Sui debiti
sovrani c’è un piano B
GIUSEPPE PENNISI
Un 'Piano B' per i debiti sovrani esiste. Ed è urgente che se ne parli, poiché il fragile accordo sull’unione bancaria raggiunto tra i governi a metà dicembre sta naufragando per la netta opposizione del Parlamento europeo. Ma di questo piano si discute solamente in riunioni semi-carbonare. Come mai?
Presumibilmente perché non piace alla cosiddetta eurocrazia (cioè alla Commissione europea e alla Banca centrale europea) perché le toglierebbe il negoziato dalle mani per spostarlo altrove. Questo piano B è descritto in un documento di 46 pagine elaborato dal Centre for International Governance Innovation, un 'pensatoio' non profit canadese. Contiene molto proposte non molto differenti da quelle formulate dall’Italia, a proposito del debito dei Paesi in via di sviluppo, all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ed approvate all’unanimità il 30 ottobre 1990. Il solo elemento innovativo è la creazione di un 'Foro' informale per facilitare la gestione di negoziati sul debito sovrano tra Stati indebitati e creditori anche privati. A metà gennaio è stato discusso al Fondo monetario e sono in corso incontri riservati in vari Paesi. Il documento parte dall’assunto che il problema può essere risolto solamente tramite ristrutturazioni del debito; altrimenti, cure energiche di austerità possono portare alla morte del debitore, con danni anche per i creditori. Come evitare che ciò avvenga senza che al più piccolo bisbiglio di accordi di ristrutturazione si scateni la speculazione? Le proposte sono di due categorie. Da un lato misure preventive (controlli rigorosi del Fondo monetario sui limiti all’indebitamento, garanzie multilaterali per debiti che non superino i ’tetti’ predeterminati) dall’altro terapie basate su obbligazioni internazionali convertibili che pongano un nesso tra servizio del debito e politiche economiche, 'rifinanziamenti automatici' per gli Stati che puntino a ridurre il debito, leggera modifica dei criteri Fmi per permettere prestiti diretti a ridurre il debito, rafforzamento delle 'clausole di azione collettiva' per mettere tutti i creditori sullo stesso piano.
Secondo fonti europee, queste proposte non si addicono all’eurozona poiché l’unione monetaria deve mirare alla 'condivisione del rischio'. Non solo: l’uscita dell’Irlanda dal piano di salvataggio proverebbe che le ricette europee funzionano. La 'condivisione del rischio', però, è ancora un miraggio. Il successo dell’Irlanda, poi, dipende in gran misura dal fatto che l’andamento della piccola economia irlandese è legata più al ciclo economico americano che a quello europeo.
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nico.
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