OPERA/
Aspettando "Manon Lescaut": il primo successo di Giacomo Puccini
Pubblicazione:
martedì 18 febbraio 2014
Un bozzetto
della messa in scena
NEWS ROMA
Dopo
oltre un lustro il Teatro dell’Opera di Roma ripropone Manon Lescaut, primo
grande successo di Giacomo Puccini , in un’edizione con Riccardo Muti sul
podio, sua figlia Chiara nella cabina di regia, e Anna Netrebko (per la prima
volta sul palcoscenico della capitale) nel ruolo di protagonista e Eyvazov (che
abbiamo ammirato a Ravenna lo scorso novembre nel ruolo di Otello) come suo
deuteragonista.
Da
quando il primo febbraio 1893 venne messa in scena, Manon Lescaut è una delle
opere più rappresentate del compositore lucchese. Chiude l’epoca in cui
dominava il melodramma verdiano e anticipa il Novecento storico, il cui inizio
(in Italia) viene convenzionalmente legato alla prima di Tosca a Roma il 14
gennaio 1900. E’ opera analizzata per oltre un secolo da musicologi ed amata
dal pubblico di tutti i Continenti (ne vidi un’edizione in Corea negli Anni
Settanta e mi sono stati raccontati allestimenti in un cinema-teatro in Africa
a sud del Sahara). Nel 2006 in Italia ci sono stati ben quattro allestimenti:
uno, di taglio economico e facilmente trasferibile da un palcoscenico
all’altro, ha preso l’avvio da Trieste per toccare Bolzano, Lucca, Ravenna,
Livorno. Un secondo ha inaugurato la stagione del Regio di Parma in quanto
fulcro di quella che sarebbe dovuta essere quella Fondazione “Parma capitale
europea della musica” (ma non è mai nata); il terzo è stato a Torino in
parallelo con le olimpiadi. Cagliari ha riprese l’allestimento della Deutsche
Oper.
Quali
i tratti salienti da ricordare in occasione dell’allestimento che sarà a Roma
dal 27 febbraio all’8 marzo?
In
primo luogo, è errato (come ancora fanno molti) considerarla, sotto il profilo
drammaturgico, l’interpretazione più fedele del romanzo L’Histoire du
Chevalier Des Grieux et de Manon Lescaut dell’Abbate Antoine- François
Prévost di quano non siano altre Manon. Il romanzo, in gran misura
autobiografico, è imperniato sul protagonista maschile che Prévost non esita a
mostrare come un gaglioffo tormentato, ma pur sempre corrotto (oltre che
corruttore) e sgradevole. Nulla di simile al tenero giovincello innamorato di
Jules Massenet o allo studente sensuale e passionale di Puccini. In effetti –
tralasciando l’opéra-comique di Daniel Auber ed altre versioni minori – occorre
aspettare il 1950 (o giù di lì) perché con il Boulevard Solitude di Hans Werner
Henze si ritrovino – trasportati nella Francia della prostituzione e della
droga degli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale – i
personaggi ed il clima di Prévost. Anche se sulla scena, non ci sono
riferimenti ai più espliciti aspetti sessuali del romanzo settecentesco. Con
una qualifica: come molti scrittori libertini (tra cui lo stesso Marchese De
Sade), l’Abbate aveva non solo un vero senso di colpa ma anche intenzioni
moralistiche (ambedue distinte e distanti dall’opera di Henze, come, peraltro,
da quelle di Puccini, Massenet e Auber) tanto che eros e sesso non venivano
vissuti in modo gioioso. Puccini (e la vera e propria squadra di
librettisti che lavorarono con lui) leggono l’intreccio come una vicenda di
eros e passione. Qui l’importante novità: la passione aveva un posto
privilegiato nel melodramma verdiano (si pensi al duetto carnale del secondo
atto di Un ballo in maschera), ma per gran parte dell’Ottocento, l’eros
era di fatto bandito dal teatro in musica italiano (ma non da quello francese e
tedesco). Nel melodramma italiano era giunto a conclusione con La Favorite
di Gaetano Donizetti, nell’opera comica con Le Conte Ory di Giaocchino
Rossini. Con Manot Lescaut torna prepotentemente in scena , proprio in
quella Torino che non più capitale del Regno era alla ricerca della propria
identità ed aveva, tutto sommato, un’anima bigotta.
