiva sull’export, la bassa crescita della produttività , la scarsa concorrenza interna nel settore dei servizi, la burocrazia efficiente ma tentacolare, sono nodi che la Repubblica Federale deve affrontare e risolvere per continuare la propria modernizzazione e favorire quella del resto dell’UE. Frau Merkel ha presentato programmi su questi punti. Così ha fatto anche il leader socialdemocratico Peer Steinbrück, che è stato un bravo Ministro delle Finanze ai tempi della ‘grande coalizione’.
Il percorso è, però, difficile a ragione del carattere 'corporativo' della società tedesca (pur se meno pervasivo di quello della società italiana). Parlamenti e Governi da essa espressi riuniscono piccoli gruppi organizzati (si pensi alle associazioni/cooperative dei taxi nella grandi città) che incidono in misura importante sulle scelte pubbliche (come ci ricorda il primo teorema del public choice di James Buchanan e Gordon Tullock).
Una ‘grande coalizione’ è meglio attrezzata di una ‘piccola’ ad affrontare questi nodi. Lo documenta a tutto tondo proprio uno storico tedesco, un cui libro fondamentale ('L’enigma democrazia- Le idee politiche nell’Europa del Novecento') è giunto in traduzione italiana nelle librerie proprio in questi giorni.
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