Vi spiego
perché le fondazioni liriche sono in coma
Analisi dei fattori della crisi in cui da tempo
versano le fondazioni liriche.
In un precedente
pezzo abbiamo
affrontato il quadro generale delle fondazioni liriche. Ora approfondiamo i
fattori principali della crisi.
L’ABBANDONO DELLA CULTURA MUSICALE
La prima determinante è il virtuale abbandono della
cultura musicale da circa mezzo secolo. Solo di recente si è ricominciato ad
insegnare nelle scuole storia delle musica ed ad organizzare programmi speciali
per avvicinare bambini, giovani e ragazzi a opera e concerti: particolarmente
efficaci quelli dell’AsLiCo , del Massimo di Palermo e del Teatro alla Scala.
E’ in corso un’emorragia di pubblico, nonostante qualche flebile ripresa
nell’ultimo anno.
Tuttavia, i programmi per le scuole e per i giovani
sono un incentivo a basso potenziale che opererà unicamente nel medio e lungo
termine. Anche in quanto aumentano le alternative per l’impiego del tempo
libero dei giovani, ivi compresa la fruizione di lirica e sinfonica di alta
qualità ed a basso costo dei biglietti, tramite circuiti come ‘microcinema’ e
‘nexodigital’.
LA BASSA PRODUTTIVITA’
La seconda determinante è la bassa produttività: una
media di 70 alzate di sipario (per opera e balletti) nelle fondazioni italiani
rispetto a circa 150 in quelle dell’UE a 15 e 200 in quelle dell’UE a 27. Ciò
comporta costi elevatissimi, anche in quanto alcuni artisti hanno dichiarato
(in interviste a quotidiani di larga diffusione) che, a causa del basso numero
di recite, chiedono alle fondazioni cachet pari al triplo di quelli che
contrattano con la Staatsoper di Vienna e il Metropolitan di New York. A
rendere il quadro più fosco, data la bassa produttività hanno preso il brutto
andazzo di disertare le prove spesso per un secondo lavoro (lezioni, corsi
presso scuole private). Un Sovrintendente che avendo preso in fragrante alcuni
orchestrali ed avendo utilizzato le misure previste dalla legge, è stato
malmenato ed ha passato diversi giorni in ospedale. La bassa produttività non è
un male incurabile: lo mostra la svolta effettuata da La Fenice di Venezia
introducendo un sistema di semi-repertorio che ha portato al successo (nelle
classifiche internazionali) un teatro considerato sino a qualche anno fa poco
più che provinciale.
IL CAOS NELLE RETRIBUZIONI
Inoltre, come ha rivelato in questi giorni
un’inchiesta del blog Il Menestrello i cui dati essenziali sono stati
ripresi su Il Corriere della Sera del 5 febbraio, vige un vero e proprio caos
nelle retribuzioni del management delle fondazioni.
GLI ALLESTIMENTI STANTII
Infine, allestimenti stantii: ne ho trattato a lungo
nel trimestrale di Monaco di Baviera Max & Joseph. Regie ed allestimenti
tradizionali portano a teatro pubblico anziano e tradizionale. Regie moderne
(ad esempio quelle di Michieletto, Micheli, Livermore) possono scandalizzare
qualche ben pensante ma attirano i giovani.
IPERTROFIA DI PERSONALE
Il Verdi di Trieste ha 270 impiegati a tempo pieno ed
indeterminato (con 50-60 recite l’anno) rispetto ai 35 del Théâtre des Champs
Elysée di Parigi . Il Maggio Musicale ha oltre 100 amministrativi . E via
discorrendo. Il sistema è diventato regressivo: con sovvenzioni di circa 400
euro a spettatore pagante (di solito appartenente a ceti a reddito medio alto).
IL DISINTERESSE DEGLI ENTI LOCALI
Disinteresse degli enti locali (Comuni, Regioni) che
dovrebbero essere i primi beneficiari e tutori dei ‘loro’ teatri. Con
l’eccezione del Comune di Roma, contribuiscono pochissimo alle spese per le
fondazioni. Il regolamento approvato dal Governo Monti che, seguendo le prassi internazionali,
poneva un tetto al finanziamento dello Stato per ciascuna fondazione e
richiedeva un congruo apporto da parte degli enti locali, ha suscitato una
levata di scudi e non è mai entrato in vigore.
Occorre comprendere che la coperta è stretta . Se la
scelta è tra tenere aperti ospedali e asili nido o sovvenzionare i biglietti a
ceti medio alti, qualsiasi governo (di destra, di sinistra, di larghe intese)
credo che opterebbe per ospedali e asili nido.
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