«Difendo il
Cnel, ma serve un cambiamento per stare al passo con i nuovi tempi»
GIUSEPPE PENNISI
Da un canto, c’è un ampio arco politico che chiede l’abolizione del Cnel. Da un altro, un gruppo di economisti italiani residenti negli Usa ne ha proposto il rafforzamento perché divenga strumento di analisi, preparazione e valutazione di politiche economiche e sociali con un contributo delle parti sociali. Ne sono componente nella piccola pattuglia di esperti scelti direttamente dal Capo dello Stato. Condivido pienamente le proposte redatte dal collega Tiziano Treu. Condivido, però, anche buona parte delle considerazioni del collega Gian Paolo Gualaccini, entrambe riassunte da Avvenire. Da tempo, alcune categorie considerano il Cnel non per il lavoro di alta qualità tecnica e politica assegnato all’organo dalla Costituzione, ma come strumento per dare una 'pensione integrativa' a loro esponenti spesso in quiescenza o ad essa vicini. Dalla documentazione sul sito del Cnel si vede chiaramente chi elabora documenti e partecipa attivamente ai lavori delle Commissioni, facendo analisi e ricerche e andando a Villa Lubin due-tre giorni la settimana, e chi appare solo saltuariamente alle Assemblee mensili.
Basta scorrere i verbali per sapere chi contribuisce con elaborati e analisi e chi con chiacchiere da bar o tirate tribunizie. Chi non partecipa mai dovrebbe avere il pudore di dare le dimissioni. Chi chiede frequentemente il supporto di consulenti perché poco avvezzo a tematiche che richiedono 'basi' tecniche, dovrebbe avere il buon senso di farsi da parte.
Un Cnel ben funzionante sarebbe il luogo ideale per preparare programmi e misure in materia economico- sociale o per dare pareri a governo e parlamento in queste materie. Per queste ragioni esistono 72 enti simili al mondo e il numero sta crescendo. Quello francese ha 220 componenti e si riunisce tre volte la settimana. Il Cnel deve cambiare perché il mondo è cambiato nella direzione indicata, con preveggenza, da John Maynard Keynes in una conferenza che fece a Madrid nel 1930. Keynes affermava che nei Paesi 'avanzati', prima della fine del secolo scorso, il lavoro salariato e il sindacalismo (che considerava un fenomeno temporaneo) avrebbero subito una drastica riduzione, mentre sarebbe cresciuto il lavoro autonomo, il lavoro professionale, il lavoro semi-volontario. In Italia, questo processo è avvenuto ma la maggior parte degli iscritti alle tre maggiori organizzazioni sindacali sono pensionati, i quali, naturalmente, guardano più al passato che all’avvenire. Inoltre, programmi e misure di politica economica e sociale hanno un forte contenuto tecnico. Ciò spiega le riforme attuate in altri Paesi dove gli 'esperti' di 'chiara fama' e 'di riconosciuta indipendenza' sono in proporzione maggiore rispetto a quella nel nostro Cnel e dove è stato attuato un 'ribilanciamento' anche tra le varie categorie di lavoratori. Infine, le categorie che 'indicano' i consiglieri dovrebbero privilegiare persone con forte caratura o in diritto o in economia o in sociologia. Evitando chi confonde tasso d’attualizzazione con tasso d’interesse (come pure è accaduto).
Un Cnel siffatto potrebbe fare 'in casa' le analisi con il supporto del personale del Segretariato e dovrebbe ricorrere meno a consulenti esterni. Si risparmierebbe e ne guadagnerebbero tutti.
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