ECCO CHE CI FA UN LIBRETTO DI CACCIARI NELLA NUOVA STAGIONE LIRICA ITALIANA
Giuseppe Pennisi
Il 18 giugno, mentre a Verona ed a Milano le prime di “Turandot” e “Faust” venivano contrastate a ragione dell’approvazione da parte del Senato della normativa di riordino delle fondazioni liriche, a Spoleto ed a Ravenna andavano in scena due prime eccezionali: la “prima” italiana di un lavoro di uno dei maggiori compositori contemporanei (Hans Werner Henze, tedesco ma da 60 anni residente nei pressi di Roma) e la “prima” mondiale di una nuova opera (o “cantata video scenica”) di uno dei più originali compositori italiani, Antonio Guarnieri, su libretto del sindaco-filosofo Massimo Cacciari. Il lavoro di Guarnieri-Cacciari aprirà la stagione autunnale a Roma. La” musa bizzarra e altera”, l’opera lirica, è ancora viva e vitale nel Paese dove e nata, nonostante proprio in Italia corporativismi e burocrazie fanno del loro meglio per affossarla.
Il lavoro di Guarnieri-Cacciari merita di essere esaminato sotto tre punti di vista: quello filosofico-religioso, quello musicale, quello scenico-registico. Tenebræ è per un ensemble strumentale di 14 solisti , live electronics, due soprano, un controtenore e voci registrate del coro. Ha debuttato al Teatro Alighieri nel quadro del Ravenna Festival, che dopo “un prologo”, il 7 giugno, dura sino al 13 luglio ed ha come tema fondante il percorso “dalle tenebre alla luce”. Tenebrae non è co-prodotto come si sarebbe potuto immaginare con La Fenice (tempio veneziano della musica contemporanea), ma dal Teatro dell’Opera di Roma dove verrà replicato dal 16 al 20 ottobre.
Cacciari non è nuovo alla collaborazione con compositori: ha lavorato a lungo con Luigi Nono (ispirandone anche il pensiero): ha curato, su testi, però, altrui il libretto di Prometeo, tragedia dell’ascolto, opera di difficilissima esecuzione, a ragione dei mezzi che richiede, ma di cui la casa discografica Col-legno ha prodotto una recente registrazione di grande livello. Un quarto di secolo fa, il sottofondo di Prometeo (tre ore di musica nella versione originale) era plasmato da un senso di impotente disperazione; uno sguardo lucido ma spietato ad un’umanità senza più fini (o quasi). Oggi Tenebræ, basato sulla liturgia del Venerdì Santo e su testi di Cacciari nei primi tre quadri e di Trakl (riletto da Cacciari) nell’ultimo, è, invece, un doloroso cammino verso la serenità. Per Cacciari la filosofia è disciplina che richiede “a-teismo”, come ha scritto in un bel volume pubblicato due anni fa con Ilario Bertoletti. Ciò non vuol dire che Cacciari non conosca la religione e non ne sia affascinato (come mostrano, oltre che i suoi libri, i suoi viaggi sul Monte Athos). Tenebræ è il momento della morte (di Cristo, in particolare, ma in effetti di tutti noi) in cui l’anima si distacca dal corpo. In attesa, però, del “futuro risveglio” e del ritorno del “figlio dell’Uomo” trionfatore. A differenza di Prometeo, dove il testo è de-strutturato tanto che le singole parole sono incomprensibili, in Tenebræ il testo cantato da due soprano (Alda Caiello e Sonia Visentin) ed un controtenore (Antonio Giovannini) è sì destrutturato, ma accompagnato da una attrice (Elena Bucci, il corpo) di cui si intende perfettamente ogni frase e da una danzatrice (Catherine Pantigny,l’anima) che rende esplicito il messaggio. Inoltre, un coro registrato di bassi, lo Speculum Ensemble fa da contrappunto alla parte vocale: ricorda quelli di monaci copti che ascoltai nelle chiese scavate nelle caverne quando in Etiopia Menghistu aveva messo la religione al bando.
In buca, un ensemble di soliti dell’Opera di Roma guidati da Pietro Borgonovo (magnifici il flauto, il violoncello e gli ottoni – perché nella capitale sembrano avere un suono differente?) ed una tastiera elettronica (la regia del suono è di Luigi Ceccarelli). La partitura è rigorosamente dodecafonica , su scala di 12 note con ritorni e variazioni, affidate a tre voci imperniate su tonalità alte e su purissimi acuti (quindi, il contrappunto dei bassi). Guarnieri è un “unicum”. La sua formazione, come quella dei suoi coetanei, risente della scuola tedesca ma approda con questo lavoro a stilemi francesi dell’Ircam; ci sono assonanze con le opere di uno dei più sorprendenti giovani compositori francesi (debuttò a Spoleto ed a Roma nel 2000 a 28 anni), Oscar Strasnoy, la cui prossima opera è stata commissionata dal Festival di Aix-en-Provence. E’ una partitura avvincente: dopo il dramma della separazione tra corpo ed anima , un dolcissimo finale ( meraviglioso il flauto) di serenità Zen (analogo al testamento di un altro a-teo dubbioso, Gustav Mahler, in Das Lied von der Erde).
L’elemento relativamente debole dello spettacolo è la regia e scenografia (Cristina Mazzovillani Muti, Ezio Antonelli, Vincent Longuemare): efficace nei primi due quadri, diventano statiche negli altri due. Le Tenebræ non permettono forse i giochi pittorici de La Pietra di Diaspro del 2007 (sempre su musica di Guarnieri ma su testo dall’Apocalisse) ma, dopo gli effetti speciali iniziali (l’acqua, il fuoco), si potevano prendere spunti dal Vangelo per lo squarciarsi del Cielo, il terremoto, l’eclisse e, quindi, la preparazione alla serenità delle ultime note. Da ri-tarare prima del debutto romano
A Ravenna, 75 minuti di musica, senza intervallo, seguiti da 15 di applausi.
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