Attenzione,
pericolo di ingorgo legislativo
08 - 09 - 2013Giuseppe Pennisi
Si sta aprendo una settimana difficilissima sotto il profilo interno (la
decadenza o meno di Berlusconi dalla carica di Senatore) ed internazionale
(la crisi siriana). Pochi sembrano accorgersi che a questi gravissimi
temi e problemi si sta aggiungendo quello (di cui non c’era affatto esigenza)
di un vero e proprio ingorgo di politica legislativa. Da giovedì scorso circola
nei ministeri una bozza di ‘Decreto del Fare’ n. 2, predisposta in gran misura
dal Ministero dello sviluppo economico mentre non si ha ancora un quadro
preciso degli adempimenti per dare attuazione alle misure del ‘Salva Italia’
e del ‘Cresci Italia’ e come verrà coperto il mancato gettito della
seconda rata dell’IMU e del non aumento dell’IVA.
Alcuni giorni fa, il Sottosegretario all’Economia, Pier Paolo Baretta,
è stato chiaro: nell’arco del prossimo mese – mese e mezzo si devono trovare
quattro miliardi di copertura per le perdite di gettito relative alla seconda
rata dell’IMU (o ex-IMU) 2013, per il mancato aumento dell’IVA e per le spese
aggiuntive relative alla Cassa integrazione ed al rifinanziamento delle
missioni all’estero. Non pare che il consiglio (pieno di sano buon senso) sia
stato accolto.
Il punto centrale è la definizione delle priorità strategiche non le
singole misure. La stagione delle misure puntiformi (ove sia mai stata
efficace) è terminata: occorre elaborare, ed attuare, una strategia organica di
riassetto del bilancio nel cui quadro le singole azioni abbiano razionalità,
coerenza e un ordine di priorità. Qualcosa di analogo in materia di finanza
pubblica, al documento congiunto firmato il 2 settembre da Confindustria, da un
lato, e Cgil-Cisl-Uil, dall’altro, in tema di politica industriale.
I numeri sono eloquenti tanto più che da Bruxelles, già prima che inizino
le riunioni settembrine dell’Eurogruppo e dell’Ecofin, ci viene detto che non
ci possiamo aspettare deroghe al Fiscal Compact (ossia ad un tetto non
superiore al 3% del Pil in materia di indebitamento netto delle pubbliche
amministrazioni). Quattro miliardi di euro in un bilancio delle pubbliche
amministrazioni di più di 800 miliardi possono sembrare un’inezia e dare
l’impressione che basti spostare poche voci contabili. Invece, sull’arco di un
anno, racimolare quattro miliardi in un mese equivale a circa 50 miliardi.
Quella che pare un’operazione per ‘tappare buchi’ deve, quindi, essere
l’occasione per un ripensamento delle priorità, pur se nel brevissimo periodo
si dovrà ricorrere a tamponi come la riduzione del fondo per l’occupazione,
l’utilizzazione di risorse della Cassa conguaglio per il settore elettrico, la
contrazione delle assunzioni per la sicurezza e per la lotta all’evasione ed
altri provvedimenti specifici di cui si discute in queste ore.
Nel definire strategia e priorità occorre tenere conto di alcune
considerazioni. In primo luogo, in un Paese in recessione da circa otto anni,
ulteriori aumenti della pressione tributaria-contributiva non possono che
aggravare le prospettive per l’economia reale; anzi, si dovrebbe pensare a
ridurre il cuneo che grava sul costo del lavoro e mortifica competitività ed
occupazione. In secondo luogo, c’è asimmetria temporale tra gli effetti degli
aumenti delle entrate e delle riduzioni della spesa: i primi si avvertono
subito, mentre le seconde operano nel medio periodo tranne che non si tratti di
rinvii negli accrediti del Tesoro agli enti di spesa e dei pagamenti di questi
ultimi ai fornitori (in tal modo le pubbliche amministrazioni hanno già
accumulato debiti commerciali pari all’8% del Pil e mandato a gambe all’arie
numerose imprese).
Nel breve periodo, se si vuole operare (come auspicabile) riducendo la
spesa, non si può pensare che a tagli lineari e all’accantonamento di
provvedimenti (quali le misure speciali per le fondazioni liriche) a favore di
soggetti pubblico-privati la cui produttività è mediamente pari alla metà della
media europea. Non tutti i tagli lineari, però, hanno gli stessi effetti di breve,
medio e lungo periodo. Salvaguardando (come ha fatto il Governo) la scuola, la
strada possibile è quella di una migliore efficienza (ora resa possibile grazie
al progresso tecnologico) negli acquisti di beni e servizi (i ‘consumi
intermedi’ delle pubbliche amministrazioni), valutando la possibile estensione
delle attività della Consip agli enti locali (come originariamente concepito).
Si dovrebbe rimettere mano a quei miglioramenti di efficienza più volte tentati
come la chiusura dei piccoli tribunali e la costituzione di consorzi tra
piccole università e la miriade di piccoli enti pubblici del ‘capitalismo
municipale’. Si dovrebbe, infine, dare un segnale forte in materia di
retribuzioni ed altri privilegi dell’alta dirigenza: ad esempio, il parco di ‘auto
blu’ dovrebbe essere ridotto non del 20% ma dell’80% e nei confronti delle
corporazioni (pare che in passato ci sia stata una sommossa da parte degli
autisti) che non vogliono cambiamenti di mansioni, è doverosa una rigorosa
applicazione della normativa. Soprattutto, occorre rilanciare la spending
review con tempi certi e responsabilità anche esse certe. Deve essere posta
sotto il controllo del Ragioniere Generale dello Stato che, grazie ad un
concorso effettuato circa sette anni fa, dispone di un gruppo di dirigenti
specialisti della materia e di caratura internazionale.
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