Roma/ Teatro dell’Opera
RUSALKA
Opera fantastica in tre atti di Antonin Dvořák
Una recensione del capolavoro di Dvořák per il teatro in musica necessita una duplice premessa: la scarsa fortuna delle opere fantastiche nell’Italia dell’Ottocento e del Novecento ed il ruolo del compositore nello sviluppo dell’opera nella Cèchia.
Agli italiani, si potrebbe dire, non piacciono le favole. Tendenzialmente scettici e disillusi, abbiamo poca dimestichezza con il fiabesco nella letteratura in generale. Probabilmente l’unico apporto alla letteratura mondiale nel genere è “L’Orlando Furioso” dell’Ariosto. Nella narrativa possiamo vantare unicamente una favola per bambini: “Pinocchio” di Collodi. Nel teatro, le stupende favole di Carlo Gozzi vennero offuscate dalle commedie borghesi di Carlo Goldoni. Nel teatro in musica, il favolistica finì con il Barocco. I tentativi di Mascagni, Malipiero e pochi altri di riprendere il genere che, all’inizio del Novecento aveva grande fortuna in Germania, Francia e nell’Europa centrale ed orientale, fallirono miseramente: anche quando suscitarono reazioni positive dalla critica, il pubblico voltò loro le spalle. E’ vero che la pucciniana “Turandot” viene situata nella Cina “dei tempi delle favole”, ma né il libretto né la musica hanno un vero elemento magico: l’accento è sul dramma intimo in un quadro, per certi aspetti, autobiografico. Lo ha ben compreso il regista Henning Brockhaus nella sua recente lettura dell’ultima opera di Giacomo Puccini.
Eppure proprio “la musa bizzarra ed altera”, l’opera lirica, nata in Italia e che in Italia ha avuto la sua più lunga e più importante stagione come spettacolo commerciale per il grande pubblico di tutti i ceti sociali, si presta meravigliosamente al fiabesco per la fusione di azione scenica, canto, danza ed orchestra. E come tale nasce a Firenze . Nel nostro Paese il fantastico sparisce alla fine del Settecento: la stessa “Armida” di Rossina, pur ispirata al fiabesco dell’Ariosto, diventa innanzitutto un’opera erotico-sensuale. Il melodramma del romanticismo italiano quasi rigetta il fiabesco, centrale invece all’opera tedesca (si pensi a Marschner, Weber, allo stesso Wagner) dello stesso periodo, nonché a quella del Novecento (si pensi a Strauss). Nella Francia della Terza Repubblica il fiabesco viene utilizzato per dilatare nel mito i temi della società borghese nel periodo dell’industrializzazione trionfante (si pensi a “Cendrillon”, “Chérubin” e “Le Joungleur de Nôtre Dame-” di Massenet). In Europa centrale ed orientale, le favole antiche (unitamente alla storia nazionale) alimentano la nascita di forme di teatro in musica che prendono nettamente le distanze da quelle assunte in Europa occidentale.
Dvořák ha, nel corso della sua vita, costantemente avuto l’ambizione di diventare un grande autore di teatro in musica: sette delle otto opera precedenti “Rusalka” traevano ispirazione o da truculenti drammi storici o da commedie, pure essere storiche o semi-storiche (l’obiettivo era dar vita ad una scuola operistica nazionale boema) Si avvicino al fiabesco in “Il Diavolo e Caterina”, lavoro in cui all’orchestra viene dato un peso sinfonico e nel canto ci si avvicina al declamato. Grazie al direttore del Teatro Nazionale, Frantisek Subert, il compositore conobbe un lavoro del giovane scrittore Jaroslav Kvapil, in seguito una figura importante del teatro boemo. Trovò congeniale il libretto, che era stato in precedenza offerto senza successo ad altri musicisti. Anche “Rusalka” era nell’alveo del racconto fiabesco, nel mondo della natura incantata particolarmente caro alla sensibilità del compositore Dvorák, che vi si era ispirato per vari altri lavori, e in particolare per il gruppo di poemi sinfonici tratti dalle ballate popolari di Erben (1896), tra cui ve n’è uno intitolato appunto “Spirito delle acque”. In “Rusalka” il fiabesco è di carattere sentimentale e simbolico, anziché comico e fantastico come nell’opera immediatamente precedente, “Il diavolo e Caterina”. Kvapil si ispirò al tema della creatura acquatica che prende natura umana per amore pagandone le conseguenze: un antico motivo della letteratura nordica ripreso con ampiezza dal romanticismo, di cui sono esempi ben noti la novella “Undine” dell’ugonotto tedesco Friedrich de La Motte-Fouqué e la “Sirenetta” di Hans Christian Andersen; il poeta vi aggiunse inoltre altri elementi eterogenei, in particolare legati al folklore popolare boemo. L’opera è diventata col tempo, assieme alla “Sposa venduta” di Smetana, il maggiore classico del teatro boemo.
La vicenda è molto semplice. La ninfa Rusalka è innamorata del Principe. Per incontrarlo, è disposta ad assumere sembianze umane, pur al prezzo di perdere la parola. Il giovane si innamora ma non troppo: nel giorno delle nozze segue senza farsi troppi problemi una rabbiosa e passionale principessa straniera cattura le sue attenzioni. Rusalka ritorna al lago, avviata a un destino di tristezza eterna. Il principe non riesce però a liberarsi dell'ossessione-Rusalka. Morirà chiedendo perdono tra le sue braccia. Il fiabesco (siamo all’inizio del Novecento) si coniuga, quindi, con il simbolismo: il desiderio di diventare donna dell’essere semi-sovrumano e la passione-maledizione.
