ECO - Il ruolo marginale dei paesi Bric nell’economia mondiale
Roma, 30 giu (Il Velino) - La riunione dei cosiddetti paesi “Bric” (Brasile, Russia, India, Cina) a margine del G20 non si è tenuta poiché, spiega un comunicato, il presidente del Brasile Lula era indisposto. Lo si è visto, invece, in piena forma nei suoi incontri con il nostro presidente del Consiglio Berlusconi e la corte d’imprenditori che lo accompagnavano. L’episodio, per piccolo che sia, deve indurre a riflettere sulle illusioni che molti hanno risposto sui Bric come motore della crescita mondiale. In primo luogo, il gruppo in quanto tale non esiste. Si tratta di realtà molto differenti che hanno rinunciato alle loro riunioni a latere del G20 perché hanno poco e nulla da dirsi e il tempo è prezioso per tutti. In secondo luogo, i Bric sono stati uno degli elementi dell’attuale pasticciaccio brutto della finanza e dell’economia mondiale. La teoria economica (in particolare quella elaborata da H. Minsky) aveva anticipato, con la teorizzazione della “grande moderazione”, che la fase di crescita relativamente contenuta dell’economia mondiale, bassa inflazione e bassi tassi d’interesse reali e monetari, sarebbe sfociata in una nuova grande crisi, successiva a quelle degli anni ‘80 (America Latina , in particolare) e gli Anni 90 (Russia, Brasile, Asia) e molto più vasta e profonda: avrebbe portato a una crescita molto rapida di liquidità. Seguii lo stesso ragionamento - è antipatico citare sé stessi - in un breve saggio pubblicato nel 1999 in due numeri di Mondoperaio.
Questo punto è stato sviluppato magistralmente, e in modo divulgativo, da Martin Wolf nel libro “Fixing Global Finance. Forum on Constructive Capitalism”. In breve, negli anni della “grande moderazione”, lo squilibrio dei conti con l’estero degli Usa ha avuto l’effetto di aumentare a dismisura i saldi attivi dei paesi colpiti dalla crisi degli anni 90 (tra cui, in primo luogo, Brasile, Russia e Sud Est asiatico). Il Brasile e la Russia, tra l’altro, sono stati molto abili nel gestire la loro politica economica internazionale utilizzando la strumentazione della “teoria delle opzioni reali”: un documento della Banca Mondiale e del Banco Interamericano per lo Sviluppo analizza, ad esempio, come il Brasile abbia impiegato con acume le strategie e le stesse equazioni proposte da A. Dixit e R.S. Pindyck in “Investment under Uncertainty” (Princeton University Press) e come ciò abbia messo a repentaglio l’Argentina. Tali saldi attivi sono stati in gran misura collocati in titoli americani, gonfiando la liquidità interna Usa e ponendosi tra le componenti principali della crisi subprime. E’ difficile fare congetture sugli effetti delle recenti decisioni della Banca popolare di Cina in materia di tasso di cambio dello yuan sui saldi e sulla liquidità (anche perché Pechino, come altri paesi, ha di recente mutato strategia e il proprio attivo viene in parte incanalato tramite un fondo sovrano).
In terzo luogo, il mondo è in una fase di “globalizzazione parziale”, analoga a quella del 1870-1914. Come allora, è una “globalizzazione a macchia di leopardo” promossa dalla tecnologia (allora, elettricità e trasporti; oggi, le tecnologie dell’informazione e della comunicazione). All’epoca (ci sono analisi di livello, ad esempio di Jeffrey Williamson), ci fu l’ascesa di paese feudali (Germania e Giappone) tramite l’industrializzazione tardiva ma accelerata. Anche allora la trasformazione della struttura economica non venne accompagnata da un analogo sviluppo istituzionale, come dimostrato da D.C. North nel libro “Istituzioni, sviluppo Istituzionale, andamento dell’economia” (Il Mulino) che gli valse il Premio Nobel 1991. L’esito furono due guerre mondiali. North utilizza ampiamente la teoria dei giochi a più livelli e i paradigmi dell’economia dei costi di transazione (R. Putman, F. Del Monte, F. Barca e il sottoscritto abbiamo utilizzato il metodo North per l’analisi dei problemi del Mezzogiorno d’Italia). Sulla Cina, Amy Chua dell’università di Yale – ora americana ma d’ascendenza cinese - è giunta a conclusioni simili. Esistono monografie su Cina, Brasile e Russia che arrivano a risultati simili. Pur non disponendo di dati analoghi (e di una strumentazione econometrica), credo che il nostro studio debba focalizzarsi su questo punto. In quarto luogo, il G20 appena tenuto a Toronto è un’ulteriore dimostrazione che il ruolo dei Bric come motore per uscire dalla crisi non può essere che marginale a causa non solo del loro peso ancora limitato nell’economia mondiale ma soprattutto delle loro contraddizioni interne (ammesse dallo stesso Marcelo Neri, consigliere economico del Presidente Lula). Ai G20, in breve, i Bric sono poco più che comprimari. Il dialogo è essenzialmente tra Usa e Ue e sul ruolo della seconda nel trainare fuori dalla crisi l’economia mondiale, nonostante, secondo le stime effettuata da Angus Maddison prima di morire, a parità di potere d’acquisto il Pil della Cina sfiorerebbe l’80 per cento di quello degli Stati Uniti.
Infine, guardando ai Bric nel lungo termine dell’economia mondiale, si entra in pure congetture. Come ricordato in precedenza, per dare una assetto istituzionale “moderno” a Germania e Giappone è stata necessario il “secolo breve” con le sue due guerre mondiali. Le mie conoscenze dirette di Brasile, Russia e Cina mi inducono a ritenere che i problemi siano molto più complessi di quelli che dovettero affrontare all’epoca Germania e Giappone: al di fuori di pochi poli di sviluppo si è ancora a economia e società primitive come quelle dell’Africa Sub-Sahariana; i processi decisionali sono quanto meno poco trasparenti; le funzioni di benessere sociale perseguite dalle classi dirigenti, oscure e difficili da decifrare; la corruzione è diffusissima e i costi di transazione ( blocco primario allo sviluppo) elevatissimi, le discriminazioni (principalmente razziali) sono fortissime. Inoltre, India e Cina hanno un serio vincolo al proprio sviluppo: la scarsa disponibilità di risorse idriche. La Cina , inoltre, è l’unico paese al mondo con una lingua scritta ma non parlata, altro severo vincolo allo sviluppo. In materia c’è molta letteratura. II nodo essenziale è la tecnologia, il vero motore, ancora una volta, della globalizzazione. Mentre nel 1870-1910, i paesi di tarda industrializzazione svilupparono tecnologie “proprie” (siderurgia, chimica, impiantistica, strumentazione di precisione), i Bric perseguono una strategia di “efficienza adattiva” nell’adattare tecnologie altrui alla propria vasta disponibilità di lavoro e ai propri bassi salari e bassa protezione sociale. E’ una strategia che ha limiti ben precisi come dimostrò Sir Arthur Lewis nell’articolo del 1954 che gli fruttò il Premio Nobel.
(Giuseppe Pennisi) 30 giu 2010 13:22
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento