giovedì 21 febbraio 2008

LA VELTRONIECONOMICS NON PIACE AI SINDACATI

I sindacati (soprattutto la Cgil) sono stati il grande elettore dell’Unione nel 2006. Svolgeranno un ruolo analogo nel 2008 rispetto al Partito Democratico (PD)? La risposta può essere negativa. Il 16 febbraio numerosi sindacalisti erano alla Fiera di Roma ad ascoltare il programma economico con cui WV (Walter Veltroni) intende presentarsi all’elettrorato. E’ riassunto in un dodecalogo. Per i sindacalisti che credono nella scaramanzia è naturale ricordare che a Prodi non portò molto bene il dodecalogo concluso un anno fa nella Vanvitelliana Reggia di Caserta. Soprattutto, alcuni dei 12 punti non rappresentano tesi condivise dal “grande sindacato”. Non sono mancati i sindacalisti che lo hanno fatto sapere. O una correzione di rotta (da parte di WV) o una correzione di voto (da parte di segmenti più o meno importanti del sindacato).
Il punto più difficile da ingoiare è il 9. La proposta Agenzia nazionale per la sicurezza e (la lotta alla) precarietà è un carrozzone ma toglierebbe a patronati sindacali molte delle loro funzioni, Il salario minimo garantito spunta l’arma principale delle confederazioni – la contrattazione collettiva nazionale. L’Organizzazione Internazionali del Lavoro documenta che ciò è avvenuto in quasi tutti i Paesi dove è stato introdotto. Inoltre, un economista considerato tra i numi della sinistra, Assar Lindbeck, ha ottenuto il Nobel proprio per i saggi in cui dimostra che il “minimum wage” danneggia individui e famiglie negli scalini più bassi dei redditi e dei consumi. Considerazioni analoghe (sulle distorsioni macro-economiche della misura) sono alla base del pensiero Edmud Phelps (altro beniamino della sinistra sindacale). Di recente in Germania, la IG Metall si è schierata contro un provvedimento analogo.
Piace poco (a sindacalisti, come la Cisl e molti settori dell’Uil, che hanno basi importanti nel pubblico impiego) il punto 3. Le riduzioni alla spesa pubblica, infatti, verrebbero effettuate principalmente riducendo organici (tramite l’accorpamento di uffici) e l’introduzione di quella meritocrazia (bonus individuali e simili), nonché la mobilità interna della Pa prevista nel punto 10. Tali misure considerate anatema dalle fasce più anziane di statali, proprio i più attivi nel sindacato e da cui il sindacato più dipende per proselitismo. Si tratta, intendiamoci bene, di passi essenziali per migliorare la macchina pubblica (oltre che per contenere la dinamica della spesa). Per la base sindacale, però, cozzano con un retaggio storico ultra-centenario.
Il punto 4 dà sui nervi (e soprattutto piglia nelle tasche) delle parti del sindacato che esprimono i lavoratori autonomi. Le riduzioni fiscali promesse (e la stessa “dote tributaria” del punto 7) sono esplicitamente limitate ai lavoratori dipendenti, lasciando esercenti, commercianti, padroncini, artigiani e via discorrendo a bocca asciutta. A confederazioni la maggioranza dei cui iscritti è composta da pensionati non è gradita, infine, l’aura di giovanilismo che pervade il catalogo.
Non sorprendiamoci se saranno i sindacati a scompigliare il voto.

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