venerdì 4 giugno 2010

EUROPA:DONNE IN PENSIONE PIU TARDI Il Tempo 4 giugno

EUROPA:DONNE IN PENSIONE PIU TARDI
Giuseppe Pennisi
Le donne che lavorano nella Pa sono le principali beneficiarie dell’ultimatum della Commissione Europea in materia di parificazione dell’età di pensionamento. Di questo si tratta non di un innalzamento forzoso dell’età legale per andare a riposo. In alcuni Stati dell’Ue (ad esempio in Francia ed, ancora per poco, in Grecia) l’età legale per la pensione è inferiore ai 65 anni previsti in via generale dalla normativa italiana; in alcuni tocca ancora i 60 anni- tanto per le donne, però, quanto per gli uomini. Quindi, non c’è una disparità di trattamento basata sul genere; in questi Stati sono in vario stadio di considerazione misure per portare l’età della pensione (sia per le donne sia per gli uomini) verso i 67 anni , in linea con il progressivo invecchiamento della popolazione in tutta l’Ue e con il miglioramento delle condizioni di vita degli anziani (prima del superamento dei 75-80 anni d’età). E’ seguendo argomentazioni giuridiche di questo tenore che già una volta la Corte di Giustizia Europea ha richiesto all’Italia di giungere al più presto ad una parificazione legale (e, se possibile, effettiva) delle condizioni di pensionamento(parte integrante di quelle di lavoro) tra i generi. Auguriamoci di non essere condannati una seconda volta.
Almeno importanti quanto le considerazioni giuridiche sono quelle economiche. In primo luogo, i lavoratori di genere femminile, soprattutto se hanno interrotto (con aspettative non retribuite, ad esempio) il rapporto d’impiego nell’età della nascita e della cura dei figli, sono penalizzati nel rapporto tra ultimo stipendio e pensione iniziale (mediamente al 74% per gli uomini ed al 65% per le donne). In secondo luogo, la penalizzazione aumenta con il passare degli anni poiché l’indicizzazione non copre che parte dell’aumento del costo della vita e non tiene conto dell’incremento generale della produttività; dato che mediamente le donne hanno un’aspettativa di vita più lunga di quella degli uomini, i trattamenti previdenziali si assottigliano proprio quando le esigenze crescono (per cure, assistenza). In terzo luogo, la regola ancora in vigore fa sì che vengono escluse dall’impiego donne nel fiore della loro capacità professionale con il risultato che la perdita riguarda non solamente i singoli individui discriminati per essere donne ma le amministrazioni da cui dipendono e l’intera collettività.
Come mai siamo l’unico Stato Ue (ed uno dei rarissimi al mondo) che applica u8na misura al tempo stesso discriminatoria ed anti-economica. La ragione sta in quel sistema previdenziale varato frettolosamente nel 1969 (e lodato come “il migliore del mondo”, secondo i titoli de L’Unità di quel periodo) che, al pari del diritto del lavoro dell’epoca, aveva come assunto che spettasse all’uomo “andare in fabbrica” ed alla donna restare a casa. La concezione secondo cui Stakanov produce e suo moglie sta in cucina si riflette nel fatto che (secondo una recente ricerca internazionale) il 73% del lavoro per la cura della casa e dei figli è fatto in Italia dalle donne rispetto al 60% circa negli Stati Uniti. La parificazione dei titoli previdenziali non è una panacea ma un passo verso il progresso.

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