CLT - Opera/ Muti, Metastasio e gli intrighi della politica romana
Roma, 29 giu (Il Velino) - A Salisburgo, in occasione del Festival di Pentecoste e a Ravenna, dal 2 al 6 luglio, Riccardo Muti si cimenterà con gli intrighi della politica romana di cui attende di fare conoscenza diretta quando l’anno prossimo sarà maestro concertatore e direttore d’orchestra principale del Teatro dell’Opera. Dirigerà, infatti, due opere squisitamente politiche sulla centralità internazionale di Roma. Il libretto è identico: “Betulia Liberata” di Pietro Metastasio, messo in musica, in un’edizione, da un Wolfgang Amadeus Mozart appena quindicenne (Metastasio allora aveva superato le 73 primavere) e in un’altra dal trentenne Nicolo Jommelli nel pieno della maturità artistica. A fine 2008, è stata presentata dalla piccola casa editrice MOS (i cui meriti sono inversamente proporzionali alle dimensioni), una terza versione di “Betulia Liberata” quale messa in musica da Pasquale Anfossi nel 1783 per conto del romano oratorio dei Filippini (oggi conosciuto come oratorio Borromini). In effetti si contano almeno una dozzina di oratori o di opere che mettono in musica il testo di Metastasio, poeta oggi dimenticato nonostante nella sua abitazione romana nei pressi di Campo de’ Fiori ci sia la sede di un’associazione a lui dedicata. Eppure, in vista delle celebrazioni per i 150 anni dell’unità d’Italia, andrebbe ricordato come “poeta cesareo”, presso la Corte di Vienna, che operò non solo per fare diventare l’italiano la lingua franca e colta di tutta l’aristocrazia europea, russa ed egiziana, ma anche e soprattutto per aver posto la centralità politica e culturale di Roma nel consesso europeo come aspetto fondante dei suoi lavori. Sotto la guisa di un oratorio religioso, “Betulia Liberata” pone Roma (ovviamente quella settecentesca) al centro della complessa vicenda europea della guerra di successione polacca, degli intrighi alla corte di Vienna e del futuro dell’Impero, ossia di quella che allora era l’Europa.
Il significato politico del lavoro è dimostrato dal suo successo: l’edizione in musica di Anfossi venne eseguita all’oratorio dei Filippini (con ben circa 16 repliche l’anno) dal 1781 al 1794, quando la Rivoluzione francese e i primi sentori di quelle che sarebbero state le guerre napoleoniche stavano travolgendo la politica romana, proprio per il significato che l’opera –oratorio aveva per Roma. Le versioni di Mozart e di Jommelli, non meno pregevoli di quella dell’Anfossi, nonostante applauditissime a Salisburgo e nel Veneto, non ebbero invece un pari riscontro di pubblico. Un saggio di Mario Valente, l’unico vero studioso di Metastasio oggi in Italia, rivela che dietro le note c’è molto di politico. Il testo metastasiano, infatti, venne situato in una Roma in cui non solo la guerra di successione polacca ma anche i conflitti per la corona d’Austria avevano accentuato le tensioni all’interno della Città Eterna tra i “giansenisti” da un lato (i Filippini non lo furono mai in senso integrale, ma ne furono collaterali) e gli ortodossi dall’altro; tra il primato teologico-politico del magistero della Chiesa romana, da una parte, e il clero della periferia, l’aristocrazia e la borghesia, quest’ultima emergente in tutta Europa, quindi anche nel Lazio e nel resto del dominio temporale del Papa Re, dall’altra. Roma (a quei tempi la Chiesa) si pose come grande mediatrice tra interessi contrapposti sia nel proprio Regno temporale sia tra le case regnanti d’Europa. Per riaffermare il primato anche politico della Chiesa, l’oratorio termina con un’aria con coro “Lodi al gran Dio” (parte II, no. 16) che segna la consacrazione di Giuditta, la cui gloria nella luce di Dio continuerà nel tempo, nel segno della libertà e del rispetto del suo popolo. Per rendere il significato ancora più esplicito (ove fosse stato necessario) nella versione messa in musica da Anfossi viene incluso un appello a Maria “donna forte” e invincibile”: un messaggio neppure troppo cifrato sia nei confronti delle case reali europee sul ruolo che Roma era convinta di dovere esercitare nella successione asburgica, sia nei riguardi dell’aristocrazia, della borghesia e dello stesso clero di periferia. Il messaggio è tanto più forte poiché nella vicenda biblica, ovviamente, non c’è e non ci può essere traccia della Vergine.
Siamo in un quadro storico in cui solamente pochi anni prima era stata sciolta la Compagnia di Gesù e ne erano stato confiscati i beni in quanto il papato vedeva con preoccupazione il crescente potere della congregazione. I Filippini della chiesa in Santa Maria in Vallicella, che si rifacevano a quel San Filippo Neri che si poneva come “il prete dei poveri” ed erano dotati di un programma teologico e religioso molto lineare e chiaro, conducevano un’attività politica più influente e incisiva di quanto non abbiano messo in luce recenti sceneggiati televisivi. Erano un’anomalia nella Controriforma poiché organizzati in piccole comunità, con un alto grado di democrazia interna, nonché aperti al vento nuovo dell’illuminismo. Da qui non solamente il collateralismo con il giansenismo e, quel che più conta, una “Betulia Liberata” in cui Giuditta coniuga Fede e Ragione. Un lavoro, quindi, modernissimo: basti pensare che l’enciclica “Fides et Ratio” di Papa Paolo Giovanni II ha una dozzina d’anni. Oloferne e la sua masnada, inoltre, possono essere identificati come il mondo islamico, privo tanto di Fede quanto di Ragione. Quando venne scritta l’“azione sacra” non erano passati molti lustri dall’assedio di Vienna: un “evento”, si direbbe oggi, che non poteva essere ignorato sia dalla corte imperiale sia dall’oratorio dei Filippini. La versione mozartiana è, per molti aspetti scolastica, da considerare una sorta di passo indietro rispetto a “Mitridate Re del Ponto” che a 14 anni il salisburghese compose su commissione del Teatro alla Scala. Sanguigna la versione di Jommelli. Molto politica quella di Anfossi, che attende ancora una prima esecuzione in tempi moderni.
(Hans Sachs) 29 giu 2010 14:00
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