sabato 19 giugno 2010

Teatro, all’Opera di Roma una “Manon” elegante e poco lussuriosa Il Velino 18 giugno

CLT - Roma, 18 giu (Il Velino) - Dopo 26 anni di assenza, e proprio nei giorni del solstizio estivo, arriva in una Roma pronta a correre in spiaggia un’esemplare “Manon” di Jules Massenet in co-produzione con l’Opéra di Montecarlo. È una versione del romanzo “L’Histoire du Chevalier Des Grieux et de Manon Lescaut” dell’abate Antoine Francois Prévost poco rappresentata in Italia non solo per lo sforzo produttivo che richiede (5 atti, 6 quadri, 18 solisti, coro, corpo di ballo, dizione in francese - alla Scala negli anni Settanta Mirella Freni e Luciano Pavarotti, con la direzione musicale di Peter Maag- veniva proposta in versione ritmica italiana e fortemente tagliata), ma anche in quanto travolta dalla più moderna e italianissima, “Manon Lescaut” di Giacomo Puccini, composta solo pochi anni dopo quella di Massenet. In primo luogo è errato, come ancora fanno molti, considerare il lavoro di Massenet sotto il profilo drammaturgico una interpretazione più fedele di quanto non siano altre “Manon”. In gran misura autobiografico, il libro è imperniato sul protagonista maschile che Prévost non esita a mostrare come un gaglioffo tormentato, ma pur sempre cinico e corrotto (oltre che corruttore) e sgradevole. Nulla di simile al tenero giovincello innamorato di Massenet o allo studente sensuale e passionale di Puccini.

In effetti, tralasciando l’opéra-comique di Daniel Auber e altre versioni minori, occorre aspettare il 1950 o giù di lì perché con il “Boulevard Solitude” di Hans Werner Henze si ritrovino trasportati nella Francia della prostituzione e della droga degli anni immediatamente successivi alla Seconda guerra mondiale, i personaggi e il clima di Prévost, pur se, sulla scena, non ci sono riferimenti ai più espliciti aspetti sessuali del romanzo settecentesco. Con una qualifica: come molti scrittori libertini (tra cui lo stesso Marchese De Sade), l’abate aveva non solo un vero senso di colpa nei confronti dei propri trascorsi (tra altare e postribolo), ma anche intenzioni moralistiche (ambedue distinte e distanti dall’opera di Henze, come, peraltro, da quelle di Puccini, Massenet e Auber) tanto che eros e sesso non venivano vissuti in modo gioioso. Massenet e i suoi librettisti leggono l’intreccio come una parabola di dualismo tra eros e misticismo, tra fango e sogno di una giovane piccolo borghese desiderosa di ascesa sociale (e di lussuria e lussuria) e pronta a tutto, anche a prostituirsi ed a barare per farlo. Anche Des Grieux è sempre in bilico tra seminario (a cui a un certo momento è destinato) e giochi erotici sotto le lenzuola. Mentre in Puccini l’eros torna prepotentemente in scena dopo 50 anni di melodramma passionale ma privo di sesso, in Massenet, l’eros – ha ricordato il compianto Carlo Casini – è letto con gli occhiali del perbenismo borghese del tardo Ottocento francese, quello tanto per intenderci dell’“affaire Dreyfus”. È l’erotismo di un immaginario Settecento elegante, un po’ viziosetto ma mai veramente peccaminoso.

Al Teatro dell’Opera di Roma, il regista Jean Louis Grinda, la scenografa Paola Moro e la costumista Anna Biagiotti (il lavoro richiede 400 costumi), colgono bene questi aspetti. La rappresentazione è tecnicamente un’opéra – comique , con tratti parlati, pur se accompagnati dall’orchestra come melologhi, che si alternano ai numeri musicali, ma ha anche aspetti di grand-opéra (il balletto, specialmente nel primo quadro del terzo atto, spesso eliminato in Italia per ragioni di costo). Divisa in cinque atti e sei quadri, viene presentata con un solo intervallo, un impianto scenico unico e attrezzeria essenziale (con elementi pittorici ed architettonici del XVIII secolo, tra cui echi del Palais Garnier di Montecarlo) per dare vita ai singoli ambienti. Specchi ai due lati della scena sottolineano il dualismo tra erotismo e misticismo e tra fango e sogno, che caratterizzano i due protagonisti e il mondo che li circonda. Molta curata la recitazione. Forte l’accento sulla giovinezza quasi innocente dei due protagonisti che si distacca da parte del mondo che li circonda. Come in “La Favorite”, il personaggio maggiormente avvinto dall’eros è il protagonista maschile, per il quale Puccini introdurrà una vocalità nuova: respinge virtuosismi e dolcezza, sceglie una linea sobria, puntando tutto sulla zona centrale dove il canto raggiunge la maggior intensità sensuale. In Massenet, invece, è un tenore lirico dal fraseggio elegante e dal legato elegiaco, dai “mi” e dai “re” dolcissimi, dall’acuto sostenuto e dal timbro chiarissimo. Manon è voluttuosa e sensuale e ha una scrittura vocale levigata nella melodia e nel ritmo che esplode nell’aria della seduzione quando tira il proprio innamorato fuori dal convento di St. Sulpice. Quindi, un eros giovane, quasi inesperto all’inizio anche se la protagonista diventa sempre più insinuante, man mano che la vicenda procede e che lei passa da un letto a un altro.

Annick Massis, uno dei soprano più noti e versatili francesi, ha debuttato a Roma nel ruolo di Manon, pur se non più giovanissima e leggermente indisposta la sera della “prima”. Si è calata perfettamente nel personaggio di una fanciulla destinata al convento e gradualmente portata sul sentiero del vizio, del delitto e della morte, stremata mentre viene deportata per esercitare in un bordello in Louisiana. Di grande livello il Des Grieux di Massimo Giordano, anche lui al debutto nel ruolo: conferma le sue doti di tenore lirico che emette con grazie e naturalezza il “si naturale” e ha uno splendido legato e un ottimo fraseggio. Decollato a Spoleto nel 1997, ora se lo contendono Vienna, New York e Parigi (la sua dizione in francese è impeccabile). Vorremmo vederlo e ascoltarlo più spesso in Italia. Impossibile citare il resto del vasto cast vocale. Una vera e propria scoperta: Jean Francois Borras, giovane tenore lirico francese (si alterna con Giordano nella parte del protagonista) già apprezzato Oltralpe e destinato a un ruolo di primo livello sulla scena internazionale. Per quanto riguarda la concertazione, in “Manon” l’orchestra non è essenzialmente di supporto al canto e all’azione scenica. Mentre quella pucciniana appartiene al Novecento storico, soprattutto per l’orchestrazione, Alain Guingal coglie con cura i caratteri tardo-ottocenteschi nella presentazione di un Settecento di maniera: l’uso del melodrame, il taglio breve di alcune melodie, i couplets e il flusso di eleganza, condito da un pizzico di sentimentalismo.

(Hans Sachs) 18 giu 2010 10:57



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