Siamo, però, lontani anni luce dal contemporaneo Debussy oppure da Janáček, i cui capolavori sarebbero stati composti, nel teatro cèco, soltanto qualche lustro più tardi. Dvořák , sotto molto aspetti, è il nesso tra Smetana e Janáček, rivolto però all’Ottocento mentre il moravo era lanciato verso un Novecento la cui portata innovativa venne compresa da pochi dei suoi contemporanei. Il temperamento di Dvořák è lirico e melodico, per se utilizza un grande organico ed i lietmotive wagneriani (ossia non mnemonici ma legati a personaggi ed a situazioni) : l’attenzione è più sul contesto e sui singoli personaggi che sull’azione drammatica. Inoltre, il sinfonismo non può non permeare l’intera partitura. Mentre nella scrittura vocale, il declamato wagneriano si trasforma in leider anche a più voci (come nel duetto finale) e le voci fanno da contrappunto all’orchestra (come nel quadro iniziale delle ninfe).
La scarsa fortuna di “Rusalka” in Italia deve attribuirsi in gran misura alla poca attenzione di critici e pubblico nei confronti del fiabesco, nonché alle difficoltà di realizzazione scenica. Tuttavia, qualcosa sta mutando: l’opera che mancava dalla scene romane dalla stagione 1992-93 (quando ebbe la sua “prima” nella capitale) ha avuto un grande successo a Torino due anni fa. Un nuovo allestimento è annunciato alla Scala per la prossima stagione. Inoltre, il fiabesco sta tornando in scena: Cagliari inaugura la stagione 2008 con una delle opere più fiabesche di Rimski-Korsakov : “La leggenda della città invisibile di Kitez”.
L’allestimento viene dal Teatro Dvořák (una sala di circa 600 posti) di Ostrava (una città di 300.000 abitanti nel Nord Est della Repubblica Chéchia- quindi ai confini con la Polonia e con la Slovacchia). E’ un buon esempio di come teatri relativamente piccoli, e relativamente minori, dell’Europa centrali riescono con pochi mezzi a creare produzioni dignitose. I tre atti sono divisi da un solo intervallo. La scena unica (di Jaroslav Marina) ed i costumi (Helena Helena Anýžová ) sono ispirati al visivo di Klimt – quindi all’epoca ed al clima in cui l’opera venne concepita. Efficace , e descrittiva, la regia di Ludeck Golat. L’aziona di dipana rapida senza concedere agli spettatori un solo minuto di stanchezza o noia nelle due ore ed un quarto dello spettacolo.
Strepitosa la resa orchestrale sotto l’abile direzione di Günter Neuhold. Dvořák è probabilmente uno dei maggiori orchestratori europei del periodo tra la fine dell’Ottocento e l’inizio dell’Ottocento. L’orchestra del Teatro dell’Opera di Roma dà una grande lettura della passione degli archi, su cui si staglia la delicatezza dell’arpa (specie negli asolo) e la melanconia dei celli e dei fagotti. Il clima fiabesco, ma dolente, viene interpretato magnificamente.
I cantati sono in gran misura giovani ed attraenti, il che non nuoce. Tra le voci spicca Anna-Louise Bozga (nel ruolo della protagonista); un soprano lirico spinto a tutto tondo, che può raggiungere quasi momenti wagneriani in quanto ha una tessitura ampia ed un volume adatto anche alle dimensioni del Teatro Costanzi di Roma. Buona, ma non eccelsa, la prova di Kostyantyn Andreyez: la parte è scritta per un heldentenor dal timpo chiaro (un Ben Heppner negli anni migliori quale quello nella versione in disco di riferimento – quella diretta da Sir Charles Mackerras). Andreyez è un tenore lirico spinto con un volume uso più ai teatri dell’Europa centrale e orientale che alla vasta cavea del Costanzi. Non tiene il passo con la sfolgorante vocalità della Bozga (specialmente nel duetto finale). Di ottimo livello Andreas Marco (Lo Spirito della Acque) specialmente per la capacità di scendere dalla mmezza-voce alle tonalità più gravi. Efficaci Francesca Franci (La Maga) e Patrizia Orciai (La Principessa straniera). Ottime le numerose parti minori, specialmente le Ninfe.
Grande successe, ma troppe file vuoti e troppi palchi spenti la sera della prima.
Giuseppe Pennisi
Roma, Teatro dell’Opera 22 febbraio 2008
LA LOCANDINA
RUSALKA
Opera fantastica in tre atti di Antonin Dvořák Libretto di Jaroslav Kvapli
· Regia
Ludek Golat
· Scene
Jaroslav Malina
· Costumi
Helena Anýžová
· Movimenti coreografici
Luigi Martelletta
· Rusalka
Angeles Blancas Gulin / Il principe
Kostyantyn Andreyev /
· Ježibaba, strega
Francesca Franci
· Lo spirito dell’acqua
Andreas Macco
· La principessa straniera
Patrizia Orciani
· Prima ninfa del bosco
Anna Maria Wilk
· Seconda ninfa del bosco
Katarzyna Medlarska
· Terza ninfa del bosco
Katarina Nikolich
· Il guardiacaccia
Armando Ariostini
· Lo sguattero
Gemma Gabriella Stimola
· Un cacciatore
Francesco Musinu
Direzione musicale
Günter Neuhold
Maestro del Coro
Gea Garatti Ansini
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento