Non solamente i teleschermi con le drammatiche immagini della crisi in Campania ma le cronache di ogni giorno ci ricordano che in Italia i rifiuti sono diventati un’emergenza permanente, i dati Istat ammoniscono che altre aree sono sulla soglia di problemi analoghi ed un’inchiesta Eurispes che il Lazio potrebbe essere presto al cento di difficoltà simili a quelle di Napoli e dintorni. In Italia, produciamo circa 35 milioni di tonnellate di rifiuti l'anno, il cui smaltimento costa circa 75 euro per tonnellata, con punte che possono arrivare anche a 135 euro.. L'emergenza in Italia ha come effetto che i rifiuti smaltiti in Germania ci sostano mediamente 5/6 volte la media nazionale.
Sono passati dieci anni dalla promulgazione del “Decreto Ronchi”, dal nome del Ministro dell’Ambiente dell’epoca , che regola il trattamento dei rifiuti, recependo le normative comunitarie. Nel provvedimento, si stabilisce che il classico sacchetto nero che ognuno di noi getta nel cassonetto,non possa andare in discarica senza prima essere passato attraverso una fase di recupero dei materiale riciclabili, e da una fase di “termovalorizzazione”. Con questo termine si intende un processo industriale tramite il quale bruciando rifiuti, opportunamente trattati, produce energia elettrica. In base alla tecnologia dell’epoca (dieci anni passano velocemente in un periodo di rapido progresso tecnologico come quello che ha caratterizzato la fine del XX e l’inizio del XXI secolo) si raggiungeva il doppio obiettivo si smaltire i rifiuti e produrre energia.
Tuttavia, anche ove si fosse tutti ligi e disciplinati, nel separare accortamente carta, vetro ed alluminio, e nel porli nelle apposite campane di raccolta (ipotizzando che ce ne siano agli angoli di ogni strada), rimane pur sempre un’ingente quantità di rifiuti. Questi devono essere assoggettati ad un primo passaggio, quello nei cosiddetti “selezionatori”, macchinari che separano la parte che viene definita “umida” (prevalentemente scarti alimentari di cucina) dalla parte “secca”. Mediamente , questo primo passaggio restituirà circa un 40% di “umido” ed un 60% di “secco”. Il trattamento dei due tipi di rifiuti a questo punto del ciclo prende percorsi divergenti. I rifiuti “umidi” non possono infatti essere termovalorizzati, ma non possono nemmeno essere smaltiti in discarica senza prima un opportuno trattamento teso a “stabilizzarli”. Se fossero infatti smaltiti in discarica senza una preventiva “stabilizzazione” rischierebbero di inquinare le falde sottostanti e, quindi, i corsi d’acqua, nonché di disperdere biogas in atmosfera producendo “effetto serra” prodotto. La “stabilizzazione” avviene attraverso la decantazione in vasche che dura fino anche a 30 giorni con un processo che è detto “compostaggio”. Una volta stabilizzato, il residuo “umido” viene stoccato il discarica. In breve, che circa il 40% del sacchetto di rifiuti finisce per riempire le già esauste discariche anche dopo il processo di recupero della parte “secca”.
Quest’ultima prende un’altra strada. Viene trattata e trasformata in “Cdr”, ovvero il combustibile che alimenta i termovalorizzatori, destinati a produrre energia elettrica. Anche il processo di combustione, però, produce i suoi scarti, che ammonteranno alla fine a circa il 10% del totale (sempre in termini di volume) del sacchetto. In sostanza, alla fine del ciclo circa la metà dei rifiuti finisce in discarica, mentre l’altra metà è utilizzata per produrre energia elettrica (che serve a sua volta ad alimentare i processi industriali che siamo esaminando) nei termovalorizzatori.
Uno degli aspetti socialmente e politicamente più controversi è legato proprio ai termovalorizzatori. Ogni volta che se ne progetta uno, esplodono manifestazioni e contestazioni poiché nessuno vuole vivere vicino ad un termovalorizzatore, dato che esso produce, in seguito alla combustione del Cdr veleni come la diossina o i furani.
I termovalorizzatori sono necessari all’attuazione di quanto previsto dal “Decreto Ronchi” ed è possibile controllarne gli effetti esterni negativi se sono ben realizzati e gestiti, anche se, alla temperatura alla quale il “Cdr” viene bruciato, alla presenza di ossigeno (essenziale al processo), si produce diossina. I termovalorizzatori sono, comunque, “vicini di casa scomodi”, in quanto “potenzialmente” pericolosi. E’ un potenziale controllabile tramite un complesso sistema di trattamento dei fumi, che evita il disperdersi nell’ambiente esterno della diossina ma che necessita di uno scrupoloso controllo. Ed il management , necessario per controlli efficaci ed efficienti, è una merce rara.
