martedì 4 febbraio 2014

Sui debiti sovrani c’è un piano B in Avvenire 5 febbraio



Sui debiti sovrani c’è un piano B


GIUSEPPE PENNISI
U
n 'Piano B' per i debiti so­vrani esiste. Ed è urgente che se ne parli, poiché il fragile accordo sull’unione bancaria rag­giunto tra i governi a metà dicem­bre sta naufragando per la netta op­posizione del Parlamento europeo. Ma di questo piano si discute sola­mente in riunioni semi-carbonare. Come mai?

Presumibilmente perché non pia­ce alla cosiddetta eurocrazia (cioè alla Commissione europea e alla Banca centrale europea) perché le toglierebbe il negoziato dalle mani per spostarlo altrove. Questo piano B è descritto in un documento di 46 pagine elaborato dal Centre for In­ternational Governance Innova­tion, un 'pensatoio' non profit ca­nadese. Contiene molto proposte non molto differenti da quelle for­mulate dall’Italia, a proposito del debito dei Paesi in via di sviluppo, all’Assemblea Generale delle Na­zioni Unite ed approvate all’unani­mità il 30 ottobre 1990. Il solo ele­mento innovativo è la creazione di un 'Foro' informale per facilitare la gestione di negoziati sul debito sovrano tra Stati indebitati e credi­tori anche privati. A metà gennaio è stato discusso al Fondo moneta­rio e sono in corso incontri riserva­ti in vari Paesi. Il documento parte dall’assunto che il problema può essere risolto sola­mente tramite ristrutturazioni del debito; altrimenti, cure energiche di austerità possono portare alla morte del debitore, con danni an­che per i creditori. Come evitare che ciò avvenga senza che al più picco­lo bisbiglio di accordi di ristruttu­razione si scateni la speculazione? Le proposte sono di due categorie. Da un lato misure preventive (con­trolli rigorosi del Fondo monetario sui limiti all’indebitamento, garan­zie multilaterali per debiti che non superino i ’tetti’ predeterminati) dall’altro terapie basate su obbliga­zioni internazionali convertibili che pongano un nesso tra servizio del debito e politiche economiche, 'ri­finanziamenti automatici' per gli Stati che puntino a ridurre il debi­to, leggera modifica dei criteri Fmi per permettere prestiti diretti a ri­durre il debito, rafforzamento del­le 'clausole di azione collettiva' per mettere tutti i creditori sullo stesso piano.

Secondo fonti europee, queste pro­poste non si addicono all’eurozona poiché l’unione monetaria deve mi­rare alla 'condivisione del rischio'. Non solo: l’uscita dell’Irlanda dal piano di salvataggio proverebbe che le ricette europee funzionano. La 'condivisione del rischio', però, è ancora un miraggio. Il successo del­l’Irlanda, poi, dipende in gran mi­sura dal fatto che l’andamento del­la piccola economia irlandese è le­gata più al ciclo economico ameri­cano che a quello europeo.

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nico. 

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