Madama Butterfly ancor più feroce e tragica
di Giuseppe Pennisi
In queste settimane sono in scena diverse edizioni di Madama
Butterfly, una «tragedia giapponese» di Giacomo Puccini su libretto di Luigi
Illica e Giuseppe Giacosa. Ci sono due buone ragioni per andare alla produzione
del Carlo Felice. In primo luogo, è una rara occasione per ascoltare non
l'edizione di riferimento, ossia quella approntata per Parigi nel 1906, ma la
versione messa in scena a Brescia nel 1904, pochi mesi dopo l'insuccesso
dell'opera alla Scala. È una versione crudele con un Pinketon razzista e una
Ciò Ciò San convinta di doverlo accontentare al meglio perché è costata «ben
cento yen» all'americano.
Mentre nell'edizione milanese, ripresa
solo a Boston in tempi recenti, Pinkerton non si pente per i guai che combina,
in quella bresciana (vista, negli ultimi trent'anni, solo a Venezia e Verona),
al termine lo yankee esprime rimorso nell'aria Addio fiorito asil.
In secondo luogo viene ripreso il semplice ed elegante
apparato scenico del compianto Beni Montresor (quando l'economia riscopre la
raffinatezza!) e la regia è affidata a Daniela Dessì, anche protagonista dell'opera,
un'artista che ha attraversato tutta la carriera da soprano di coloratura a
soprano «spesso» drammatico e, da regista, dà un tocco femminile alla tragedia
della bambina (Ciò Ciò San ha 15 anni) venduta a uno yankee vagabondo in cerca
di avventure erotiche. Fabio Armilliato non è tanto trucido come dovrebbe
essere «quel diavolo di un Pinkerton» nella Butterfly del 1904. Buon console
quello di Stefano Antonucci. (riproduzione riservata)
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