In
secondo luogo, l’eros è nella scrittura orchestrale e vocale più che nel
libretto. Come in La Favorite il personaggio maggiormente avvinto
dall’eros è il protagonista maschile, per il quale Puccini introduce una
vocalità nuova: respinge virtuosismi e dolcezza, sceglie una linea sobria ,
puntando tutto la zona centrale dove il canto raggiunge la maggior intensità
sensuale. Nell’Ottocento, questa era stata una caratteristica di alcuni tenori
wagneriani (Siegfried nell’opera eponima, Walter von Stolzing ne I maestri
cantori) . Con il Des Grieux di Manon Lescaut si apre la strada, in Italia,
ai personaggi costruiti sulla sensualità virile – si pensi a quelli concepiti
per Enrico Caruso. Più sfumato l’eros della protagonista che, per esplodere,
necessita del grande duetto del secondo atto. La parte è scritta per un soprano
lirico puro e tale è stata interpretata sino agli Anni Sessanta (si pensi a
come il ruolo veniva cantato da Clara Petrella e da Virginia Zeani); nel 1984,
Giuseppe Sinopoli scelte un soprano lirico puro (Mirella Freni) per
un’importante edizione discografica.
In tempi più recenti, in gran misura in seguito alla
interpretazione di Maria Callas della caloratura da lei data all’aria del
secondo atto (In quelle trine morbide), oltre che dal colore bruno da
lei dato al duetto sempre del secondo atto (Tu , amore? Tu?) e al
finale “Sola, perduta, abbandonata), si è favorita una tinta a volte
più scura, sino al soprano drammatico di agilità – è stato per lustri il ruolo
preferito da Renata Scotto al Metropolitan. Ricordo, nella seconda metà degli
Anna Settanta, Renata Scotto dirmi che preferiva il personaggio di Puccini a
quello di Massenet perché era più passionale; all’epoca la Signora Scotto
(sempre una grande dame non utilizzava il termine eros ma
era ciò che intendeva. Ancorato in gran misurata al baritono verdiano è
Lescaut. E tale il basso brillante Geronte de Ravoir.
In terzo luogo, la funzione dell’orchestrazione. In Manon Lescaut ,
l’orchestra non è essenzialmente di supporto al canto (ed all’azione scenica)
come nel melodramma verdiano. Ha assorbito, in parte, la lezione wagneriana del
sinfonismo continuo nel golfo mistico. Quindi, l’organico si è ampliato ed
arricchito e ci sono momenti (l’intermezzo) in cui la ‘musica a
programma’, ossia il poema sinfonico, vengono inclusi nel gioco scenico. Inizia
quel processo di orchestrazione opulenta (ed impervia) in cui la partitura è
frastagliata e frammentata ma si ricompone di continuo in nuove unità – un
processo che avrà, in Puccini, in suo apogeo in La Fanciulla del
West ma a cui stava lavorando, in parallelo, in una piccola città
provinciale di Moravia (priva di un vero e proprio teatro , nonché di una sala
da concerto) Léos Janaceck. Manon Lescaut appartiene al Novecento
storico per l’orchestrazione (che nelle esecuzioni e nelle recensioni riceve,
spesso, poca attenzione) quasi più che per la vocalità. Se nelle voci si apre
con un sublime “chiacchierar cantando” (quanto dovette imparare Richard Strauss
da Manon Lescaut!) e si giunge ai turgidi “la” del duetto delle frenesia
erotica del secondo atto, in orchestra, il grande organico si deve cimentare
con una scrittura frammentata, spezzata e ricostruita.
© Riproduzione Riservata.
ASPETTANDO ‘MANON LESCAUT’
Giuseppe
Pennisi
Dopo oltre un
lustro il Teatro dell’Opera di Roma ripropone Manon Lescaut, primo grande successo di Giacomo Puccini , in
un’edizione con Riccardo Muti sul podio, sua figlia Chiara nella cabina di
regia, e Anna Netrebko (per la prima volta sul palcoscenico della capitale) nel
ruolo di protagonista e Yusif
Eyvazov (che abbiamo ammirato a Ravenna lo scorso novembre nel ruolo di Otello)
come suo deuteragonista.
Da quando il primo
febbraio 1893 venne messa in scena, . Manon
Lescaut è una delle opere più rappresentate del compositore lucchese.
Chiude l’epoca in cui dominava il melodramma verdiano ed anticipa il Novecento
storico, il cui inizio (in Italia) viene
convenzionalmente legato alla prima di Tosca
a Roma il 14 gennaio 1900. E’ opera analizzata per oltre un secolo da
musicologi ed amata dal pubblico di tutti i Continenti (ne vidi un’edizione in
Corea negli Anni Settanta e mi sono stati raccontati allestimenti in un
cinema-teatro in Africa a sud del Sahara). Nel 2006 scorso in Italia ci sono
stati ben quattro allestimenti: uno , di taglio economico e facilmente
trasferibile da un palcoscenico all’altro, ha preso l’avvio da Trieste per
toccare Bolzano, Lucca, Ravenna, Livorno. Un secondo ha inaugurato la stagione
del Regio di Parma in quanto fulcro di quella che sarebbe dovuta essere quella
Fondazione “Parma capitale europea della musica” (ma non è mai nata); il terzo
è stato a Torino in parallelo con le olimpiadi. Cagliari ha riprese
l’allestimento della Deutsche Oper.
Quali
i tratti salienti da ricordare in occasione dell’allestimento che sarà a Roma dal
27 febbraio all’8 marzo?
In primo luogo, è errato (come ancora fanno
molti) considerarla, sotto il profilo drammaturgico, l’ interpretazione più
fedele del romanzo L’Histoire du
Chevalier Des Grieux et de Manon Lescaut dell’Abbate Antoine- François
Prévost di quano non siano altre Manon.
Il romanzo , in gran misura, autobiografico è imperniato sul protagonista
maschile che Prévost non esita a mostrare come un gaglioffo tormentato, ma pur
sempre corrotto (oltre che corruttore) e sgradevole. Nulla di simile al tenero
giovincello innamorato di Jules Massenet o allo studente sensuale e passionale
di Puccini. In effetti – tralasciando l’opéra-comique di Daniel Auber ed altre
versioni minori – occorre aspettare il 1950 (o giù di lì) perché con il Boulevard Solitude di Hans Werner Henze
si ritrovino – trasportati nella Francia della prostituzione e della droga
degli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale – i
personaggi ed il clima di Prévost. Anche se sulla scena, non ci sono
riferimenti ai più espliciti aspetti sessuali del romanzo settecentesco. Con
una qualifica: come molti scrittori libertini (tra cui lo stesso Marchese De
Sade), l’Abbate aveva non solo un vero senso di colpa ma anche intenzioni
moralistiche (ambedue distinte e distanti dall’opera di Henze, come, peraltro,
da quelle di Puccini, Massenet e Auber) tanto che eros e sesso non venivano
vissuti in modo gioioso. Puccini ( e la
vera e propria squadra di librettisti che lavorarono con lui) leggono
l’intreccio come una vicenda di eros e passione. Qui l’importante novità: la
passione aveva un posto privilegiato nel melodramma verdiano (si pensi al
duetto carnale del secondo atto di Un
ballo in maschera), ma per gran parte dell’Ottocento, l’eros era di fatto
bandito dal teatro in musica italiano (ma non da quello francese e tedesco).
Nel melodramma italiano era giunto a conclusione con La
Favorite di Gaetano Donizetti, nell’opera comica con Le Conte Ory di Giaocchino Rossini. Con Manot Lescaut torna prepotentemente in
scena , proprio in quella Torino che non più capitale del Regno era alla
ricerca della propria identità ed aveva, tutto sommato, un’anima bigotta.
In
secondo luogo, l’eros è nella scrittura orchestrale e vocale più che nel
libretto. Come in La Favorite il personaggio maggiormente avvinto
dall’eros è il protagonista maschile, per il quale Puccini introduce una
vocalità nuova: respinge virtuosismi e dolcezza, sceglie una linea sobria ,
puntando tutto la zona centrale dove il canto raggiunge la maggior intensità
sensuale. Nell’Ottocento, questa era stata una caratteristica di alcuni tenori
wagneriani (Siegfried nell’opera eponima, Walter von Stolzing ne I maestri cantori) . Con il Des Grieux
di Manon Lescaut si apre la strada,
in Italia, ai personaggi costruiti sulla sensualità virile – si pensi a quelli
concepiti per Enrico Caruso. Più sfumato l’eros della protagonista che, per
esplodere, necessita del grande duetto del secondo atto. La parte è scritta per
un soprano lirico puro e tale è stata interpretata sino agli Anni Sessanta (si
pensi a come il ruolo veniva cantato da Clara Petrella e da Virginia Zeani);
nel 1984, Giuseppe Sinopoli scelte un soprano lirico puro (Mirella Freni) per
un’importante edizione discografica. In tempi più recenti, in gran misura in
seguito alla interpretazione di Maria Callas della caloratura da lei data
all’aria del secondo atto (In quelle
trine morbide), oltre che dal colore bruno da lei dato al duetto sempre del
secondo atto (Tu , amore? Tu?) e al
finale “Sola, perduta, abbandonata),
si è favorita una tinta a volte più scura, sino al soprano drammatico di
agilità – è stato per lustri il ruolo preferito da Renata Scotto al
Metropolitan. Ricordo, nella seconda metà degli Anna Settanta, Renata Scotto
dirmi che preferiva il personaggio di Puccini a quello di Massenet perché era
più passionale; all’epoca la Signora Scotto (sempre una grande dame non utilizzava il termine eros ma era ciò che
intendeva. Ancorato in gran misurata al baritono verdiano è Lescaut. E tale il
basso brillante Geronte de Ravoir.
In
terzo luogo, la funzione dell’orchestrazione. In Manon Lescaut , l’orchestra non è essenzialmente di supporto al
canto (ed all’azione scenica) come nel melodramma verdiano. Ha assorbito, in
parte, la lezione wagneriana del sinfonismo continuo nel golfo mistico. Quindi,
l’organico si è ampliato ed arricchito e ci sono momenti (l’intermezzo) in cui la ‘musica a programma’, ossia il poema
sinfonico, vengono inclusi nel gioco scenico. Inizia quel processo di
orchestrazione opulenta (ed impervia) in cui la partitura è frastagliata e
frammentata ma si ricompone di continuo in nuove unità – un processo che avrà,
in Puccini, in suo apogeo in La Fanciulla del West ma a cui stava lavorando, in
parallelo, in una piccola città provinciale di Moravia (priva di un vero e
proprio teatro , nonché di una sala da concerto) Léos Janaceck. Manon Lescaut appartiene al Novecento storico per l’orchestrazione (che nelle
esecuzioni e nelle recensioni riceve, spesso, poca attenzione) quasi più che
per la vocalità.
Se nelle voci si apre con un sublime “chiacchierar cantando” (quanto dovette
imparare Richard Strauss da Manon
Lescaut!) e si giunge ai turgidi “la” del duetto delle frenesia erotica del
secondo atto, in orchestra, il grande organico si deve cimentare con una
scrittura frammentata, spezzata e ricostruita .
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