La crisi finanziaria ha prosciugato il “private equity” e bloccato i processi di privatizzazione in corso in molti Paesi. Inoltre, ha innescato una nuova ondata d’intervento pubblico, con varie forme di nazionalizzazioni, a volte anche totale, pure in Paesi, come gli Stati Uniti. Pochi che hanno notato che, in questo quadro, l’Italia sta andando controcorrente. Non solamente a ragione dei capitali coraggiosi della Cai con cui si sta portando a termine quella privatizzazione dell’Alitalia impostata in modo tra il parapsicologico e l’inconcludente dal Governo Prodi E’ iniziato l’ultimo atto di una denazionalizzazione tanto importante quanto poco notata (da gran parte della stampa e dall’opinione pubblica). Proprio nella Roma dipinta, nella vulgata, come il Forte Apache dello statalismo.
Si tratta della privatizzazione di Cinecittà Studios, s.p.a., il cui capitale sociale è 35 milione di euro. La procedura è stata iniziata dalla capogruppo, Cinecittà Holding, una s.p.a. a intero capitale pubblico che controlla, oltre agli studi, anche altri aspetti della cinematografia, con una richiesta di manifestazione d’interesse per pacchetti d’azioni dell’impresa. La denazionalizzazione è parte di un progetto più ampio con la creazione di un Centro Nazionale per la Cinematografia dove concentrare le attività a carattere non commerciale (cineteca nazionale, centro sperimentale) del settore. Lo Stato si disimpegnerebbe da quelle chiaramente industriali, pure da quella Cinecittà il cui nome è un’icona per la storia dell’arte cinematografica non solo in Italia ma nel mondo. Ora Cinecittà, o più precisamente i suoi studi cinematografici, dovranno competere sul mercato internazionale. Potranno fruire come unico incentivo di sgravi tributari approvati con la finanziaria 2008 ed assolutamente in linea con la normativa europea. Molti imprenditori del campo sono pronti a rispondere positivamente all’invito ed a manifestare il proprio interesse; si parla, tra i potenziali concorrenti, dei Gruppi Abete e Della Valle , Aurelio De Laurentis e Haggiag.
Non è questa la sede per entrare negli aspetti tecnici della privatizzazione. Sono importanti le dimensioni di politica economica, tenendo presente il vecchio detto in cui si comprende meglio un bosco studiandone un albero che ammirandone una foto digitale presa da un elicottero. La privatizzazione di Cinecittà Studios in una fase di grave crisi internazionale vuol dire che la politica economica italiana riesce a tenere la barra ritta: evitare di trasgredire le regole europee ma portare avanti il programma di liberalizzazioni a cui il Governo si è impegnato di fronte agli elettori. E’ anche prova di vitalità dell’industria della creatività (di cui il cinema è un comparto importante), spesso data per morta e seppellita oppure con le mani tese alla ricerca dell’obolo dei contribuenti. E’ una buona notizia. I giornali servono anche per dare buone notizie e commentarle.
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