In questa rubrica, il 5 aprile abbiamo esaminato le determinanti dell’ondata d’inflazione che sta assottigliano i nostri portafogli e alleggerendo le nostre tasche. Ci siamo impegnati ad esaminare oggi le possibili terapie. Dato che siamo alla vigilia delle elezioni politiche è importante chiedersi quale dei programmi economici proposti agli elettori può meglio raggiungere l’obiettivo. Sono utili due premesse. In primo luogo, è illusorio pensare che si tratti di un fenomeno di breve periodo: come delineato su Libero Mercato il 5 aprile le sue origini sono parte di un cambiamento strutturale dell’economia mondiale, non di quella italiana o europea o atlantica; e tale cambiamento si articolano nel medio e lungo periodo. In secondo luogo, gli economisti si sono già espressi sia sulla politica economica del Governo Prodi sia sul programma elettorale di WV (Walter Veltroni). In gennaio, un sondaggio del Club dell’Economia indicava che il 70% di coloro interessati alla triste scienza e che seguono regolarmente il sito del sodalizio consideravano un bene per l’economia una crisi di Governo perché avrebbe comportato la fine di una politica economica errata. Venerdì 11 aprile , il 60% considerava il programma economico del PdL più adatto di quello del Pd (appena il 28% di risposte favorevoli) a rilanciare l’economia del Paese, il 6% si esprimeva a favore di quello della Sinistra Arcobaleno, il 3% tra gli altri partiti, ma lo Rosa Bianca (che non ha presentato un programma economico vero e proprio restava quasi allo 0%).
Il sondaggio non ha la pretesa di essere statisticamente probante o men che meno rappresentativo del pensiero di tutti coloro che in Italia si interessano di economia e di politica economica. Tuttavia, è un’indicazione di cosa pensano non tanto i soci del club ma tutti coloro (molti gli studenti) che leggono regolarmente il sito per avere accesso ad articoli ed a saggi dei soci, nonché ai loro blog. Il Club, nato nel maggio 1984 per iniziativa di quattro professori di economia e due commentatori economici, è un’associazione assolutamente apolitica ed, a maggior ragione, apartitica. Oggi ha poco più di una cinquantina di soci (sempre o docenti d’economia o editorialisti economici); si è ammessi soltanto se, a scrutinio segreto, il 75% dei soci iscritti si esprime a favore del candidato. In breve dopo avere bocciato la politica economica del Governo Prodi, gli economisti bocciano le proposte di WV e dalla sua variopinta carovana.
In cosa consistono tali proposte: essenzialmente in nuovo grande patto sociale per la politica dei redditi analogo a quello del luglio 1993 (il cosiddetto Accordo di San Tommaso). Purtroppo, l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, Oil (agenzia specializzata delle Nazioni Unite dei cui organi di governo fanno parte i sindacati, mondiali) nel 1994 pubblicò un’analisi della concertazione da cui si evinceva come l’Accordo di San Tommaso fosse già allora obsoleto (e per questa ragione è rimasto in gran misura lettera morta). Il lavoro Oil distingueva tra “concertazione difensiva” (per difendere l’esistente) e “concertazione aggressiva” o “positiva” (per cambiare la struttura di produzione in linea con le trasformazioni internazionali). L’Accordo di San Tommaso apparteneva alla prima categoria. WV non si tiene informato non solo sui lavori Oil ma neanche su quelli degli economisti a lui collaterali: uno studio della Fondazione Rodolfo Debenedetti del 2001 approfondisce le analisi e le conclusioni Oil. WV propone una ricetta che ha funzionato in parte in economia chiusa (si pensi all’Accordo di San Valentino od alle misure del Governo Craxi sulla scala mobile) ma che secondo la maggior agenzia internazionale preposta alla materia, e secondo le “teste d’uovo” economiche del centro sinistra, è considerato un vecchiume già da circa tre lustri.
Se il “grande patto sociale” non è praticabile, quale è la strada da prendere? In primo luogo – avvertono Robert Rich e Charles Steindel in un saggio sull’ultimo numero dell’”Economic Policy Review” – occorre distinguere tra le varie misure di “core inflation” (inflazione di base) al fine di potere individuare una strategia adeguata. Argia Sbordone, nel “Journal of Monetary Economics”, avverte che ciò è particolarmente importante se il fenomeno (come pare l’attuale) è persistente. Ricordiamo che la politica della moneta, nell’area dell’euro, è formulata ed attuata collegialmente. Pure la politica di bilancio è soggetta a vincoli definiti collegialmente. Sulla politica dei prezzi e dei redditi, gli studi Oil del 1994 e quelli della Fondazione Debenedetti pubblicati nel 2001 hanno detto tutto.
Di quali strumenti, allora, si dispone? Su piano interno, il principale è una drastica politica di liberalizzazioni. Lo ha sostenuto anche Pier Carlo Padoan, oggi Vice Segretario Generale dell’Ocse, ma a lungo consigliere di Massimo D’Alema, direttore della Fondazione Italiani-Europei e rubrichista economico del mensile del PCI “Politica ed Economia”. Non lo ha mai sostenuto WV, neanche nei discorsi tesi a fare dimenticare i suoi trascorsi di studi e di politica. In questi giorni un’analisi della Presidenza del Consiglio conclude che i soli oneri d’informazione alla pubblica amministrazione centrale (senza contare quelle regionali, provinciali e comunali e varie authority) costano alle piccole e medie imprese 15 miliardi di euro l’anno. Questo è uno dei focolai interni d’inflazione: gli alti costi di transazione – ha dimostrato il Premio Nobel Douglas North- sono il freno principale allo sviluppo economico.
Ma, si dirà, il 5 aprile Libero Mercato ha argomentato che una determinante importante dell’inflazione è internazionale. Viene dai prezzi dei generi alimentari- ai quali è più difficile trovare alternative che al petrolio. In questo campo, ci vuole una sterzata di politica economica internazionale che WV & Co. non sono pronti a fare: accelerare la ricerca su metodi colturali che aumentino le rese alle derrate, anche ammettendo, con tutte le cautele del caso, prodotti geneticamente modificati. Facciamo un passo indietro. All’inizio degli Anni Sessanta l’Asia, l’India in particolare, erano travagliate da carestie. C’era una forte opposizione all’”agribusiness” basato su nuove tecniche di concimazione e di rotazione colturale. Un Premio Nobel per l’Economia chiaramente di sinistra, Gunnard Myrdal, guidò una ricerca che, pubblicata in tre volumi con il titolo accattivante “Asia Drama”, spalancò le porte all’”agribusiness” ed alla “rivoluzione verde”.
Nelle sedi europee, alla Fao, in Banca Mondiale, si può premere in una direzione analoga, ma può farlo soltanto un Governo che non ha scorie ed eredità con l’ecologismo immobilista. La terapia del PdL non è esaustiva ma rappresenta un passo sulla buona strada.
Per saperne di più
Boeri T., Brugiavini A., Calmfors (a cura di) “The Role of the Unions in the XXI Century” Oxford University Press 2001
Myrdal G. “Asian Drama. An Inquiry into the Poverty of Nations” The XX Century Fund , Pantheon, 1968
North D. “Istituzioni, Cambiamento Istituzionale, Evoluzione dell’Economia” Il Mulino 1994
Rich R., Steindel Ch. “A Comparison of Measures of Core Inflation”, Economic Policy Review, March 2008
Sbordone A. “Inflation, Persistence: Alternative Interpretation and Policy Implications” Journal of Monetary Economics July 2007
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