Sono soprattutto una tecnologia ormai superata e che non risolve buona parte dei problemi dello smaltimento dei rifiuti. Le discariche sono esauste, molte erano state chiuse e sono state riaperte per far fronte all’emergenza, e non hanno più di qualche hanno di vita. Portare a pieno regime il ciclo dei rifiuti così come è previsto dal “Decreto Ronchi” rimanderebbe il problema solo di qualche anno.
Un percorso a portata di mano, economicamente vantaggioso e di facile realizzazione, è la pirolisi, ossia una degradazione termica in assenza di ossigeno, che, sotto particolari condizioni di pressione e temperatura (circa 450-500° c di temperatura, pressione inferiore a quella atmosferica di circa 10 mm di mercurio) trasforma le sostanze organiche presenti nel rifiuto in prodotti solidi, liquidi e gassosi combustibili.
Attraverso questa conversione termochimica si perviene, alla rottura dei legami chimici (fenomeno di piroscissione) con formazione di una componente gassosa combustibile (gas da pirolisi o syngas in quantitativo pari al 70% in massa dei rifiuti immessi) composta prevalentemente da metano ed altri idrocarburi di basso peso molecolare, ed una componente solida (coal o char da pirolisi) in quantitativo pari al 30% in massa dei rifiuti immessi.
Il gas prodotto viene recuperato in energia mediante ormai consolidati schemi processuali a ciclo di vapore, mentre il carbone prodotto può essere utilizzato in cementifici, centrali a carbone o ulteriormente trattato in una apposita sezione dell’impianto per il suo recupero energetico. Attraverso un processo che non prevede ne la combustione diretta del rifiuto, né la presenza di ossigeno, circa il 90% del volume totale può essere utilizzato per la produzione di energia (trasyngas e carbone da pirolisi). Il restante 10%, che è rappresentato dal prodotto di scarto della ripirolizzazione del carbone da pirolisi, è la sola parte del sacchetto di immondizia che lascia la nostra pattumiera per finire in discarica.
Un altro sostanziale vantaggio di questo processo risiede nel fatto che esso avviene senza la combustione diretta dei rifiuti ed in assenza di ossigeno. Quindi, non si formano diossina furani o altre sostanze velenose. Il costo per realizzare un pirolizzatore, è pari a quello per la realizzazione di un termovalorizzatore, tuttavia il primo impianto è in grado di gestire nel suo globale il ciclo integrato dei rifiuti. Questo significa che sul complesso del ciclo, il costo dell'impianto si abbatte. Inoltre, mantenendo costi contenuti i rifiuti possono essere trattati in impianti più piccoli, dal momento che viene a mancare l'effetto scala di un termovalorizzatore, che richiede il trattamento di un minimo di 300,000 tonnellate di rifiuti affinché sia economicamente vantaggioso
A questo punto, sorge spontanea una domanda: cosa aspettiamo a mettere questa tecnologia al servizio delle nostre città e dell’ambiente? La risposta và, come sempre, cercata nelle resistenze di grandi lobbies che hanno interessi diversi e contrapposti. Basti pensare a quanti hanno investito nella complessa rete di strutture necessaria alla realizzazione del ciclo dei rifiuti previsto dal “Decreto Ronchi” ed agli interessi di quanti realizzano le tecnologie per il trattamento dei fumi, inutili nel caso della pirolisi, o a quanti speculano sull’emergenza, ad esempio trasportando i rifiuti in altri paesi europei.
E’ utile ricordare che nell’aprile 2007, il rapporto della Commissione interministeriale (Innovazione ed Ambiente) concludeva a favore dell’esigenza di “promuovere uno o più progetti guida su pirolisi e combustione di bassa temperatura dei rifiuti solidi urbani con sperimentazione di piccola unità di smaltimento (dell’ordine di una decina di tonnellate al giorno) da sperimentare sul campo per realtà rappresentative di piccoli bacini”. In Germania – ricorda il rapporto - vi sono due stabilimenti di pirolisi:a Hamm (di proprietà del colosso dell’energia elettrica tedesco Rwe) e a Burgao. Nel mondo gli stabilimenti sono più di quaranta ed hanno dato buona prova.
Il documento è stato presentato alla stampa (ed alla comunità scientifica) il 24 aprile scorso a Palazzo Vidoni. Ma , mentre l’Esecutivo Prodi saltava da crisi a crisi, non se ne è fatto nulla. E’ utile rileggerlo in giorni in cui preparano programmi non solo per l’Italia ma anche per aree a rischio (come Roma e più in generale il Lazio). Mostra come la crisi può fare da molla al progresso tecnologico per l’attuazione di soluzioni concrete.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento