La settimana appena iniziata ci dirà se il G20 ha raggiunto il proprio scopo immediato: “tenere alto il morale delle truppe” e frenare ulteriori crolli dei mercati e rallentamenti (maggiori di quanto già previsto) dell’economia reale. Entro la fine dell’anno potremo dire se il G20 ha centrato il suo obiettivo di breve periodo: impedire il ritorno (alla grande) del protezionismo e la dichiarazione di morte della Doha development agenda (Dda), il negoziato multilaterale sugli scambi in corso, in sono all’Organizzazione mondiale del commercio(Omc/Wto); dal novembre 2001. Non prima della primavera prossima, potremo cominciare ad intravedere se l’Amministrazione americana (guidata da Barack Omaba) è in grado di portare avanti con successo il gioco su due tavoli (la Washington-che-può parla ironicamente di “doppio gioco”) essenziale per mantenere gli aspetti centrali delle promesse a medio e lungo termine formulate nel comunicato del G20 del 15 novembre.
Spieghiamo perché. L’America è, oggi come prima, il perno del sistema economico internazionale: la crisi finanziaria è nata negli Stati Uniti (anche se, come vedremo. ha origini più lontane),si sta propagando nel resto del mondo e, quindi, è dagli Usa che deve trovare soluzione. La soluzione, però, ha un doppio volto: da un lato (o se vogliamo su un tavolo), la Casa Bianca deve individuarla (ed attuarla) con l’Asia (al fine di stroncare le radici di crisi analoghe); da un altro (il secolo tavolo) deve lavorare con l’Europa per definire una nuova architettura istituzionale e nuove regole. La crisi “subprime” (chiamiamola così per semplificare) ha le proprie origini in Asia, ma è con l’Ue che gli Usa condividono, da oltre 60 anni, cultura ed esperienze per la costruzione e l’applicazione di architetture e regole per la finanza e l’economia mondiale. Il gioco è difficile proprio perché doppio.
Le radici asiatiche della crisi sono illustrate molto efficamente da Martin Wolf, a lungo mio amico e collega in Banca mondiale e da anni alla guida degli editorialisti del “Financial Times”, nel libro “Fixing Global Finance: How to Curb Financial Crises in the 21st Century” (Johns Hopkins University Press). L’America (ed il resto del mondo) sono finiti nella trappola del “subprime” a ragione della “crisi asiatica” di 12 anni fa. Da un verso, scottati dagli squilibri di breve periodo (alla base dell’instabilità, prevalentemente nel bacino del Pacifico, del 1996-98 ), i Paesi asiatici interessati hanno condotto politiche mirate ad accumulare avanzi della bilancia dei pagamenti (per tutelarsi da nuove tensioni) ; gli Usa erano ben lieti di dare loro una mano (portando il proprio disavanzo con l’estero annua al 6-7% del pil ed espandendo oltre misura il proprio debito con il resto del mondo). Parte dei surplus asiatici tornavano negli Usa, dove, in aggiunta, la politica della moneta era espansionista e quella di bilancio in squilibrio a ragione, tra l’altro, degli impegni per la sicurezza nazionale. E’ in questa euforia che hanno avuto origine gli eccessi (tra cui il “subprime” nelle sue varie forme e guise). Nel tavolo Usa-Asia , dunque, la partita deve mirare ad un accordo sulla riduzione degli squilibri finanziari mondiali - un breve un “maxi-Plaza agreement” (realizzato quando il mondo era molto più semplice). Non è compito facile perché ciò vuole dire nuove politiche negli Usa ed in Asia ed anche perché un rallentamento in Oriente (inevitabile per giungere a nuovi equilibri) danneggia un’Ue la cui crescita dipende in gran misura dalla domanda estera.
Non è molto più semplice il tavolo Usa-Ue. Ci sono alcuni punti essenziali su cui nel futuro percorso verso il riassetto, una rinnovata partnership atlantica Usa-Ue può lavorare con profitto:
· La chiave della futura architettura finanziaria internazionale è la trasparenza- ciò che né Fmi, né Ocse, né l’Institute of International Finance né la moltitudine di altre istituzioni sono state in grado di assicurare in questi ultimi venti anni. La trasparenza deve riguardare specialmente due aspetti: la leva finanziaria ed il rischio. Se questi due nodi sono risolti quelli della finanza strutturata “tossica” si risolvono senza perdere i benefici della finanza strutturata in buona salute.
· La regolazione e la vigilanza devono restare dominio dei singoli Stati (anche se nell’Ue è pensabile un graduale spostamento a livello sopranazionale) , ma le autorità di regolazione e di vigilanza devono avere per quanto possibile un approccio comune al fine di non distorcere la concorrenza tra intermediari finanziari, di varia natura, forma e guisa e contenere (ove non sia possibile evitarlo) l’”arbitraggio regolatorio” (ossia la scelta di effettuare operazioni là dove la regolazione e la vigilanza sono più lasche), una brutta moda di questi ultimi anni. Ciò comporta in molti Stati (soprattutto negli Usa ma anche in Italia) una semplificazione dell’architettura nazionale di regolazione e di vigilanza .
· Una più rapida convergenza dei metodi, delle tecniche, delle procedure e delle prassi nazionali ed un loro maggior coordinamento allo scopo, non solo come si è detto di promuovere la convergenza, ma anche e soprattutto quello di contenere il contagio , in caso di crisi.
· Una risposta equilibrata alle fasi di instabilità, evitando di disseminare panico e di buttare via il bambino con l’acqua sporta. La “damnatio” lanciata contro i derivati (nati, lo ripetiamo, nell’antica Mesopotamia) minaccia di frenare non la finanza ma anche l’economia internazionale, con costi elevati per tutti.
· Gli intermediari finanziari devono, come qualsiasi altro settore produttivo, pagare per i propri eccessi soprattutto se coniugati con promesse (non mantenute) ai propri clienti e con lasche analisi di rischio su titoli più o meno strutturati e su investimenti.
· I Governi devono operarsi per evitare la trappola di una Bretton Woods all’incontrario in cui, con il pretesto del riassetto delle regole e delle prassi in materia finanziaria, torni il protezionismo commerciali nelle vesti e nelle maschere più inconsuete.
Ci sono, però, differenze anche profonde all’interno dell’Ue su molti di questi punti. Tanto l’accordo con l’Asia quanto quello con l’Europa comportano per Obama un rinvio (forse di diversi anni) di molti impegni di politica interna assunti in campagna elettorale.
Sotto il profilo tecnico, “la teoria dei giochi” può aiutare a risolvere i giochi multipli (su più tavoli). Sempre, però, che si sia pronti ad accantonare puntate fatte con i partner che più conta: il proprio elettorato.
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