Ancora una volta, l’approssimarsi di Sant’Ambrogio è stato accompagnato dalla minaccia di uno sciopero alla Scala. L’anno scorso furono molteplici sigle a scendere in campo ed a chiedere a gran voce una modifica della normativa (che consentiva aumenti salariali nella contrattazione integrativa solamente a condizione che i conti del teatro potessero sostenerli); il Ministro Rutelli firmò, a nome del Governo Prodi, la resa incondizionata. Una delle conseguenze fu un’ondata di scioperi in altre fondazioni liriche (anche in quelle con i bilanci in profondo rosso) che chiedevano un trattamento analogo a quanto concesso alle maestranze della Scala. Ciò ha comportato grandi difficoltà per fondazioni (ad esempio, quella del Teatro Massimo di Palermo sulla via del risanamento, con rigore e soluzione finanziarie inventive -la guida un economista). Per questo motivo, le nuove agitazioni (che mettono in dubbio la messa in scena del “Don Carlo” la sera del 7 dicembre) hanno rilievo nazionale e non locale.
Le proposte nascono da una piccola sigla , la Fials, che ha una trentina di iscritti ed il cui leader Sandro Malatesta (una tromba in pensione della Scala) si vanta di avere dato il congedo a Muti ed avere bloccato numerose serate. Malatesta , entrato nella banda della Scala e successivamente promosso a componente dell’orchestra, è un abile giocatore : sa che un teatro è come una compagnia area od un’astronave in cui tutte le parti, anche le più piccole, devono funzionare all’unisono; conosce il potere delle minoranze meglio di Ghino di Tacco; nonostante sia in pensione e i leader di altre sigle affermino (a ragione od a torto ) che la sua attuale carica sindacale sia incompatibile con il fatto di essere coniugato con una cantante lirica (pure scritturata dalla Scala per alcune rappresentazioni), non ha alcuna intenzione di ammorbidire la propria posizione (un vasto numero di rivendicazioni su questo o quello aspetto contrattuale) nella convinzione che altri lo seguiranno. In effetti, dal 26 novembre, protesta pure il balletto.
Gli scioperi – lo sappiamo- aggravano la crisi della lirica che nella sua Patria d’origine sta perdendo spettatori (spesso si va a teatro senza sapere se ci sarà spettacolo) , mentre aumentano nel resto d’Europa, in America e soprattutto in Asia.
Trattare il problema “Fials”-Malatesta (che bel nome donizettiano!!) come un caso milanese sarebbe gravissimo poiché, come si è detto, la soluzione (quale che essa sia) avrà ramificazioni sul resto di un settore in cui tre della 13 fondazioni liriche sono già commissariate (una quarta è molto vicina a sorte analoga) e lo stock di debiti supera i 300 milioni d’euro. Quindi, in primo luogo, il Governo deve evitare di replicare la resa incondizionata di chi lo ha preceduto e sostenere Milano ed il management della Scala in una linea di rigore. L’attuale Sovrintendente della Scala , Stéphane Lisser, ha dato prova di saperlo fare nel luglio 2003 a Aix-en-Provence di fronte alle proteste degli “intermittents”. Convocò assemblee di tutte le maestranze e fece precedere ogni spettacolo da un referendum: si riuscì a mettere in scena la prima del “Trittico Boulez” e di “Traviata”. Successivamente, si dovette sospendere il Festival in quanto gruppuscoli degli scioperanti era diventati violenti e minacciavano con spranghe di ferro il pubblico che andava a teatro e gli esercizi (bar, trattorie) nei pressi dei luoghi di spettacolo.
Quali le proposte operative? “Il Foglio” ha proposto di precettare la minoranza riottosa a ragione dell’alto contributo pubblico alla Scala. Non so, se sotto il profilo giuridico, ciò sia possibile dato lo status “privato” della fondazione. Sarebbe, in ogni caso, poco efficace: i precettati hanno in mano un’arma di vendetta molto potente – suonare male e mandare davvero all’aria l’esito dello spettacolo. Dal libro “Métro Chapelle” scritto dallo stesso Lissner (Parigi, NiL Editions) e dalle misure adottate nel 2003 a Aix-en-Provence, si può delineare una strategia:
· In primo luogo, giocare la carta del referendum, nella consapevolezza che potrebbe diventare un “boomerang” (se la tattica di Malatesta fa proseliti). In ogni caso, deve essere chiaro che nell’eventualità di sciopero, i contributi dei soci (pubblici e privati) saranno rivisti (al ribasso) per tenere conto del danno economico al Teatro, a Milano ed all’Italia tutta.
· Ove Malatesta la vinca su Lissner (come dice di avere fatto nei confronti di Muti) , si aprono tre strade in questo ordine di intensità di reazione: i) andare in scena con scene e costumi, ma con orchestra ridotta (organici ridotti erano consueti sino agli Anni 50); ii) andare in scena con accompagnamento unicamente di pianoforte (come fece Muti in un duello con Malatesta a proposito di “Traviata”); iii) seguire l’esempio di Rudolf Bing (mitico manager del Metropolitan di New York negli anni 60 e 70) che chiuse il teatro sino a quando le maestranze non si fossero messe d’accordo tra di loro su una piattaforma sindacale sostenibile.
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