Devo fare una premessa; ho vissuto 15 anni negli Stati Uniti ed amo l’opera lirica americana. Attribuisco specialmente a quelle tratte da romanzi, drammi in prosa e film di successo il merito di avere riportato in teatro pubblico che se ne era andato o di avervi condotto spettatori nuovi, specialmente i giovani. Considero un vero capolavoro di “Seven attempted escapes from silence” (“Sette tentativi di fuga dal silenzio”), un libretto di Jonathan Safran Foer messo in musica da sette giovani compositori di Paesi e scuole musicali differenti che ho avuto modo di ascoltare e vedere alla Staatsoper under den Linden di Berlino nel 2005. Altro capolavoro, della fine degli Anni 90 ma messo in scena alcuni anni fa al Regio di Torino, è “A Streetcar Named Desire” di André Previn. Molto buono “Doctor Atomic” di John Adams, una ricostruzione, a 60 anni di Hiroshima e Nagasaki del Manhattan Project che portò alla bomba atomica. Altri lavori che meritano segnalazione ( e che si possono vedere in DvD e sul canale digitale “Classica”): “The bitter tears of Petra von Kant” (“Le lacrime amare di Petra von Kant”) del compositore irlandese Gerald Barry, “Thyeste” di Jan van Vljimen, “Pan” di Marc Monnet e soprattutto “Sophie’s Choice” (“La scelta di Sofia”) di Nicholas Maw e “The Tempest” di Thomas Adès. Non si tratta solamente d’opere americane, ma di lavori per il teatro in musica “sullo stile” dell’opera americana contemporanea, rivolti quindi al grande pubblico. A casa nostra, l’unica simile è “Saul” di Flavio Testi che si è vista a Macerata ed a Roma ma il cui grande successo è stato ed è in Francia.
Di “1984” di Lorin Maazel conosco solamente il DvD appena edito sulla base della “prima esecuzione” avvenuta al Covent Garden di Londra, esattamente tre anni fa. Un debutto che ha sollevato varie polemiche anche perché la produzione è stata finanziata in parte da Maazel in persona (è stato enfant prodige ed è uno dei musicisti più ricchi al mondo grazie al successo come direttore d’orchestra ed ad essere stato associato a film che hanno avuto esiti eccezionali di cassetta). Maazel voleva tanto che il lavoro fosse messo in scena nel migliore dei modi ed in uno dei teatri di maggior prestigio al mondo che ha creato una compagnia (significativamente chiamata “Big Brothers Production”), ha versato circa 800.000 dollari ed ha chiesto alla Royal Opera House (dove la direzione artistica non era convinta del valore dell’opera) di metterla in scena. E’ sempre la “Big Brothers” che la porta in giro per il mondo. A 78 anni, Maazel se lo può permettere: ha cominciato a lavorare, come pianista solista, ed a macinar quattrini a 6 anni.
Le critiche sono state piuttosto guardinghe. Non tanto nei confronti del libretto ( di J. D. McClatchy e Thomas Meehan), una riduzione efficace del romanzo, quanto della partitura , che fonde stili differenti ed è densa di citazioni della musica del Novecento (da Varèse a Digesti, a Berio). La scrittura vocale richiede vere e proprie acrobazie per i protagonisti. Anthony Tomasini ha scritto sul “New York Times” di “compelling elements” (“momenti molto belli”) che non è proprio un complimento per il valore complessivo del lavoro. Molto più severo Anthony su “The Guardian”: definisce l’opera una noiosa e lunghissima fiera delle vanità “che non riesce ad interessare lo spettatore”, Durissima la stampa specializzata come Patricia Mitchell di Oboeinsight.
A mio avviso, l’errore principale di Maazel è quello di avere voluto strafare: mentre il teatro in musica americano segue una linea diatonica piuttosto semplice ed accattivante, Maazel costruisce per “1984” un vero e proprio caleidoscopio del Novecento musicale. Scontentando sia gli innovatori sia i tradizionalisti.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento