Il 7 novembre, a Bruxelles, su iniziativa del Presidente di turno dell’Ue , i Capi di Stato e di Governo dell’Unione si incontreranno a Bruxelles, al Palazzo “Justus Lipsius" per una colazione di lavoro mirata a definire la posizione dell’Europa al G20 convocato dal Presidente Usa G.W. Bush per il 15 novembre nei pressi di Washington. Il G20 (a cui sono invitate anche le principali organizzazioni finanziarie internazionali) si propone, nel breve periodo, di formulare proposte su come alleviare l’attuale crisi finanziaria e facilitarne la conclusione (oltre che diminuirne gli effetti e gli impatti sull’economia reale) e, nel medio e lungo periodo, iniziare un percorso per ridisegnare regole (ed organizzazioni) per il buon funzionamento dell’economia e della finanza. Il G20 di metà novembre è, dunque, l’inizio di un processo che potrà essere centrale alla politica economica internazionale dei prossimi anni. C’è un aspetto non banale per Capi di Stato e sherpas: un processo non è una serie di “stadi” o “fasi”, ma un continuo in cui per ciascuna delle parti in causa si dischiudono (e si bruciano) “opzioni reali”, capacità, non obbligo, di svoltare in modo od in un altro. E’ ciò che avvenne nel periodo precedente la Conferenza di Bretton Woods (si riprenda il volume magistrale di Richard Gardner “The Sterling Dollar Diplomacy”, Oxford University Press, 1956) in cui della quarantacinquina di parti in causa, alla fine della strada, soltanto due (gli Usa ed il Regno Unito) restarono con, in mano, le carte per svoltare (in direzioni dapprima contrapposte ed infine convergenti).
Nei giorni che ci separano dalla colazione di lavoro a Bruxelles, e dal più impegnativo G20 nei dintorni di Washington, sta agli “sherpas” individuare le “finestre d’opportunità (tali sono le “opzioni reali”) quali si presentano adesso e quali potranno presentarsi man mano che il processo si sviluppa. In molti casi, alcune “opzioni” danno luogo ad altre “finestre d’opportunità” (ossia “opzioni reali composte”). Non si tratta di elucubrazioni teoriche per un manipolo di intellettuali ma dell’approccio seguito da lustri dal Dipartimento di Stato e dal Tesoro Usa, nonché dallo staff del Consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca.
Le principali “opzioni reali” da prendere in considerazione sono le seguenti:
a) opzione di differimento – ossia attendere di avere più informazioni (nel caso specifico che gli altri componenti del G20 aprano le loro carte e solo successivamente definire una propria posizione)
b) opzione di espansione – ossia presentare una proposta minimale, ma suscettibile di essere ampliata, in termine di nuove regole e di riassetto istituzionale per l’economia mondiale.
c) opzione di uscita o di abbandono – ossia non partecipare al G20 o farlo solo passivamente.
d) opzione di sospensione – ossia indurre il G20 a sospendere , per il momento, la propria attività sulla crisi finanziaria internazionale in attesa di ulteriori sviluppi e che altri soggetti (ad esempio, l’International Stability Forum) esprimano le proprie posizioni-
e) opzione di contrazione- ossia potere ridurre l’ambito del progetto specifico che l’Amministrazione Usa vorrebbe affidare al G20.
C’è, naturalmente, un’analogia con le “opzioni” dei mercati finanziari. Le prime due “opzioni” sono di tipo “call” in quanto si riferiscono alla facoltà di intraprendere più tardi la definizione della posizione europea. Le altra sono di tipo “put” in quanto si riferiscono alla facoltà di abbandonare, sospendere o ridimensionare il progetto. E’ verosimile che ciascun Stato membro dell’Ue abbia una gamma analoga di “opzione reali”. Inoltre, occorre valutare non solamente le “opzioni reali” positive (sia ì”call” che “put”) ma anche quelle “negative” (“liability options”) che (anche non volendolo) offrono ad altri soggetti del Gruppo. Dieci anni per non averlo fatto, l’Argentina regalò un”opzione reale” molto potente al proprio vicino, il Brasile, il quale, con la svalutazione, mise a soqquadro l’economia “dollarizzata” (cambio fisso, apertura piena dei mercati) del Cono sud-americano. Di recente, qualcosa di analogo si è verificato all’Ungheria: ha colto alcune “opzioni reali” che le danno dato rapida crescita ma anche offerto il fianco ad alto indebitamento ed emorragia (non solo fuga) di risorse alle prime tensioni sui mercati.
In effetti, l’analisi delle “opzioni reali” (che comporta la costruzione di scenari controfattuali in base alla gamma di “opzioni” scelte) può essere uno strumento molto utile per comprendere (in primo luogo) le proprie “finestre di opportunità” e per vedere (in secondo) come si intrecciano con quelle delle altre parti in causa. E giungere così alla definizione di una strategia robusta.
Per l’Ue a colazione a Bruxelles (si auspica un menu francese, più leggero di quelli della cucina belga, dove la doppia panna domina le vivande), la gamma di “opzioni reali” è resa complicata dal fatto che negli Usa sarà stato appena eletto un Presidente il cui programma (ed i cui collaboratori-chiave) verranno annunciati solo a metà gennaio, alla vigilia di “Inauguration Day” e del passaggio delle consegne (20 gennaio). Inoltre, non si conoscono neanche in prima approssimazione le posizioni di altri “pezzi da quaranta” del G20 (in particolare quelle della Cina- vedi “Libero Mercato” del primo novembre). Nei mercati finanziari, notte e nebbia vuol dire incertezza, il terreno su cui fioriscono le “opzioni”. Un processo analogo avviene per la politiche economiche, specialmente per quelle internazionali.
Ci sono, però, alcuni punti fermi:
a) In primo luogo – lo rileva acutamente “The Economist” del 1-8 Novembre- nonostante il gran parlare d’intervento pubblico per porre paratie alla crisi finanziaria e dare vitamine all’economia reale, nell’Ue i vincoli di risorse sono severissimi: sino ad ora in Francia, Germania, Italia e Spagna le misure annunciate riguardano essenzialmente una riallocazione di somme già impegnate a bilancio. Nessuno, in cuor proprio, vuole una modifica o re-interpretazione del “patto di stabilità” che lo renda ancora più flessibile di quanto definito con il protocollo del marzo 2005. Differente la posizione Usa: in un mondo ormai dominato da “opzioni”, finanziarie e reali, il perno del sistema monetario (e finanziario) è il disavanzo dei conti americani con il resto del mondo. Quindi, nonostante il deficit del bilancio federale e un debito privato ormai stratosferico (solo quello al consumo è pari al 130% del pil), Washington ha più ampio margine di manovra (come indicato dai programmi specifici che, al di là del “piano Paulson”, si stanno varando per alleviare il peso dei mutui sulle famiglie).
b) In secondo luogo, un’analisi di Bloomberg diramata nel fine settimana dimostra che nello scorso mese d’ottobre gli indici di volatilità dei maggiori mercati finanziari hanno mostrato una convergenza mai rilevata dal 2003. Ciò suggerisce un’integrazione delle piazze superiore alle stime correnti, anche di quelle pubblicate di recente da Gary Gorton nel Yale ICF Working Paper n. 08-25. Da cui, il suggerimento di definire una strategia di “opzioni” in cui non si pensi di potere scaricare eventuali costi sugli altri: il rimbalzo è assicurato. Con mira migliore di quella dei tiratori di “boomerang”.
c) In terzo luogo, occorre evitare quella che Robert Hahn (Brookings Institution) e Peter Passell (Milken Institute) chiamano “the rush to re-regulate” , la fretta a scrivere nuove regole e nuovi assetti organizzativi, nel Reg Market Center Related Publication 08-06. La “re-regolazione” può avere conseguenze inattese, specialmente aumentare il potere di gruppi d’interesse ben organizzati, e ridurre l’accesso (a capitale ed a liquidità) agli altri.
Torniamo alle “opzioni”. In tali condizioni, può sembrare più promettente una strategia “call” di una “put”. Sarebbe forte la tentazione di adottare un’“opzione di differimento” (aspettare che si sappia di più sulla strategia Usa). Sarebbe, a mio avviso, un errore: l’Europa ha riacquistato leadership negli ultimi mesi; con un’”opzione di differimento” si porrebbe di nuovo a rimorchio del carro americano e la perderebbe. Preferibile, a mio parere, un’”opzione di espansione” – definire, alla colazione del 7 novembre, o comunque prima del G20, una piattaforma europea minima da articolare più compiutamente man mano che il quadro si precisa.
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