martedì 4 novembre 2008

SUD, LA PARTNERSHIP TRA PUBBLICO E PRIVATO , Formiche Novembre

Una volta superata la crisi economica internazionale (che aggrava tutto), l’Italia non potrà rimettersi sulla corsia della crescita, se il Mezzogiorno non si mette sulla via dello sviluppo. Il pil pro-capite è ancora a meno del 58% di quello del Centro-Nord. L’occupazione femminile al mero 31% della relativa popolazione in età da lavoro. Quel poco di crescita verificatosi in questi ultimi anni è stato trainato dall’export (ora a rischio di rallentamento a ragione della situazione internazionale); il turismo, la creazione netta d’imprese e l’occupazione restano sostanzialmente stazionari. Un libro appena pubblicato documenta con ricchezza i costi di transazione connessi all’illegalità. Altri studi esplicitano quelli dei “costi di transazione politici” specialmente in termini di lentocrazia e dell’esigenza di utilizzare canali extra-istituzionali (ossia parentali-amicali) anche per i servizi del settore pubblico più dovuti, nonché per avere stimolato un ceto imprenditoriale (gli imprenditori della 488 e prima di allora della 44) in cerca di sussidi (e rendite) non di nuovi prodotti, nuovi processi e nuovi mercati.
Come rispondere? Una strategia con cui rispondere è quella di incoraggiare la partnership tra pubblico e privato nel settore in cui spesso più si annida il malaffare: quello delle opere pubbliche. Il servizio studi della Banca europea degli investimenti ha completato un’analisi che merita di essere meditata non tanto in Banca d’Italia (dove studi di questa natura trovano il maggior numero di lettori) quanto nei Ministeri dell’Economia e delle Finanze, dello Sviluppo Economico e delle Infrastrutture. E’, infatti, nonostante il lessico tecnico, ricca di lezioni operative.
In primo luogo, lo studio riguarda il periodo 1960-2005 – sui suoi risultati, dunque, l’eccezionalità del “miracolo economico” conta relativamente poco ma pesano molto più periodi meno entusiasmanti di quella che i giornalisti chiamano la Prima Repubblica. In secondo luogo, è un’analisi comparata che include 14 Paesi dell’Ue, il Canada, Giappone e Stati Uniti. In terzo luogo, utilizza una metodologia VAR (una tecnica econometrica per esaminare serie storiche da non confondere con VaR – Value at Risk una tecnica finanziaria per quantizzare valorizzazioni di titoli tenendo conto dell’elemento di rischio) sviluppata, in applicazioni operative, a partire dalla metà degli Anni 90.
Vediamo, in linguaggio non tecnico, quali sono le conclusioni principali dello studio e quali le implicazioni per l’Italia. Innanzitutto, nel lungo periodo di tempo considerato, l’investimento pubblico ha contratto quello privato (crowding-out) in Belgio, Irlanda, Canada, Regno Unito e Paesi Bassi. Ha invece dato un impulso attivo agli investimenti privati (crowding-.in ) in Austria, Danimarca, Germania, Grecia, Portogallo, Spagna e Svezia.
L’Italia è l’unico Paese per il quale, con i dati disponibili, non pare che l’investimento pubblico abbia spiazzato od attivato investimento privato. Un effetto “neutro”? Non esattamente. L’analisi entra anche nei tassi di rendimenti medi (tanto “parziali”, quindi del solo investimento pubblico, quanto “totali”, computando anche l’investimento privato attivato dalla mano pubblica). In Italia, Finlandia, Giappone e Svezia, i tassi di rendimento “parziali” dell’investimento pubblico sono negativi. Il quadro cambia se si guarda ai tassi di rendimento “totali”; il tasso dei rendimenti privati diventa più basso se associato generalmente in tutti i Paesi (la sola eccezione è la Francia) e diventa addirittura negativo in Austria, Finlandia, Grecia, Portogallo e Svezia. Questa seconda conclusione mette l’investimento pubblico in Italia in luce migliore di quanto non lo faccia la prima. Rivela soprattutto come la finanza di progetto (la cui normativa è stata di recente modificata e resa di più semplice applicazione) contribuisca alla produttività dell’investimento. Unitamente alla disciplina di mercato (connaturata alla funzione dell’imprenditore), contiene anche se non estirpa i fenomeni di malaffare. All’origine della bassa crescita.
Perché la partnership pubblico-privato dispieghi tutti i propri effetti, sono necessari altri tre elementi:
a) federalismo per dare vita ad una competizione tra territori sulla qualità dei servizi (forniti ai cittadini ed alle imprese) e dare così una spinta al cambiamento. Competere viene dal latino “cum petere”, cercare insieme. Unicamente gareggiando positivamente tra loro, nonché con il resto d’Italia e del mondo, i territori, peraltro molto variegati, del Mezzogiorno, potranno trovare lo slancio per ridurre il distacco con le altre aree del Paese.
b) attuare rigorosamente gli “obiettivi di servizio” definiti con la Commissione Europea nella programmazione per il periodo 2007-2013 (in termini di competenze degli studenti, tasso di frequenza della scuola d’infanzia, raccolta differenziata di rifiuti, e via discorrendo) . Il programma prevede premi e sanzioni proprio per accentuare il “cum petere”.
c) liberalizzare i mercati, iniziando da quelli direttamente sotto il controllo della politica (i servizi pubblici locali) e dando enfasi a quelli dei servizi (specialmente quelli finanziari) e del lavoro-



Per saperne di più
Alder M., Posner E. “New Foundation of Cost Benefit” Analysis Harvard University Press 2006

Afonso A, St Aubyn M. “Macro-economic rates of returns of public and private investment – Crowding- in and crowing-out effects” Ebc Working Paper n. 864

La Spina A. (a cura di) “I costi dell’illegalità: Mafia e estersioni in Sicilia” Il Mulino 2008

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