Affascinante, pur se tradizionale, la messa in scena di Francesca Zambello (regista che vorremo vedere più spesso in Italia). Di grande livello le voci. Deludente, però, la più attesa: quella di Placido Domingo. Poco adatta a mettere in luce la raffinata delicatezza della partitura la bacchetta di Patrick Fourniller. Questo, telegraficamente, il giudizio sul “Cyrano de Bergerac” di Franco Alfano, in un allestimento in repertorio da circa 3 anni al Metropolitan di New York ed al Covent Garden di Londra (stesso cast, oltre che stesse scene e stessi costumi). Conteso a lungo tra Opera di Roma e Scala è a Milano sino al 15 febbraio.
Alfano è noto principalmente come colui che completò “Turandot” di Puccini. E’ uno dei maggiori autori italiana della prima metà del Novecento: ha pesato su di lui una maledizione che ne ha comportato l’oblio in quanto firmatario nel 1925 del “Manifesto degli Intellettuali Fascisti” e molto legato al regime sino al 1945. Napoletano, ma di cultura musicale tedesca e francese, ha una scrittura elegante sia orchestrale (interessante l’impiego del contrappunto) sia vocale (il declamato scivola in arie e numeri a più voci). Di recente è stato ripreso, a Roma, il suo capolavoro (“Sakùntala”). “Cyrano”, grande successo negli Anni 30 e 40, è riapparsa poco più di un lustro fa – prima in Germania e successivamente negli Usa, in Gran Bretagna ed in Francia.
Il libretto, in francese, ricalca la “commedia eroica” di Edmond Rostand di cui si sono viste di recente produzioni sia in teatro sia in cinema. Ha una partitura elegante, ispirata allo “stile francese” dell’epoca: l’orchestra ha un ruolo cruciale nel soffondere con un lirismo malinconico l’azione scenica. Patrick Fourniller concerta in modo puntuale ma specialmente nei finali dei cinque atti calca eccessivamente, accentuando un’enfasi “eroica” ad Alfano piuttosto distante. L’opera richiede 19 solisti, coro e mini. Quattro i protagonisti: due tenori, una rarità dai tempi di Rossini – un “lirico spinto” (Cyrano), un “lirico puro” (Christian), un soprano “lirico puro” (Roxane), un baritono (il comandante De Guiche). Pietro Spagnoli conferma di essere uno dei migliori baritoni italiani su piazza: morbido, delicatissimo nei “legato”. Sondra Radvanosky è una Roxana quasi drammatica (la voleva così Alfano che non gradiva la pupattola di Rostand): ha un temperamento forte che la renderebbe perfetta nel “Rosenkavalier” di Strauss. Germain Villar è una vera scoperta: timbro chiarissimo, capace di ascendere a tonalità elevate senza il minor sforzo. Il circa 70nne Placido Domingo non ha mai avuto la tessitura prevista da Alfano per Cyrano (ruolo pensato per Gigli) poiché anche venti anni fa raramente saliva oltre il “sì naturale”; gli è scurita la voce (è quasi baritonale, come lo era all’inizio della sua carriera), ha una grande presenza scenica ed una recitazione intesa ma, nonostante siano state abbassate le tonalità, ha avuto, alla “prima”, difficoltà di emissione proprio nell’aria di apertura.
Un elogio a Francesca Zambello ed alla sua squadra di scenografi e costumisti: la messa in scena è al tempo stesso spettacolare ed elegante, con cura nei particolari ed attenzione a realizzare un allestimento che possa essere adattato a palcoscenici differenti. Come, giovanissima, fece 20 anni fa con un “Billy Bud” di Britten che si è visto nei maggiori teatri europei, americani e giapponesi. Una vera gioia visiva.
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